L’apporto della botte a doghe di legno ha indubbiamente impresso una svolta fondamentale al mondo della viticoltura.
C’ è da chiarire una cosa sulle botti, prima di affrontare l’argomento, nell’antica Roma il vino era ampiamente noto e di conseguenza apprezzato già molto prima dei tempi di Cesare.
L’enologia in vigore presso i latini, aveva dei procedimenti molto diversi da quelli che conosciamo oggi. Il vino che era preferito dolce, a volte si aggiungeva pure del miele, veniva conservato in anfore di terracotta oppure in otri di pelle e spesso e volentieri veniva servito caldo e speziato, insomma come una specie di vin brulè.
Invece i Galli bevevano vino fresco, secco, conservato in botti, che erano contenitori ignoti per il mondo greco-latino. I Romani, quando occuparono la Gallia, si stupirono assai di fronte a “ quei recipienti di legno rafforzati con cerchiature “, secondo la definizione di Plinio, che non riusciva a trovare un nome latino adatto per descrivere quella che poi venne chiamata botte.
I Romani poi non erano abituati al gusto dei vini gallici, che erano definiti amari. Fra di loro si insinuò il dubbio, che i vini della Gallia fossero adulterati con fumo ed erbe nocive. Solo un vino bianco, denominato di Marsiglia, venne subito adottato a Roma, ma fu usato soltanto da vino da taglio, per tagliare altri vini.
Insomma, l’attuale modo di bere il vino lo dobbiamo ai Galli. Oggi bere vino fresco e soprattutto senza miele, fa parte della normalità. La botte ha sostituito ormai da secoli, l’ anfora, anzi i vini in barrique, che per loro stessa natura sono arricchiti dal tipico aroma del legno, sono un punto di forza della vitivinicoltura a livello mondiale.
Il cosiddetto “ Bianco di Marsiglia “, oggi non è più un vino da taglio, adesso si chiama Cassis ed è un pregiatissimo vino Doc.
Eppure questi contenitori presentavano notevoli vantaggi: erano più capienti delle anfore, si trasportavano bene e inoltre parevano particolarmente adatti a conservare il loro contenuto in zone dove si riscontravano frequenti variazioni di temperatura.
Lo notarono gli autori classici come Virgilio e Plinio i quali rilevarono le loro proprietà isolanti, molto utili per proteggere il vino dal freddo.
Scrive infatti Plinio: "I metodi per conservare il vino differiscono grandemente a seconda del clima. Nelle regioni alpine lo si racchiude in recipienti di legno rinforzati con cerchiature e persino nel pieno dell'inverno, lo si preserva dal gelo, accendendo dei fuochi."
Il termine gallico "bunda", ha dato origine al canavesano bunda; e al piemontese bondon, cocchiume, il foro della botte e il tappo che la chiude".
Anche i termini "brenta" (recipiente per il trasporto a spalle) e "bonz" (botte carreggiata) sono stati diffusi nei dialetti del Piemonte e della Lombardia a partire dalle parlate celtico-alpine.
Lo stesso termine "bricco" deriva dal celtico "brich", che significa sommità, altura.
Si deve ai Celti Insubri l'introduzione in modo intensivo della coltivazione del grano e della vite, l'allevamento dei maiali. Si ricorda la loro abilità come produttori di birra (cervogia) ed anche di vino (contrariamente a quanto finora supposto dagli studiosi, i celti conoscevano e consumavano il vino, una specie di lambrusco, secoli prima dei loro contatti con il mondo romano), l'ingegnosità nella lavorazione dei metalli, che li portò a sviluppare un'arte raffinata nella produzione di monili, fibule, torques ecc. , tradizione artigianale ancora viva e sviluppata in tutto il nord Italia, insieme alla lavorazione dei tessuti e della ceramica.
Lo stesso Strabone (3° sec. d.C.), parlando della Gallia Cisalpina, osservò che esistevano botti di legno più grandi di case, sintomo di una pratica enologica già molto evoluta tra i suoi abitanti. E' ipotizzabile quindi un'influenza dei Celti nella pratica della raccolta di queste uve e del relativo utilizzo di vascelli vinari in un materiale, il legno, sicuramente diverso e dalle dimensioni sproporzionate, grande più di una casa, ma che ci fa ritenere quanto fosse vocata questa zona alla copiosa produzione di vino.
“La cultura dei Celti antichi non costituiva soltanto un preludio barbaro ad una vera e propria cultura, arrivata, secondo le regioni, o con il dominio di Roma o con l'arrivo del cristianesimo, ma aveva invece dato un suo contributo originale alla civiltà europea...
Lo stesso avvenne nell'agricoltura: gli utensili preromani, rimasti in uso nelle nostre campagne fino all'introduzione della meccanizzazione, permettevano delle colture ben adattate alle condizioni climatiche non mediterranee, che i Romani stessi non avevano sperimentato prima dell'occupazione della pianura del Po all'inizio del II secolo a.C.
Anche la coltivazione della vite, che è in genere considerata come un indiscutibile apporto della colonizzazione, sembra invece fosse praticata, in una varietà vicina alla vite selvatica - il lambrusco -, in alcune regioni dell'Europa transalpina da tempi ben anteriori.
Chiamato così dai romani nel 3° secolo a.C., l'Arbustum gallicum è un antico sistema di coltivazione della vite di origine celtica.
Il vitigno cresceva appoggiandosi ad un "tutore vivo", il sostegno mutava secondo le morfologie del terreno, in collina si utilizzavano i rozzi aceri campestri, gli oppi, mentre in pianura per neutralizzare l'umidità del terreno si preferivano gli svettanti pioppi.
A metà del primo millennio erano state abbandonate le coltivazioni nelle zone pianeggianti e di fondovalle, ma accuratamente mantenute quelle delle zone collinari e montane sia all'interno dei borghi fortificati, sia all'esterno in siti ben collocati climaticamente e ben esposti ai raggi solari.
La tecnica dell'Arbustum Gallicum, fu trasferita dai Galli Insubri ai Romani, e trasmessa dai romani alle popolazioni di tutto il mediterraneo.
Come precedentemente detto, delle botti di legno gli storici cominciano a parlarne solo riferendosi alla Gallia Cisalpina e in particolare alla popolazione degli Insubri.
Queste botti erano più capienti delle anfore, si trasportavano bene e inoltre parevano particolarmente adatti a conservare il loro contenuto in zone dove si riscontravano frequenti variazioni di temperatura proteggendo il vino dal freddo.
Questi recipienti di legno venivano rinforzati con cerchiature e persino nel pieno dell'inverno, lo si preservava dal gelo, accendendo dei fuochi.
Per produrre l'uva antica, la varietà del Lambrusco, non esistevano macchine per pigiare l'uva, come accade oggi. L'uva veniva pestata con i piedi in un grande tino di legno e il mosto veniva travasato poi in botti di fermentazione.
Solitamente si trattava di fusti da 200 litri preferibilmente ricavato da un tronco di rovere o castagno.
Queste botti erano sorrette da dei tespoli che si chiamavano "braga".
Il vino così ottenuto si lasciava invecchiare in capaci botti sempre di rovere o castagno e successivamente si procedeva al travaso del vino in barilotti per la conservazione (sempre in legno) che si chiamavano "duia".
Ricordiamo che dalla lingua insubre derivano termini conosciuti ancora ai tempi dei nostri anziani:
Bonda o Bunda = tappo della botte.
Brenta = recipiente per il trasporto
oltre ai già citati:
Braga = trespolo, Duia = barilotto di legno.
I Galli hanno rivoluzionato il concetto del bere rispetto all’antica Roma, dove lo stordimento e l’ubriachezza era considerata un’espressione divina. Insomma, la Francia, prima erede dei Galli, ha insegnato a tutto il mondo a bere bene ma in maniera sobria.
La grande svolta, dal punto di vista delle tecniche di realizzazione dei barili in legno, si ebbe nella Gallia Cisalpina, dove le popolazioni di origine celtica svilupparono una fiorente agricoltura a ridosso di grandi massicci forestali ed anche una notevole abilità nella lavorazione del legno. I cereali prodotti venivano conservati in botti dalla tipica forma "panciuta", che tuttora utilizziamo, perché comoda da far rotolare e così più maneggevole per lo spostamento; inoltre la resistenza di questi barili era tale da resistere ai gas prodotti dalla fermentazione dei cereali per l'ottenimento della birra e così facendo la bevanda otteneva la sua tipica caratteristica frizzante; inoltre i celti utilizzavano leghe di metalli per la cerchiatura dei contenitori, unica parte di cui sono stati fatti ritrovamenti, per via della facile deperibilità del legno a confronto con le anfore di terracotta. Grazie ai grandi commerci dell'Impero ci fu una notevole diffusione di questi innovativi e pratici contenitori, anche se le cerchiature vennero in gran parte sostituite con sarmenti perché meno costosi, più facilmente reperibili ed elastici e che fornivano una ulteriore protezione alla botte per il trasporto via terra.
dacomo 9/3/21