L'UOMO DELLA TAVOLA

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LA MACCHINA DEL TEMPO

2021-05-09 08:17:02

I CAFFE' DI TORINO, I PIU' BELLI D'ITALIA - 1a PARTE

I primi locali adibiti alla mescita sono documentati già nel Cinquecento, ma risale all'Ottocento la loro grande diffusione e trasformazione. Ben presto essi si specializzano e si differenziano per arredi e dimensioni: bar e vermouthieri hanno di solito spazi più ridotti e arredi più sobri rispetto ai caffè. I caffè, segnalati all'esterno da una devanture in legno, sono spesso costituiti da numerosi locali il cui arredo ripropone l'atmosfera del salotto elegante. Le diverse sale, ognuna con una specifica funzione (sala lettura, sala gioco, fumoír, ritrovo per le signore), rivestite da alte boiseries, accolgono poltrone e sofà imbottiti da velluti e broccati, lampadari di cristallo, dipinti e decorazioni a soffitto. Il bancone è sovente in legno pregiato con inserti in ottone e piano in marmo, mentre le scaffalature retrostanti sono sorrette da colonnine tortili con una superficie specchiante che moltiplica bottiglie e contenitori. Tra Otto e Novecento l'arredo dei caffè muta con l'evoluzione del gusto e sparisce la distinzione dei locali. La progettazione e l'esecuzione dell'interno e dell'esterno della bottega sono affidate ai più valenti artigiani e professionisti. Per i banconi, dalla sagoma più articolata, si usano marmi screziati e inserti in rame e ottone, con piani spesso in alluminio e stagno. Compaiono le prime macchine per il caffè espresso. Le realizzazioni successive ripropongono invece lo stile aristocratico del salotto piemontese, con ambienti di ispirazione settecentesca. I ristoranti si differenziano secondo la loro ubicazione: le locande poste sulle vie d'accesso alla città garantivano, oltre al cambio dei cavalli, un ristoro economico per i viaggiatori e nel tempo si sono trasformate in trattorie. Dall'evoluzione dell'attività di confettieri, distillatori e acquacedrari nascono invece in città nuovi ed eleganti locali per la ristorazione, di cui il Cambio rappresenta un caso esemplare.
il Bicerin era il caffé prediletto da Camillo Benso Conte di Cavour. La sua specialità è ovviamente il famoso bicerin, tipica bevanda calda torinese a base di caffè, cioccolata e crema di latte, di cui il locale detiene (gelosamente) la ricetta originale.
Storico caffè situato di fronte al Santuario della Consolata, conserva intatta l'atmosfera accogliente di una tipica cioccolateria dell'Ottocento. Qui si servono le specialità torinesi: zabajone, vari tipi di cioccolato in tazza e il "bicerin".
Aperto nel 1763 dall'acquacedratore e confettiere Giuseppe Dentis in un fabbricato preesistente a quello attuale, è poco più che un'osteria arredata con modestia di fronte al Santuario della Consolata. A metà Ottocento il palazzo viene ristrutturato, il locale si rinnova e prende il nome di Caffè della Consolata, ben presto sostituito dalla denominazione odierna "Al Bicerin" in onore della corroborante bevanda che rinfrancava gli avventori. Fin dall'inizio del secolo scorso, il caffè è gestito dalla famiglia Cavalli, che abita nell'ammezzato collegato al retro del negozio con la scala a chiocciola. Olga Cavalli ne lascia la gestione nel 1975 al proprietario dei muri, Guglielmo Alberghini, cui succede Maria Teresa Costa nel 1983. La bevanda costava 20 centesimi e verso il 1840 diviene esclusiva dei caffè più in voga della città. Discendente dalla bavareisa, servita in grandi bicchieri di vetro, già miscelato e dolcificato con sciroppo, il bicerin era una bevanda da assaggiare calda, tassativamente prima di mezzogiorno. Il caffè è frequentato da personaggi di ogni ceto sociale: da Camillo Cavour, Silvio Pellico, Alessandro Dumas padre, Giacomo Puccini, a fiorai, ambulanti, vetturini e chi, dopo la messa alla Consolata, viene qui a fare colazione. In epoca più recente il locale è stato meta di tanti protagonisti, italiani e stranieri, del mondo dello spettacolo, dell'arte, della politica e della cultura.
Dal 2006 al locale è affiancato un ulteriore ambiente, sulla sinistra, adibito a vendita dei prodotti della confetteria.
Fiorio, aperto nel lontano 1780, è un altro dei caffè storici che si trova nel centro di Torino, sotto i portici di via Po. Per tanto tempo è stato il locale della nobiltà sabauda, chiamato anche il caffè dei “codini” e dei “Machiavelli” per i vestiti e per le discussione che vi si tenevano. La sua specialità è sicuramente il gelato, al gianduia in particolare.
Lo storico locale aperto in contrada di Po sul finire del Settecento divenne, durante la Restaurazione, uno dei punti di ritrovo della nobiltà e per le sue frequentazioni luogo anche celebrato come caffè dei “codini”.
Dal periodo postunitario più volte rimaneggiato, è oggi, tra i numerosi caffè storici di via Po, uno dei pochi in attività.
“Che si dice al Caffè Fiorio?”. Sembra che con questa domanda tutte le mattine il re Carlo Alberto (1798-1849) aprisse le sue udienze, e a ben donde per un locale che, aperto intorno al 1780, rilevato poi dai fratelli Fiorio all’inizio dell’Ottocento, era diventato negli anni della Restaurazione il ritrovo preferito di intellettuali, aristocratici, ufficiali e diplomatici. Certo, il fatto che fosse conosciuto anche come caffè dei “codini”, dei “machiavelli” o peggio ancora caffè “Radetzky” (dal nome del generale austriaco che sconfisse i piemontesi nella prima guerra d’indipendenza nel 1848-1849) la diceva lunga sulle frequentazioni politiche del locale: irriducibili conservatori che si contrapponevano agli ardenti patrioti del caffè Calosso di via Dora Grossa, ora via Garibaldi. E la sua fama passò anche in letteratura se nel 1845 un anonimo scriveva: «Di nobilitade emporio/ chiuso alla plebe vile/ risplende il caffè Fiorio/ che in sua grandezza umile/ solo ornamenti apprezza/ del tempo di Noè:/ evviva la bellezza/ del nobile Caffè». Sempre nello stesso anno il locale venne rinnovato nell’aspetto grazie a divani di velluto rosso, specchiere, affreschi e sculture di celebri artisti come Francesco Gonin (1808-1889) e Giuseppe Bogliani (1805-1881). Ma frequentato anche dalla borghesia cominciava a non essere più il Fiorio di una volta, tanto che nel 1850 cambiò il nome in "Caffè della Confederazione italiana. Si dovette aspettare la fine del secolo perché la nobiltà ricominciasse a frequentare le dorate sale del “Caffè Fiorio”.
Il locale del 1780 si presentava al fruitore come un ambiente dimesso con la caratteristica principale di essere buio, a causa della scarsa illuminazione dalle candele: per ovviare a questo problema nei decenni successivi si fornì di molti specchi, così da poter amplificare l’illuminazione. Un'immagine dei come doveva presentarsi il caffè in quel periodo ci è fornita dalla sua insegna dipinta ad olio oggi conservata al Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama.
Con l’installazione dell’illuminazione a gas, in uso dal 1838, il modo di vedere e concepire gli ambienti interni cambiò notevolmente, non a caso nel 1845 vennero fatti importanti lavori di restauro all’interno del locale. A quest’epoca risalgono i salottini con divani e le sedie in velluto cremisi, ripresi e rimaneggiati nei primi del ‘900, le specchiere preziose che decorano le pareti e gli stucchi delle due sale principali, con modanature a motivi floreali.
Il locale ha subito nel periodo postunitario una lunga serie di rimaneggiamenti e ampliamenti tra i quali si segnalano, nei primi anni del Novecento, l'ingresso a bussola da via Bogino, l'allestimento della sala d'accesso verso il 1920, probabilmente nello stesso periodo in cui inizia, con la famiglia Sodano, la produzione e la vendita dei suoi rinomati gelati, e la creazione nel decennio successivo della sala da ballo e la formazione dell'attuale devanture

Uno dei luoghi di incontro degli intellettuali del Risorgimento, il caffè storico San Carlo è famoso soprattutto per le sue pregiate miscele di caffè. L’ambiente è sfarzoso, arredato con stucchi, statue e marmi pregiati. Di sera si trasforma in ristorante.
Sotto i portici dell’omonima piazza nel palazzo seicentesco già dei Turinetti di Priero, è uno dei caffè di più antica tradizione della città. Per anni roccaforte risorgimentale e poi ritrovo di uomini politici, intellettuali e artisti, il caffè storico è oggi famoso soprattutto per gli ambienti sfarzosi, arredato con stucchi, statue e marmi pregiati e per le sue pregiate miscele di caffè.
Il caffè San Carlo nasce all'inizio dell'Ottocento conosciuto anche con il nome di Caffè di piazza d'Armi, recuperando l'antica denominazione della piazza; fu uno dei primi caffè torinesi a dotarsi di decorazioni esterne per sottolineare il suo ingresso e a sperimentare l'illuminazione a gas.
Chiuso nel 1837 per «attività sovversiva», riapre dopo pochi mesi come Caffè Vassallo dal nome del nuovo proprietario,  sotto il vincolo "a non favorire [...] coinvolgimenti con la politica, l'azzardo, disordini di alcun tipo".
Per rilanciare il locale, Vittorio Vassallo chiama l'architetto luganese Giuseppe Leoni che nel 1839 realizza la facciata di disegno classico, pregevole portale da tempio greco, in marmo con colonne doriche binate, trabeazione festonata con tanto di acroterio a palmette, gravemente danneggiata nell'ultima guerra e purtroppo sostituita. Al 1840 risale l’avvio dei primi lavori di decorazione interna: il salone centrale ad opera del Leoni, con lesene dorate, capitelli corinzi, grandiose specchiere ancora conservati .
I soffitti e pareti sono decorati dai Morgari e da Giuseppe Borra, artisti di rilievo già attivi per Casa Savoia.Del 1851 è la decorazione della saletta più piccola, detta «gabinetto cinese», dipinta da Pietro Spinzi e Giacomo Beltrami .
Dopo vari cambi di gestione, il caffè rimane chiuso tra il 1883 e il 1893. Riapre nel 1894 e sensibile alle mode del tempo, si dota di una sala da concerti, una sala moresca e una veranda invernale, ora scomparse.
Il Caffè, diventato un salotto intellettuale di riformisti durante l’epoca risorgimentale, luogo di ritrovo di tanti esuli, frequentato tra gli altri da Cavour, D'Azeglio e Alessandro Dumas padre, ha avuto nel corso degli anni successivi una vasta clientela di intellettuali e politici, da Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi. Assidui avventori sono anche i Sei di Torino, protagonisti del movimento pittorico tra i più significativi del Novecento italiano; qui venne progettata dal Duca degli Abruzzi e dall’ammiraglio Cagni la storica missione in Antartide con la nave Stella Polare.
Durante la guerra, i danni provocati dai bombardamenti del ‘42, sono stati gravissimi; il caffè devastato da uno spezzone incendiario è costretto a una nuova chiusura. I lavori per il restauro e la parziale ricostruzione del caffè iniziati nel 1953 durano dieci anni. Demolita la facciata ottocentesca, sostituita da serramenti moderni bordati in granito e porte d'ingresso arretrate in bussola e rialzate, restano solo, in parte ricostruite, le due sale con ingresso dalla piazza San Carlo.
Caffè Mulassano. Situato nei pressi di Piazza Castello, il Caffè Mulassano di Torino, aperto nel 1907, fu ritrovo abituale della nobiltà torinese, ma anche degli artisti del Teatro Regio, poco distante. Tra gli splendidi specchi, i tavoli in marmo e le tante decorazioni potrete gustare un tramezzino, la specialità del locale dove questa pietanza è tra l’altro nata.
Questo piccolo gioiello dell'architettura per il commercio di epoca liberty conserva intatta l'atmosfera dell' elegante locale torinese.
Nella seconda metà dell'Ottocento Almicare Mulassano, titolare della distilleria Sacco nota per la menta, apre una liquoreria in via Nizza 3 e nel 1907 la trasferisce in piazza Castello, lungo i cosiddetti "Portici della fiera"  caratterizzati, dal secondo Ottocento,  da un sistema di arredi commerciali di alta rappresentatività (1).
Devanture e arredi interni, con il disegno tutti gli accessori, sono opera dell'ingegnere Antonio Vandone di Cortemilia, realizzata da alcuni dei migliori artigiani dell'epoca, illustrata dalla prestigiosa rivista Architettura Italiana del 1909, tra i migliori esempi dell'architettura per il commercio dell'epoca per coerenza formale e per la raffinatezza dei materiali e della loro lavorazione (2).
Tra il 1925 e il 1938 il caffè Mulassano è dei coniugi Nebiolo, giovani e determinati migranti piemontesi in America, tornati in Italia. Con la guerra il locale conobbe un periodo di declino, poi nuovamente venduto passa di mano fino al  titolare Antonio Chessa che nel 1978 commissiona all’architetto Cesare Volpiano e alla ditta  Nicola di Aramengo i restauri che riportano il caffè al suo originario splendore.
Dal 1985 riconosciuto Locale Storico d'italia, è uno dei più piccoli caffè della penisola con i suoi 31 metri quadrati di straordinaria esuberanza artistica che, al di là delle ampie vetrate, si presenta come un'intatta e importante testimonianza del gusto art nouveau.

Nato a inizio Novecento, nonostante i vari passaggi di proprietà del caffè Roberto nel sottoportico di via Po, già grapperia-vineria, il locale ha consolidato la sua costante specifica di caffè degli artisti del Regio: qui sono passati i musicisti e i grandi nomi della lirica che hanno lasciato al locale il loro personale ricordo. L’ingresso principale di questo esercizio, un monoblocco in legno rialzato, si apre nel sottoportico di via Po, mentre l’affaccio secondario, con serramento in luce non originale, dà su via Verdi. La devanture del 1876, realizzata su progetto per negozio di pianoforti e armonium Giuseppe Mola (2) a questo indirizzo dal 1878 al 1892,  succeduto dal fabbricante Bellis fino al 1922, è alleggerita nella parte centrale da specchiature vetrate, ma presenta ora un disegno modificato perché i pannelli laterali, gli stores, sono in vetro colorato e in legno pieno. Si è conservato l’originario sistema di chiusura ad antoni in legno, mentre sono andate perdute le decorazioni portinsegna con i simboli fornitori della Real Casa. L’interno completamente ristrutturato mantiene l’originaria struttura muraria dalle volte a crociera.
Una botola in ottone conduce alla cantina, dove una volta si giocava a carte.


L'ampio locale d'angolo con affaccio sotto i portici di piazza Carlo felice e su piazza Paleocapa, il Caffé Talmone legato al celebre Marchio di cioccolato, conserva arredi originali affiancati a moderni mobili di design.
Michele Talmone fonda nel 1850 un piccolo laboratorio di lavorazione del cioccolato in Borgo san Donato che diviene rapidamente un’impresa di ampio respiro. La caffetteria per la degustazione dei prodotti Talmone viene inaugurata nel 1883 in via Lagrange, poi trasferita in via Roma angolo via Cavour nel 1912; cambiò nuovamente intorno al 1936 per stabilirsi nella sede attuale mentre si svolgevano imponenti lavori di trasformazione dell’ultimo tratto di via Roma, ribattezzato Caffè Roma già Talmone.
Nel 1983 a causa di aspre controversie tra proprietari dei muri e gestori è costretto a chiudere i battenti fino all’autunno del 2000 quando riprende l’attività di bar e di pasticceria, confezionata nei laboratori al piano ammezzato. Dopo un ampio intervento di ristrutturazione, il locale oggi si presenta come un insieme internamente piuttosto rimaneggiato, in cui si conservano buona parte di arredi d’epoca oggetto di restauro, affiancati da aeree seggiole firmate da Paolo Dominioni e lineari lampade sospese in cristallo, disegnate da Philip Stark.
1a PARTE - Fonte Museo di Torino

antonio.dacomo 9/5/2021