Dall’Armenia sembra che la vite si sia diffusa dapprima in Tracia e poi successivamente, grazie ai navigatori Fenici, alla Grecia e poi all’Italia, inizialmente nelle colonie della Magna Grecia e poi nelle regioni centro-settentrionali, ad opera degli Etruschi.
A riprova di ciò vi sono ritrovamenti di semi di vite in alcune tombe Etrusche nella zona del Chianti, furono fra i primi a sviluppare la viticoltura in Italia e la diffusero in buona parte della penisola, dal Nord (Emilia Romagna) fino al Sud (Campania), Roma compresa. Grandi navigatori e mercanti, vennero a contatto con le culture del Mediterraneo orientale ed introdussero in Occidente gli aspetti culturali del vino, come il simbolismo religioso e il consumo rituale nei simposi, oltre che le varietà di vite orientali. Infine, gli Etruschi diffusero il vino e la sua cultura attraverso il commercio anche presso popoli dell’Europa Occidentale che ancora non conoscevano questa bevanda, come i Celti, i Germani e gli Iberici.
Rituali legati al vino erano già presenti in Etruria fin dalla fine dell’età del Bronzo, ma fu in seguito al contatto con la cultura Greca che il vino entrò nelle celebrazioni religiose in particolare in quelle funebri. Anche la coltivazione della vite era così importante presso gli Etruschi che erano i sacerdoti custodi delle tecniche di coltivazione dei vigneti e delle invocazioni per preservarli dal maltempo. La potatura stessa aveva un alto contenuto simbolico, in quanto forma di controllo e regolazione della produzione delle viti, veniva percepita come segno di autorità. I Greci influenzarono anche la religione degli Etruschi. Infatti tra le divinità più importanti per la religione etrusca vi era Fufluns, molto simile al dio greco Dioniso, con cui venne poi identificato. Durante le cerimonie religiose in onore del dio, attraverso l’ebbrezza del vino gli iniziati provavano una sorta di evasione dalla realtà che poteva prefigurare un destino felice nell’aldilà. Fu a partire dal IV secolo a.C. che i culti dionisiaci ebbero la loro massima diffusione e iniziarono anche a diffondersi anche verso Roma.
In seguito il vino divenne protagonista anche dei riti pagani, come i banchetti ed i simposi, in cui si beveva vino assistendo a spettacoli di musica e danza. I più poveri probabilmente consumavano un vinello leggero, derivato dal ripasso delle vinacce con acqua, pratica frequente anche in epoca Romana. Tipicamente Etrusca è la presenza delle donne ai banchetti, a volte rappresentate adagiate accanto all’uomo o sedute vicino, mentre nella Grecia antica il simposio era solo maschile o al più aperto alle etere (prostitute di alto livello). Gli autori Romani criticarono il grande lusso dei banchetti Etruschi, ed alcuni di essi si spinsero a definire gli Etruschi “schiavi del ventre”. Popolare l’immagine dell’Etrusco obeso, diffusa da Catullo. Si mangiava con le mani e nella sala scorrazzavano animali domestici (cani, gatti, polli, anatre…), che mangiavano i resti di cibo che cadevano (o erano buttati) a terra. Vi era sempre la musica, soprattutto dei flauti e ci potevano essere anche spettacoli di danza e giocolieri. Il vino veniva diluito con acqua, fredda o calda a seconda delle stagioni, ma anche aromatizzato ed addolcito, per coprire i difetti dovuti alle limitate tecniche produttive e di conservazione, con miele, erbe, fiori, spezie, resine. I banchetti Etruschi erano straordinariamente simili a quelli dei Greci, con il vino bevuto distesi sulla klìne, versato dall’oinochòe (brocca), miscelato con acqua a seconda della gradazione e dell’aroma e arricchito con miele, spezie o formaggio grattugiato. La miscela così ottenuta poteva essere riscaldata o raffreddata utilizzando lo psyktèr, vaso a forma di bulbo collocato su di un piede alto e stretto, contenente acqua calda o neve. I vari oggetti usati per il vino e la tavola vengono chiamati con i loro nomi greci perché il nome etrusco è spesso sconosciuto oppure incerto.
Gli Etruschi producevano un vino giallo dorato, aromatico e molto profumato. Era comunque simile a succo d’uva, anche se talvolta più liquoroso di quello che siamo abituati a bere oggi. Il sistema di vinificazione aveva luogo in cantine scavate nel tufo e realizzate su tre piani. Secondo Argillae.eu, “L’uva si pigiava a livello del suolo (primo livello) e il mosto, attraverso apposite tubature di coccio, colava nei tini disposti nei locali sottostanti (secondo livello) in cui fermentava. Dopo la svinatura, il vino veniva trasferito a un livello ancora più profondo (terzo livello), adatto per la maturazione e la lunga conservazione.
Un sistema davvero raffinato! Una produzione viticola che doveva essere influenzata da quella greca: anche gli Etruschi producevano il vino picatum, a cui cioè veniva aggiunta pece. Il nome dei vasi e calici etruschi, anch’essi di origine greca, fanno emergere l’importanza che ebbero i Greci nella diffusione del vino e l’importanza della loro lingua in quella cultura. E certamente tale influsso non si sentiva meno in ambito religioso! Tra le divinità più importanti per la religione etrusca vi era Fufluns, il cui nome derivante dalla radice puple, “germoglio”, va messo in relazione con la “forza rigogliosa della natura”. A partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. , Fufluns prese tutti gli attributi del dio greco Dioniso, con cui venne presto identificato. Immagini di Fufluns-e grazie all’influenza della cultura greca, che aveva elaborato diversi miti sull’infanzia di Dioniso, anche della sua giovinezza- sono frequenti su diversi oggetti quali specchi, urne e ceramiche.
Riporta Cinzia dal Maso che “Nel V sec. a.C. il suo culto è attestato a Vulci in relazione alla coltivazione della vite, attività che rivestiva grande importanza nell’economia cittadina. Nel suo profondo legame con il vino e con l’ebbrezza che ne deriva dovette sovrintendere ai banchetti tanto amati dagli etruschi e allietati da danze, canti e giochi”.
Nel IV secolo a.C. ebbero la loro massima diffusione i culti dionisiaci, specialmente tra i ceti aristocratici, e da qui, secondo Tito Livio, dovettero diffondersi anche verso Roma. L’etruscologo Mario Cristofani scrive che “la partecipazione alle cerimonie segrete in onore del dio, nelle quali si entrava in una specie di possessione rituale, garantiva agli iniziati una sorta di evasione dalla realtà, attraverso l’ebbrezza del vino, che poteva prefigurare un destino felice nell’aldilà. I temi dionisiaci diventano così frequentissimi nella ceramica figurata del IV sec. a.C.”
Nella cultura etrusca, in effetti, il vino ebbe un notevole rilievo, oltre che nei sacrifici rituali in onore degli déi, compiuti dal sacerdote sull’altare, sia nei banchetti dei vivi che in quelli dedicati ai defunti di nobile stirpe.
Se l’idea degli Etruschi di banchetto, quella di un momento di coesione comunitaria e sociale, è stata mutuata dal mondo greco, bisogna notare che la maggior parte delle raffigurazioni antiche di banchetti sono collegate al contesto del mondo funerario, quali urne cinerarie, i bassorilievi delle stele e dei cippi o degli affreschi parietali delle sepolture, come quelle di Tarquinia. Tuttora ci si interroga sul significato di tali materiali: sarebbero rappresentazioni della vita nell’aldilà, ricordi della vita terrena, o richiami alle cerimonie tenute in onore del defunto? Non vi è una risposta univoca.
Preziosi vasi, kantharos e coppe sono stati ritrovati nelle tombe etrusche, dove venivano posti per consentire al defunto di banchettare anche nell’aldilà. Nella Tomba dei Rilievi ritroviamo, a corredo di pareti e pilastri, una serie di oggetti da utilizzare nel simposio: un mestolo per mescere e consumare il vino, una brocca, una coppa; nella Tomba dei Colatoi di San Cerbone ritroviamo, come corredo, i colini utilizzati per filtrare il vino. La presenza di queste suppellettili nelle tombe testimonia l’importante funzione del vino nel rito di passaggio nell’aldilà. Si veda, ad esempio, la Tomba dei Leopardi di Monterozzi a Tarquinia (qui sotto), del 473 a.C., in cui le pitture parietali rappresentano scene di banchetti nei quali i partecipanti bevono in modo smodato, mentre i morti assistono. Potremmo commentare, scherzosamente.. oltre al danno, la beffa!
dacomo 10/3/2021