L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

LA STORIA DEL VINO - 1a PARTE

2021-03-25 13:42:48

QUAL'E IL “PALMARES” DELL’AZIENDA VINICOLA PIU’ ANTICA D’ITALIA, CHI SE LA GIOCA TOSCANA, PIEMONTE O SICILIA! ECCONE VENTI PARTENDO DALLA MENO DATATA! 

                                                cantine antiche di Sella&Mosca

20° POSTO - 1899 è per più ragioni una data storica per la Sardegna: risale a quell’anno, ad esempio, la prima visita ufficiale di un Re d’Italia, Umberto I, nell’isola che fino a pochi decenni prima era stata sabauda. Nello stesso anno, i cognati piemontesi Erminio Sella (ingegnere, nipote dello statista Quintino Sella) e Edgaro Mosca, avvocato, decisero di avviare l’ardua impresa di bonificare i 15 ettari di terreno della tenuta di Nuraghe Maiore, nell’agro alle spalle della città di Alghero chiamato I Piani, per trasformarlo in un pioneristico vivaio per la produzione di barbatelle. In un momento fiorente per la grande industria italiana – nel ‘99 nascevano anche la FIAT a Torino e la San Pellegrino in provincia di Bergamo – e in piena crisi viticola dopo che la fillossera aveva devastato gran parte dei vigneti europei, i due, legati da vincoli familiari e da una comune idea imprenditoriale, capirono quanto fosse necessario ripartire da nuove vigne basate sull’apparato radicale della vite americana e sull’apparato aereo della vitis vinifera. E scelsero di farlo proprio qui, in una terra bella e incontaminata ma difficile sotto molti punti di vista, destinata perlopiù a pascolo. Nacque così l’impresa vivaistica rimasta in attività fino ai primi anni 50, quando l’azienda si dedicò totalmente alla produzione vitivinicola nata già agli inizi del ‘900. La loro lungimiranza avrebbe portato, nel corso dei decenni, alla creazione del più grande vigneto unico d’Europa: circa 550 ettari che oggi abbracciano la zona meridionale de I Piani – parte di una proprietà di oltre 600 ettari che comprende anche l’ampio centro aziendale, diverse cantine storiche e abitazioni padronali d’epoca, intervallate da oleandri, pini marittimi, palme ed eucalipti – cui si uniscono 15 ettari in Gallura e 6 nel Sulcis, sulla costa sud occidentale dell’isola. Intuizione sabauda, lavoro e caparbietà sarde, sono stati a lungo alla base di una storia di successo che ha portato ricchezza e sviluppo in quest’angolo di Sardegna, rappresentando nel mondo intero il vessillo della vitivinicoltura sarda con vini epocali come l’Anghelu Ruju, vino liquoroso rosso ottenuto da uve cannonau passite al sole e fortificato d’alcol, che porta il nome dell’affascinante necropoli prenuragica poco distante. Una storia che però, nel corso degli ultimi decenni, s’è fatta travagliata e meno lineare: entrata a far parte del Gruppo Campari nel 2002, ceduta dagli eredi dei fondatori che ne avevano tenuto le redini fino a quel momento, la cantina non ha forse avuto le attenzioni (e gli investimenti) necessari a valorizzare un’eredità così importante e impegnativa. Slancio arrivato nel 2016 con l’acquisizione da parte del Gruppo Terra Moretti.
19° POSTO - Fine ‘800: Il Barolo chinato nasce nella zona di produzione del Barolo, in particolare a Serralunga d’Alba, alla fine dell’800, per opera del farmacista Giuseppe Cappellano e poi sviluppato e promosso da altri produttori fra cui Giulio Cocchi di Asti a partire dal 1891.
18° POSTO - Fine ‘800: Dagli archivi di famiglia si attesta che dal 1337 i terreni a San Martino Alfieri sono “vineati a philari”. Ancora oggi nei più bei sorì dell’azienda, con viti di oltre 70 anni, si producono uve di grande qualità. La superficie vitata totale è di 21 ettari, di cui 16 ettari a Barbera e la restante parte suddivisa tra Pinot Nero, Grignolino e Nebbiolo. Tutte le vigne, allevate a Gujot, presentano un tappeto erboso naturalmente selezionato nel corso degli anni. Tra luglio e agosto si effettua il diradamento dei grappoli volto a ridurre e migliorare la qualità delle uve. Gli Alfieri, signori di San Martino, hanno legato il loro nome alla storia del Piemonte e dell'Italia. Tra questi l’architetto Benedetto, il poeta Vittorio e il presidente del Senato Cesare Alfieri che collabora alla stesura dello Statuto Albertino nel 1848. Giuseppina Cavour, nipote del grande statista Camillo Benso conte di Cavour, sposa il marchese Carlo Alfieri. Ed è proprio il Cavour a migliorare la produzione viticola piemontese ed introdurre l’uva Pinot Nero a San Martino. Nel 1982 il marchese Casimiro San Martino di San Germano, cugino della famiglia Alfieri riceve la proprietà rilanciandone la produzione vitivinicola. Oggi le sue tre figlie Emanuela, Antonella e Giovanna conducono l’azienda Marchesi Alfieri.
17° POSTO - 1878: La tenute e le cantine di Fontanafredda furono volute da Emanuele Guerrieri Conte di Mirafiore, figlio di Vittorio Emanuele II e della Bela Rusin, nel 1878, grazie alla passione e alla lungimiranza del Conte che inizio l’attività commerciale proprio in quell’anno. La più che centenaria casa vinicola (con circa 54 ettari vitati) merita una visita, in particolare la Casa di caccia della Bela Rosin, che, sapientemente restaurata, conserva tutto il fascino ottocentesco. Sui velluti dei suoi salotti si consumò la tresca amorosa tra il re Vittorio Emanuele II e la bella popolana Rosa, diventata poi contessa di Mirafiori e moglie morganatica del re.
16° POSTO - 1878: Ecco a voi “Mastroberardino”. La sua attività inizia attorno alla seconda metà del ‘700, su un territorio ancora disabitato, l’attuale Atripalda in provincia di Avellino. I primi documenti risalenti alle iscrizioni alla Camera di Commercio risalgono al 1878 da parte del Cavaliere Angelo Mastroberardino, trisavolo di Piero, l’attuale presidente: è da qui che parte ufficialmente la storia di una delle aziende vinicole più importanti d’Italia. Cantina di eccezionale rilevanza, per alcuni sinonimo stesso della Campania e del suo fascino unico, quella della famiglia Mastroberardino è realtà da sempre in grado di coniugare al meglio tecnica e passione, grandi numeri e qualità. Un’azienda che da allora ha protetto e divulgato i grandi valori del territorio irpino senza mai cedere alle mode del momento ed anzi continuando sulla strada tracciata dai suoi fondatori.
15° POSTO - 1870: Ciò che oggi più interessa è che nella "archeologia" del Brunello di Montalcino, vino ormai più che centenario, compare con chiara evidenza il nome di Tito Costanti, conte ed avvocato, impegnato anche nelle professioni liberali come da costume del suo secolo; a lui insieme ad altri produttori montalcinesi, risalgono le prime tracce del nome "Brunello" e per i vini di Montalcino. Tito Costanti presentava infatti sotto questo nome all'Esposizione Vinicola della provincia di Siena dell'agosto 1870 un vino (di gradazione alcolica di 14 gradi) prodotto nella vendemmia 1865; è sorprendente come nelle creazioni enologiche di Tito Costanti fosse già delineato il contenuto di quelli che sono gli attuali disciplinari di produzione dei vini Brunello D.O.C.G e Rosso di Montalcino D.O.C. Infatti Tito, nell'occasione sopra menzionata, presentava un primo vino vecchio di 5 anni, denominato Brunello, ed un altro vino, prodotto nell'anno 1869 (che chiama ancora Brunello) che egli riteneva ancora degno di questo nome anche se vecchio di un solo anno.
14° POSTO - 1844: Qualche anno più tardi, anche Camillo Benso Conte di Cavour, sindaco di Grinzane, contribuì alla diffusione e all’affermazione del vino, avviandone una produzione propria grazie alla collaborazione dell’enologo francese Oudar, nacque così lo stile moderno del Barolo, e utilizzandolo come vino istituzionale, rappresentante prima di casa Savoia, poi del Regno di Sardegna e infine del Regno d’Italia. Si dice addirittura che nel corso dei festeggiamenti per l’Unità d’Italia non si fece altro che bere Barolo !!! Al suo arrivo nella tenuta di Grinzane il giovane Cavour comprese presto le potenzialità naturali del territorio e in particolare della viticoltura. Decise perciò di incrementarla, promuovendone la collocazione sulle parti collinari e solo sui versanti maggiormente esposti. Come sappiamo, prima di lui in questa località erano già presenti vigneti, ma non si prestava attenzione alla produzione di vini di particolare qualità. Cavour chiamò ad affiancarlo nella sua azione il generale Paolo Francesco Staglieno, esperto agronomo ed enologo, conosciuto per la sua grande competenza. Non a caso Staglieno verrà in seguito scelto dal re Carlo Alberto per dirigere le cantine della tenuta reale dell’Agenzia di Pollenzo, in quel tempo il più importante luogo di sperimentazione agricola ed enologica del Regno. Lo Staglieno, considerato dagli studiosi il precursore della nuova enologia piemontese, migliorò notevolmente le procedure di vendemmia e affinò i processi di fermentazione e vinificazione, ottenendo importanti risultati qualitativi e un notevole aumento delle vendite di vino.
13° POSTO - 1832: Vincenzo Florio acquista un terreno, in un tratto di spiaggia situato fra i bagli di Ingham e di Woodhouse, e li costruisce le Cantine Florio che rispecchiando lo stile tipicamente anglosassone dell’epoca, con ampi archi a sesto acuto e pavimenti in “battuto” di polvere di tufo. Lo stabilimento suscita grande ammirazione ed accentua il carattere industriale della città di Marsala, che diventa uno dei centri più ricchi della Sicilia.
12° POSTO - 1838: Carlo Alberto di Savoia, interessato e ammirato per i vini che venivano prodotti nella zona del Barolo, acquistò le proprietà di Verduno e Pollenzo ed affidò al generale Staglieno, enologo ammiratore della Francia, la cura dei vigneti e la produzione del vino nei vari possedimenti.

11° POSTO - 1830: i due fratelli Tasca acquistarono la “Tenuta Regaleali”, un’isola verde al centro della Sicilia, nell’antica Contea di Sclafani. Da allora, generazione dopo generazione, siamo custodi di questo territorio, condividendone con passione i suoi frutti. Villa Tasca, che nell’Ottocento era attorniata dai vigneti, è la casa; il cuore dell’azienda è Regaleali, la tenuta di famiglia. Regaleali è stato un esempio di trasformazione da vecchia a nuova azienda agricola in Sicilia. Il professor Scifò scrisse sul Lucio, primo conte d’Almerita, avo dell’attuale: «Oltre alla fortuna, aveva ereditato il talento ad occuparsi, a pubblica utilità di una vasta impresa rurale»
antonio.dacomo 24/3/21