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LA MACCHINA DEL TEMPO

2021-05-11 16:58:51

I CAFFE' DI TORINO, I PIU' BELLI D'ITALIA - 2a PARTE

Continuo con questa descrizione dei più belli Locali Storici di Torino:
Caffè confetteria Baratti & Milano, nell’angolo di piazza Castello proprio all’ingresso della Galleria Subalpina, è un Caffè frequentatissimo, prezioso esempio di gusto tardo-Liberty, una tradizione per i torinesi come le sue celeberrime caramelle e i suoi famosi gianduiotti.
Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano, i soci fondatori nel 1858 dell’omonima ditta dolciaria canavesana con sede in via Doragrossa, l’attuale Via Garibaldi, nel 1874 presentarono un primo progetto del locale di confetteria contemporaneamente all’apertura della Galleria delle Industrie Subalpine . Il primo nucleo è costituito dalla lunga sala rettangolare che si affaccia con le sue vetrine sulla galleria dell’Industria Subalpina, realizzata da Pietro Carrera, con un solo ingresso dai portici di Piazza Castello. Al negozio viene concesso di potersi fregiare, quale ditta fornitrice della Real Casa, degli stemmi di Re Vittorio Emanuele III e del Principe Amedeo d’Aosta e da subito diventa una delle sale da tè più frequentate della città.
Costituita in Società nel 1899, Baratti&Milano nel 1905, la proprietà deposita nel 1906 un “Marchio di Fabbrica” a tutela dei prodotti del laboratorio del prestigioso negozio: la pasticceria, il cioccolato e le caramelle entrati nella storia e nel costume della tradizione dolciaria torinese.
Nel 1909 vengono acquistati altri due locali da adibire a caffetteria e liquoreria e, su indicazione dello scultore Edoardo Rubino, oramai noto a Torino, viene chiamato l’architetto del momento, il bolognese Giulio Casanova (titolare dal 1920 al 1940 della cattedra di Decorazione e Ornato all’Accademia Albertina di Torino) autore del progetto, che cura anche la realizzazione degli arredi e di tutte le parti decorative esterne e interne, con la collaborazione, per le parti scultoree, dello stesso Rubino. Il progetto, conservato tutt’oggi presso l’Accademia Albertina, aggiunge al locale originario le sale che si affacciano sul sottoportico di piazza Castello. La ristrutturazione e la decorazione interna termina nel 1911, alcuni mesi prima dell’Esposizione Internazionale di Torino: la caffetteria rappresenta un lussuoso esempio del gusto post-liberty di Giulio Casanova ed Edoardo Rubino, interpreti straordinari e singolari delle tendenze artistiche che precedono e caratterizzano l’Esposizione. Moltissime e importantissime le citazioni positive di riviste e critici d’arte e d’architettura del periodo.
Nel 1943 i bombardamenti della seconda guerra mondiale danneggiano gravemente il locale e con la guerra ancora in atto si inizia la ristrutturazione della caffetteria, interrotta e poi ripresa tra il 1946 ed il 1948. Il fedele recupero dell’arredo testimonia la ferma volontà di non privare la città di una tessera centrale del proprio tessuto socio-culturale.
Nel 1985 il ministero dei Beni culturali e ambientali pone il vincolo di tutela su locale e arredi a cui si è conformato il restauro conservativo, realizzato dalla nuova proprietà nel 2003, per riportare gli arredi, gli stucchi, i decori, i marmi, gli intarsi in legno, la facciata e le vetrate allo splendore delle origini del prestigioso locale. In quell’occasione è cambiato l’uso degli spazi con lo spostamento del bar nella sala della confetteria, verso la Galleria.


Affezionati clienti del caffè Platti di Torino, aperto fin dal 1870, furono Luigi Einaudi e Cesare Pavese. Ancora un ambiente ottocentesco per questo locale storico e tante specialità torinesi tra cui spiccano le paste di meliga e ovviamente i gianduiotti.
Il caffè Platti, storico bar della Torino d’inizio Novecento all’angolo tra corso Vittorio Emanuele II e corso Re Umberto, uno dei ritrovi più cari ai torinesi, non ha mutato stile nonostante l’avvicendarsi delle gestioni negli ultimi anni. Apre nel 1870 come liquoreria Principe Umberto e nel 1890 viene rilevato da Ernesto e Pietro Platti; nel 1999 e ancora nel 2015 è completamente ristrutturato, compresi cucine e laboratori sotterranei.
La devanture a monoblocco, presenta disegno, particolari decorativi, tecniche di lavorazione del legno molto vicini a quelli utilizzati per la sala interna della confetteria, eseguita dalla ditta Valabrega. Si può quindi ipotizzare l’intervento della stessa per l’esecuzione della fronte esterna, la cui struttura più lineare, originariamente verniciato a stoppino su zoccolo in marmo verde Alpi, è completata da una grande portinsegna con cornice in noce; al centro delle due devanture affiancate è collocata una bacheca con l’insegna dipinta su tavola, decorata alla sommità con un medaglione in aggetto e festone in ottone.
Due ingressi con vetrine semicurve introducono a sale diverse che testimoniano trasformazioni  successive, dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta del secolo successivo: la confetteria, il caffè bar, la sala da the. La confetteria dal giugno 2017 è gestita dal marchio del rinomato cioccolato torinese Guido Gobino.

Un po’ più recente rispetto agli altri locali storici, il Caffè Torino fu inaugurato agli inizi del Novecento. Anche qui in un’atmosfera di altri tempi, tra marmi pregiati e lampadari sontuosi, potrete gustare alcune delle tradizionali delizie torinesi come ad esempio i gianduiotti.
Dal 1934 nei locali di piazza san Carlo, fra i camini e i fregi dorati delle discrete salette e nel vivace dehors, il Caffè Torino è un intramontabile salotto di eleganza subalpina che ha visto avvicendarsi clienti illustri.
Il caffè apre nel 1903, addossato al convento dei Padri Serviti della chiesa di San Carlo, all'incrocio tra via Roma e via Alfieri, all'angolo della piazza, soprannominato per la sua collocazione café d’la Sacrestia.
All’inizio degli anni Trenta, con il rifacimento di via Roma l’immobile in cui era ospitato viene sventrato per far spazio al nuovo portico. Nel 1934 il caffè si trasferisce quindi sotto i portici di piazza San Carlo e rinnova il suo arredo interno, riprendendo negli scaffali, nei banconi, nei caminetti e nelle specchiere i temi del barocco piemontese, recuperando anche alcuni elementi e attrezzature della vecchia sede, compreso il registratore di cassa di produzione americana.
Salotto pubblico molto amato dal principe Umberto I di Savoia, dopo la guerra, da cui uscì miracolosamente indenne, il Caffè Torino conobbe negli anni ’50 una nuova stagione “glamour”. Illustri i frequentatori: da Pavese a Macario, da Einaudi a De Gasperi. Ma anche i miti del cinema: James Stewart, Ava Gadner, Brigitte Bardot.
Rinomato per il caffè, i bonbons e i pasticcini, verso la fine degli anni Settanta ha ampliato l'attività con il ristorante L'Infernot.
I restauri del 1998 hanno ridato colore agli stucchi, alle dorature e agli affreschi deteriorati dal tempo, sostituito tessuti ormai sbiaditi con stoffe francesi e inglesi. A un gusto più recente rimandano le eleganti suppellettili in alpacca argentata di produzione dei Fratelli Calderoni, dei tardi anni Trenta: zuccheriere, teiere, brocche e cioccolatiere; gli arredi esterni con le belle sedie in ferro sono della ditta Fornasetti
Davanti alla porta d’ingresso, a terra, il toro rampante in lastra di ottone, un talismano torinese che porterebbe fortuna pestandolo in un posto delicato.

Il Porto di Savona, Ristorante, è situato nel sottoportico della piazza, è uno dei più antichi ristoranti di Torino, dal menù tipicamente piemontese, con ambienti che conservano l’atmosfera delle trattorie di un tempo.
A fine Settecento era prospiciente al punto d’approdo in città per le diligenze che arrivavano dalla Liguria e in particolare dal porto di Savona, di grande importanza mercantile per Torino. La locanda con stallaggio, già nota quando la piazza, costruita tra il 1825 e il 1830 dal luganese Giuseppe Frizzi per volere di Vittorio Emanuele I, non era che uno spazio aperto, è menzionata tra le trattorie della città con il suo nome attuale dal 1863, ripreso quindi in un disegno datato 1872 in cui il progetto per l'insegna del locale si inserisce nella centina del portale riprendendone la forma (ASCT, TD.94.2.185).
La continuità dell’esercizio, con il suo carattere ottocentesco, viene mantenuta per tutto il Novecento e fino ai giorni nostri.
La devanture a serramenti lignei in luce è costituita da una semplice cornice in pietra che sottolinea l’ingresso; essenziale anche la targa in vetro nero con iscrizione oro.
Al piano terra si trovano tre salette, di cui una con affaccio sui portici, e poi un’altra più grande, tappezzata da fotografie di fatti e ricorrenze degli inizi del Novecento. Intorno al 1950 una ristrutturazione sostituisce la boiserie nella saletta a lato dell'ingresso e i pavimenti del piano, oggi in seminato veneziano. Lo rendono particolare i mobili originali, gli attrezzi e macchinari e una gloriosa affettatrice Becker degli anni Quaranta, perfettamente funzionante. Una scala in pietra con bel mancorrente e lambris dagli accenni liberty porta al piano superiore con ulteriori due sale.

Il Caffè Elena è affacciato sotto i portici di piazza Vittorio Veneto, questa storica e vivacissima caffetteria molto frequentata dai torinesi – un tempo il bar preferito dallo scrittore Cesare Pavese, ha conservato immutati arredamento e l'atmosfera discreta del primo Novecento.
L'insegna della ditta Carpano dipinta su vetro nella lunetta della sovrapporta dell'ingresso è un omaggio al suo fondatore Giuseppe Carpano che qui, tra il 1899 e il 1902, mise a punto la ricetta del suo vermouth, elisir di vino bianco ed erbe inventato a Torino nel 1786. Il locale si apre nel sottoportico con due accessi a portale in marmo rosa che incorniciano i lineari serramenti in legno rischiarati da lampioni a parete. L'insegna del caffè Elena è composta da lettere applicate direttamente sulla parete dell'edificio.
Gli arredi interni risalgono a fine Ottocento-primo Novecento. Il solenne bancone dal rosone scolpito al centro, forse della ditta Strola, proviene dal Caffè Nazionale di via Po; attualmente risulta modificato in corrispondenza del passaggio al retro. A destra dell'ingresso si apre una calda saletta con boiseries a semplici pannelli rettangolari, specchi, due dipinti di G.M. Bertagna, tavolini dal piano in breccia rossa, sedie e poltroncine d'epoca.

Il Bar Nostradamus, già caffè Cernaia, è affacciato sui portici prospicenti l'omologa Caserma Cernaia, il caffè conserva l'arredo interno sobrio ed elegante del 1927, largamente ispirato ai modelli dell'eclettismo tardo-ottocentesco. 
Il locale, che ha subito significativi interventi esterni e interni, conserva nella prima sala il bancone, il banco-cassa e la boiserie su tutta la fascia perimetrale e sul pilastro centrale, realizzati dalla ditta Chiappa: pannelli intagliati alternati a ampi specchi, intercalati da lesene a capitello ionico, fregi floreali e modanature a ovolo, decorazione apicale a scudo dorato. La pannellatura nella parte inferiore della boiserie risulta sostituita con imbottitura.
Il piano del bancone, in lega di stagno e argento, è della ditta Strola, molto attiva nella Torino degli anni Venti del Novecento.
Pendola in stile e suppellettili e vasellami in parte originari.

Malabar, ex Casa del Caffè. Significativo caffè degli anni Venti del Novecento il cui insieme è conservato pressoché integralmente
Il Caffè conserva l’allestimento realizzato negli anni Venti del Novecento da Emilio Grifetti (1883-1940), decoratore della Valsesia, ispirato alla confetteria Romana e Bass dell’architetto Giulio Casanova. Torrefazione di grande successo, di qui nasce la ditta Caffè Vergnano, che in seguito trasferisce il laboratorio.
Nel 1951 un nuovo intervento decorativo si sovrappone a quello originario con l’inserimento nella devanture, nella bussola dell’ingresso, e nella boiserie della parete di fondo, di pannelli piastrellati e dipinti con scene di raccolta del caffè di V. Taccia.
L'attuale gestione, subentrata nel 1985, ne ha fatto vetrina di rappresentanza del noto marchio di caffè Malabar.
La devanture d’affaccio sul sottoportico, un monoblocco ligneo su zoccolo in serpentino, è scandita da imponenti semicolonne in noce verniciato a stoppino, con capitelli ionici dorati che sorreggono l’importante portinsegna dalla cornice intagliata a motivi neoclassici.
Oltrepassata la soglia in marmo verde della val Roja si accede all’ampio salone rivestito dalla boiserie in noce. Dichiaratamente decò i particolari dell’arredo dell’interno: gli ottoni traforati, con arabeschi in stucco, gli stucchi del soffitto, le decorazioni delle scaffalature.
Le stesse lesene dell'esterno ritmano le scaffalature, su sfondi in specchio molato, e tornano sul fronte in mogano del bancone angolare, ad affiancare un motivo a grossa losanga curvilinea. Anche la borchia decorativa, sovrapposizione di quadrati concentrici digradanti, ruotati ognuno di 90 gradi rispetto al precedente, si ripete a ornamento dei pannelli del bancone, del fregio della boiserie, delle mensole bronzee che sorreggono i piani della scaffalature, delle grate in bronzo entro cornici in stucco in alto sulle pareti, uno dei quali racchiude l’orologio, sul monoblocco.
Lo Storico Caffè Pepino in Piazza Carignano è il fiore all'occhiello del marchio Gelati Pepino 1884, azienda famigliare che, con oltre un 130 anni di attività, produce gelati di alta qualità da ben cinque generazioni.
E’ il 1884 quando Domenico Pepino, gelatiere partenopeo, apre un piccolo laboratorio in piazza Carignano nella casa del conte Morelli,  e poi in piazza Solferino 1, a due passi dalla Cereria Conterno,  la “Vera Gelateria Napoletana”, laboratorio artigianale di gelati e sorbetti.
In pochi anni la gelateria  diventa il simbolo della grande pasticceria fredda a Torino. L’alta qualità e poi l’innovazione di lavorazione riconoscono all’azienda di gelati Pepino ben 4 stemmi reali, ricevuti tra il 1910 ed il 1932, con il titolo di fornitore di Real Casa. Nei primi anni di attività, Pepino partecipa anche alle alla prestigiosa Esposizione Generale Italiana del 1898 e alle Esposizioni Internazionali del 1902 e del 1911.
Nel 1916, pur mantenendone il nome, la gelateria di piazza Solferino viene ceduta con i suoi brevetti e  le sue ricette segrete all’industriale dolciario Giuseppe Feletti e al genero Giuseppe Cavagnino, già affermato industriale alimentare (“Estratti di carne Sole”) ed imprenditore illuminato, che danno un nuovo impulso alla produzione della ditta.
Nel 1929 la gelateria si trasferisce in piazza Carignano, dove si trova tuttora, con la denominazione “Gelateria Napoletana Pepino”, nei locali inseriti nell’elegante profilo dell’edificio che ospita il Teatro Carignano, prima appartenenti al Grande Ristorante Carignano, ex Ristorante Birreria Maffei, già Dreher. Nello stesso anno la produzione della gelateria si sposta nel nuovo grandioso laboratorio in via Verdi 33, inaugurando una nuova fase di maggior impulso commerciale grazie anche all’adozione del ghiaccio secco per l’esportazione dei prodotti; delizie richieste dai migliori ristoranti della città e spediti, secondo le cronache, anche a Roma a Benito Mussolini oltre che ai più importanti matrimoni e banchetti europei dell’epoca. Grazie all’uso del ghiaccio secco verranno quindi aperte le sedi  di Milano, Roma, Alassio, Nizza e Parigi, confermandosi così come i primi produttori di gelato ad aprire sedi fuori dal proprio territorio di origine ed oltre i confini nazionali.
Nel 1939 l'azienda inventa e brevetta quello che è considerato il suo prodotto più rappresentativo: il famoso Pinguino, un gelato da passeggio su stecco, ricoperto di cioccolato, divenuto nei decenni il gelato più imitato, prodotto e consumato del mondo.

Caffè Bar Università. L’imponente cornice è testimonianza delle ricca decorazione dei caffè di via Po, oggi quasi tutti scomparsi, ma la cui memoria è tramandata dalle guide cittadine dell’Ottocento.
Prende nome dalle vicine sedi universitarie, situate storicamente tra via Po e via Verdi.
Il locale oggi conserva, come unica testimonianza delle sue vicende storiche, l’arredo esterno costituito da una notevole devanture lignea di inizio Novecento, con inserti di lastre di calcare brecciato che costituiscono l’alto basamento e ovali decorativi entro incorniciature a decorazione in bronzo brunito. La struttura è formata da tre moduli verticali, due vetrine di cui una contiene l’ingresso, e da un architrave che sostiene un grande portinsegna in legno, riccamente decorato: su un pannello in marmo è applicata l’insegna a caratteri in bronzo, oggi illuminata da neon.
All'interno, le due sale del caffè hanno conservato la decorazione a stucco originaria sui soffitti con incorniciatura floreale e tondo centrale, mentre l'arredamento in stile neo-liberty, compresi i serramenti dell'ingresso-vetrina che hanno sostituito i precedenti in alluminio anodizzato tinta oro, introdotti negli anni Ottanta del Novecento, sono di recente fabbricazione e non stilisticamente coerenti con la massiccia devanture.

L'Antica Piazza delle Erbe, ex Nuovo Talmone, già Caffè Raviolo. Il caffè è una delle poche attività commerciali nell’area di via Palazzo di Città che conserva, in parte, il suo arredo storico del primo quarto del Novecento.
Trasferito in questa sede nel 1935 con la demolizione della vecchia via Roma dalla sede all’angolo con via Bertola, il caffè conserva alcuni arredi precedenti (1911): i tavolini con fusto a quattro volute su alto basamento e ripiano ottagonale, il banco cassa e il bancone su zoccolatura di marmo nero, in legno con pennellature intagliate a losanga intervallate da mensole aggettanti, semicolonne affiancate da volute e piano di lavoro in lega di stagno e argento della ditta Strola.
Degli anni Trenta sono i rivestimenti delle pareti, con lesene e capitelli alternati a specchiere e cornice superiore ancorata alle pareti e alcuni tavoli da gioco rettangolari. Vere pregevoli rarità, ancora funzionanti, la rubinetteria in ottone, la spina per spillare la birra decorata con protomi taurine e la monumentale macchina del caffè.


La Moderna Torrefazione Caffè è al lato del Municipio, la sobria devanture in noce è ciò che resta del passato di questo vivace bar dagli imperdibili panini, che agli aromi del caffè affianca quelli di tè selezionati.
La devanture a monoblocco in legno di noce, rimaneggiata rispetto al disegno originale, è formata da una gioielliera centrale schermata da un pannello serigrafato retro-illuminato, con ai lati una vetrina e un ingresso. Il portinsegna è composto da una cornice in legno arcuata nella parte centrale, le relative paraste con mensole scolpite sono originali ma lo store centrale e le vetrate con piombature della porta d'ingresso sono del 1975, quando anche l'interno è stato ristrutturato eliminando tutto l'arredo originario. Lo zoccolo è in granito rosa di Baveno, non originale.

Il Caffè Vittorio Veneto è all’angolo di via Po con piazza Vittorio Veneto, ristrutturato nel 1948 e completamente rifatto nel 1996, conserva la devanture originale che risale all’ultimo quarto dell’Ottocento.
Il locale apparteneva un tempo alla famiglia Biancardi, nota dinastia di pasticceri, interpreti della migliore tradizione dolciaria torinese. Passato attraverso numerose gestioni, interamente rifatto nel 1996, il locale dal 2003 punta a nuovi modelli commerciali, dalle colazioni agli aperitivi.
L'originale struttura a monoblocco era rivestita in marmo rosso levanto oggi alterato dalla pesante ristrutturazione del 1948. Sempre nella struttura a monoblocco è compreso il rinvestimento dello zoccolo oggi sostituito da piastrelle policrome in ceramica e gli stores, sostituiti anch'essi con altri moderni, sempre in vetro. Le parti originali superstiti sono montanti in ferro e ghisa che incorniciano le aperture, il portinsegna ad angolo con la data 1878, suddiviso in tre parti da fregi a foglia, e un’aquila imponente ad ali spiegate realizzata in gesso dipinto e dorato, a coronamento dell’angolo.
Gli spazi interni al piano terra hanno conservato la decorazione in stucco nelle belle e ariose volte che caratterizzano la sala della caffetteria, con boiserie con specchi e mobilio completamente rifatto in stile nel 1996.

Il Caffè Vergnano, ex Caffè Negrita, già Café français, all’angolo tra via Sacchi e corso Vittorio Emanuele II, di fronte alla stazione di Porta Nuova, conserva del negozio storico la facciata in marmo di inizio Novecento mentre l'arredo interno è perso da tempo. Dal 2017 riapre come punto vendita Caffè Vergnano completamente rinnovato.
Aperto nel 1875 da Giovanni Canavesio, fino al 1928 si chiama Café français e ha il piano interrato occupato da una sala da biliardo. Tra il 1928 e il 1970 gli interni sono trasformati portando la torrefazione al piano interrato e il bar a piano terreno.
Nel 1925 rileva la gestione Giuseppina Valenzano: a questa data risale probabilmente la devanture, simmetrica sulle due vie, realizzata dalla Ditta Catella di Torino con zoccolo nero e pareti rivestite da marmi policromi. I serramenti in luce, non più originali, sono evidenziati da una cornice in marmo verde Alpi. Sulla parte d’angolo si trova un interessante fregio cantonale in stucco con ai lati due supporti per targhe in ottone per le indicazioni stradali di gusto neo-barocco.
L’interno risulta da tempo completamente rifatto: fino all'ultimo passaggio di gestione nel 2017, dell’arredo storico rimaneva già solo uno specchio alle spalle della cassa.
Due bacheche a pilastro di inizio Novecento, in cattivo stato di conservazione, non utilizzate dal bar, stanno di fronte agli ingressi: la prima, d’angolo, ha zoccolo in marmo rosso di Verona e struttura in ferro con decori in ghisa, la seconda ha struttura in legno.
antonio.dacomo 11/5/21

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