L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

LA MACCHINA DEL TEMPO - 1a PARTE

2021-03-26 09:22:24

LA FAMOSA INVASIONE DEGLI OSTI DI ALTOPASCIO. 

La cucina toscana, nelle grandi città del nord, è tradizione, dai primi del secolo scorso. Fra locali storici decotti, vecchie trattorie da grandi porzioni e nuove aperture, ecco un ricordo dove si mangiava e si mangia ancora toscano a Torino, tante volte contaminato da pesce e piatti piemontesi.

E’ una cucina, la toscana, quella di terra soprattutto, un po’ un monumento a se stessa. Un monumento alla costata alla fiorentina e ai fagioli zolfini, ai piselli e alle grandi verdure, al pane sciapo cui fanno da contraltare i salati salumi. Guardando al panorama della ristorazione torinese, i locali erano da secoli quelli di sempre, divisi fra osterie e ristoranti veri e propri, che puntavano tutto sulla bistecca di Chianina e poco altro. La maggior parte decisamente “sfioriti” e cari.

Poi ha aperto qualche nuova insegna con una proposta un po’ più moderna, almeno nell’arredo, e la cucina toscana è tornata a essere di moda (almeno un po’ di più di prima).
I ristoranti toscani a Torino hanno fatto la storia della ristorazione cittadina, negli anni, e parliamo già della fine dell’Ottocento, in cui in città arrivavano da tutta Italia, non solo dal Sud, immigrati in cerca di fortuna. A Nord, a Milano e Torino soprattutto trovavano una cucina povera, basata su pochi piatti e pochi ingredienti, minestre di riso, panissa, bagna cauda, come si faceva un tempo, o fritto misto e brasati. La cucina toscana era quella della cacciagione, delle fritture, delle bistecche di manzo al sangue, dei fagioli, dei funghi…. All’olio di oliva che, portato dai cuochi della Lucchesia proprio dalle colline toscane, ha invaso, negli anni Cinquanta, le tavole del Nord Italia, e ne ha cambiato, insieme all’immigrazione dal Sud, le abitudini alimentari.
E' stata la prima a insediarsi in città, insieme a seguire di quella pugliese e sarda.
I ristoranti toscani erano tanti e proponevano una cucina di tradizione, semplice, incentrata sulla carne, primi piatti e un menù sempre uguale più o meno a se stesso. Negli anni gli storici si sono trasformati in ristoranti “di toscani” più che “toscani al 100%” nella proposta, adattandosi ai tempi e alle influenze del nord – ma la storia della cucina è fatta così, di contaminazioni.

Com’è oggi il tipico ristorante toscano a Torino? Un locale vecchiotto, a volte per nulla interessante dal punto di vista gastronomico e piuttosto caro, a volte rassicurante seppur démodé, a volte un indirizzo da segnare in agenda.

Queste memorie sono parte della vita di questo Paese e come tali hanno ancora più valore: rilette, fanno un certo effetto. Sono storie d’immigrazione interna, ma non dal Sud al Nord, in cerca di fortuna. È il trasferimento, complesso e affascinante, di un pezzo di Toscana nel Nordovest, a creare piano-piano una delle più attive e significative “correnti” gastronomiche italiane: le trattorie e i ristoranti toscani di Milano e Torino. Una chiamata lenta ma continua, di un gruppo di persone che comunica e fa rete, capace di cambiare le abitudini e i modi di mangiare delle grandi città industriali.

Fino agli anni venti del Novecento nei locali pubblici torinesi si mangiava ancora solo alla piemontese. Pochi i ristoranti, numerose le trattorie o piole in ogni quartiere in cui si gustavano i piatti della tradizione regionale.

Ne dimenticherò tanti, spero che mi aiutiate a ricordarli tutti:

- La storia di questo esodo a Torino parte nel 1911 (per quello che ho trovato negli archivi) dal talento di Adolfo Pollastrini di Altopascio, di origini toscane, che decide di aprire, nel cuore della città della Mole, un locale in cui poter gustare i piatti della tradizione italiana. E’ tra i primi a Torino se non il primo, si chiamava inizialmente “Trattoria Toscana”, a conferma dell’intento di voler riproporre a tavola tutta l’accoglienza tipica del centro Italia. Il Ristorante si trovava all’inizio in Corso Beccaria 2, sotto i portici vicino a Piazza Statuto. Nel 1955 diventerà il Ristorante Frejus, e da qualche anno è diventato un triste cinese. In seguito, si succedono ben tre generazioni e si trasferiscono in Corso Palestro 2. Nel 1986, Nicolino e Barbara Mastrovincenzo rilevano l’attività, rendendo concreto un sogno comune. Il Ristorante Pollastrini diventa così un ambiente raffinato, nel centro di Torino. Sembrerebbe che Pollastrini abbia avuto un altro ristorante in corso Francia, a destra prima di piazza Massaua, affianco a un albergo, locale ora gestito da orientali.  Un altro Ristorante Pollastrini in Strada Antica di Collegno 163, non ho notizie se è lo stesso Pollastrini citato sopra. Oggi un altro locale, il Monello.


- Datata 1918 il famoso Ristorante della Vittoria di via Carlo Alberto 34 della famiglia Carrara di Altopascio, di sicuro un simbolo di questa ristorazione ancora in attività. Aimè non ho il nome del fondatore.

Uno delle prime trattorie toscane – siamo verso la fine degli anni Venti – fu aperta da Gino Orsucci in via Monginevro 46 (ancora oggi una delle migliori farinate e castagnaccio di Torino, “da Gino”).

Fu raggiunto a breve giro da altri osti lucchesi di Altopascio e dintorni (Spianate, Marginone, Badia e Montecarlo): aprirono i battenti Poldo in via di Nanni (che aveva un’analoga attività̀ anche nella periferica via Nicola Fabrizi, poi diventata Cecchi) e Cecchetti in piazza Madama Cristina.

Come non citare altre Pizzerie Toscane famose, tuttora in funzione, i Sette Nani (oggi La baita dei Sette Nani) di via Andre Doria 5, la Pizzeria-Gelateria Cecchi del mitico Silvano di Via Madama Cristina 92 e la sopracitata Pizzeria-Gelataria Cecchi di Via Nicola Fabrizi 32.

- Michele Giannotti, toscano originario di Tonfano, frazione della solare Versilia, arrivò a Torino con il sogno di presentare a Torino la sua ricetta della farinata e del castagnaccio. nel 1922 acquistò il locale di Piazza Vittorio 4, costruì il forno a legna che ancora oggi è il protagonista del ristorante, e quello diventò il suo laboratorio. Ogni giorno preparava farinata e castagnaccio che consegnava a domicilio percorrendo le strade ciottolate del centro torinese in sella alla sua bicicletta. Nel 1955 ci fu il primo passaggio generazionale con l’affido della gestione della pizzeria alle figlie, Ada e Anna, le quali affissero l’insegna “Da Michele” che campeggia ancora oggi. Dal 1982 Da Michele diventa anche ristorante con l’ampliamento dei locali. Oggi il tutto è gestito dal pronipote Luca.

                                                            da Gino

- Pochi anni dopo, nel 1927, Settimo Vannelli, il nonno di Andrea Vannelli (Gatto Nero), arrivato a Torino da Altopascio, individua nella vecchia Trattoria Bella Napoli di via Santa Croce 2, a pochi passi da piazza Carlina, il luogo adatto per aprire una nuova attività nel campo della ristorazione, congeniale a tanti suoi concittadini che avevano lasciato quella zona della Toscana in cerca di fortuna. Nel 1921 intanto aveva sposato la conterranea Annunziata Marchetti, da cui nasceranno Enzo, Fosca e i gemelli Gilberto e Franca, man mano che cresceranno aiuti indispensabili per mandare avanti l’attività di famiglia. Piazza Carlina diventa l’epicentro del mondo dei Vannelli: lì c’è il mercato, in cui la mattina Settimo va a far spesa di frutta e verdura, mentre per i formaggi si spinge in una bottega di via Po. Il vino rosso di tutti i giorni, cioè Barbera e Freisa, proviene da Superga e dintorni, mentre il Chianti arriva dalla Toscana. Il salame e il prosciutto cotto sono di Cocconato, cioè delle prime propaggini del Monferrato. Per la carne, ci si arrangia un po’ come capita. Purché sia salvaguardata la qualità. Il Gatto Nero di via Santa Croce va a gonfie vele, la clientela è numerosa e di qualità. E, soprattutto, in continua crescita. Morto il fondatore nel 1953, il locale conosce qualche anno di transizione, fino al nuovo impulso dato da Ciro Grassi, un cugino dei Vannelli dall’estro formidabile abbinato a un senso pratico altrettanto fuori del comune. In effetti, Ciro Grassi rivoluziona cucina, mentalità e stile di servizio. Il menù diventa schiettamente toscano, con piatti di pesce come non se n’erano mai visti prima in città, le grandi costate che avrebbero fatto il mito del Gatto Nero, l’impiego costante di extravergini pregiati in anni di buio totale sui condimenti di qualità. La morte prematura di Ciro non lasciò spiazzati i Vannelli, ormai sicuri sulla strada intrapresa. «Vivemmo gli anni Sessanta e Settanta tutti d´un fiato, mietendo soddisfazioni che avrebbero anche potuto dare alla testa, se non ci fosse stata una solida filosofia di famiglia a guidare ogni nostro passo», commenta Gilberto Vannelli. Lo stesso Ciro Grassi, ex patron del Gatto nero, aveva lavorato prima a Milano da Giannino imparando il meglio della professione. Aveva anche operato alla Collina Pistoiese, un altro “monumento toscano” aperto nel centro di Milano dal 1938. Nel 1958 il Gatto Nero si trasferisce nell’attuale sede di Corso Turati 14, nel tranquillo quartiere residenziale della Crocetta.

                                      poldo                                                       da michele

- In queste mura nacque professionalmente Moreno Grossi, il cognato del titolare Gilberto Vannelli, marito della sorella gemella Franca, che si occupò del servizio di sala. Moreno nel 1979 apre la Prima Smarrita, e qui porta avanti quella cucina dal fascino mediterraneo e toscano/piemontese davanti alla quale i torinesi l’hanno conosciuto. Lo stesso Moreno per anni ha gestito anche La Magione del Tau, un altro ristorante toscano in Corso Bramante davanti alle Molinette.

- Plinio Lorenzi, arrivato da Ponte Buggianese in provincia di Pistoia, apre negli anni’30 il Montecatini, in via Andrea Doria angolo via Lagrange. Nel 1943 acquista la preesistente trattoria Bara d’Fer a Porta Susa e apre Plinio. Nel 1958 andrà a fare la gavetta Lido Baggiani (ne parlerò in fondo). Negli anni ’90 Plinio sarà gestito da Domenico del Vecchio (trascorsi all’Abetone di Corso Raffaello) che attualmente è patron della Trattoria Torricelli dell'omonima via, al 51. Oggi il locale dove si trovava Plinio è una "triste" Pizzeria.

- Un altro “mostro sacro” dei “ristoratori Toscani” era da Ilio ai Due Mondi in via Pio V 3b, un locale che ha “sfamato” centinaia di giocatori e simpatizzanti della Juventus. Oclide Ilio Mariani, per tutti Ilio, nato nel 1934 a Castelfranco di Sotto (Pisa), Ilio era arrivato a Torino a 12 anni in cerca di fortuna. Dopo i primi anni di gavetta, insieme a Mirella aveva costruito la sua fortuna nel ristorante di San Salvario.  Il ristorante, collegato all'omonimo albergo, nel centro della città, ha più di 150 anni e infatti la leggenda vuole che il nome derivi dal fatto che l'eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi, sia passato qui a ristorarsi di ritorno dalle sue tante avventure e scorribande militari in Sudamerica. Vero o no che qui si possa fare una bella pausa ristoratrice è un dato di fatto, oggi come allora. Da una ventina d'anni il ristorante è in mano ai fratelli Fracei che sono ritornati alla cucina tradizionale piemontese.

       bella napoli divento gatto nero                             gatto nero di via s.croce

- Dal 1930 la famiglia di Vittorio Urbani, passando di generazione in generazione, arrivando dalla toscana sono diventati una realtà Torinese. La famiglia veniva da Galleno, un tiro di “schioppo” da Altopascio. I fratelli Urbani, Giorgio e Vittorio, gestivano il locale con l’aiuto della mamma e delle due mogli dei fratelli. Dal 2001 “Urbani” si è trasferito al posto del Ristorante Biagini aperto nel 1927 in Via Saluzzo 3. Il Ristorante Urbani è un luogo diventato famoso per la ricercata clientela, dove cenare a San Salvario vicinissimi a Porta Nuova e ai migliori alberghi di Torino. Oggi la gestione è portata avanti dalla figlia del titolare, Emanuela Urbani.

DAL LIBRO DI ERALDO PECCI “IL TORO NON PUO' PERDERE” A soli 30 metri dall'angolo concorso Vittorio c'era Ristorante Urbani. Il locale era frequentato notoriamente da torinisti; appena arrivato in città Franco Migneco mi ci accompagnò. Era lì che i calciatori scapoli potevano mangiare, anche nel giorno di chiusura, era lì che potevamo guardare la TV assieme, fare una partita a carte o ricevere gli amici. Dal lato opposto del marciapiede c'era un altro ristorante, il Biagini e venti metri dopo un altro, da Ilio ai Due Mondi. Tre ristoranti uno attaccato all'altro. Noi del Toro frequentavamo Urbani, i giocatori e i simpatizzanti juventini da Ilio ai Due Mondi. Quando questi erano chiusi c'era Biagini di riserva, pur essendo locali così vicini ci si incontrava raramente coi cugini bianconeri.

                                                 foto storiche del Gatto nero

- Un altro Ristorante Biagini aprì anche in Via San Tommaso 10, ora al posto c’è una pizzeria.

- Mi risulta un altro Biagini, era in via Giolitti, a metà isolato, tra via Carlo Alberto e Via Lagrange, ora c’è la Piola Sabauda. In seguito, si trasferì in via Maria Vittoria dove c’è ora “Da Mauro”?

- Anche nel 1930 apre il ristorante Taverna Dantesca in via Nizza 15, realizzato sulle spoglie del ristorante Asti. Nel ‘31 Alberto Serafini, apre in via Massena 3, la Grande Pensione Toscana, poi chiusa nel 1937. In questi anni l’Albergo Canelli, nel Palazzo Durando, in via San Dalmazzo 7 angolo via Barbaroux, era gestito da Toscani.

- In via Mazzini 40 esisteva già dal 1900 il Ristorante Camoscio, nel 1934 diventa il Ristorante Guelfo, poi chiuso nel 1945.

- La Pergola Rosa di Via XX Settembre 18, del mitico Sauro, era un altro punto di riferimento, un locale storico aperto nel lontano 1938. Non sono sicuro se sia ancora aperto ma comunque ha perso la sua identità e negli ultimi anni era in decadimento. 


                                                       Moreno Grossi


- A pochi passi dal centro di Torino e all’ombra della Mole Antonelliana, la Trattoria Ala vede la luce nel lontano 1950 e prende nome dalla sua ideatrice e fondatrice Ala Ulivieri. Da allora, la struttura ha mantenuto intatta la sua tradizione di sapori casalinghi e genuini, in un mix di piatti che partono dalla tradizione culinaria toscana per arrivare alla più classica "cucina della nonna" e concludersi nei piatti della migliore tradizione nazionale. Quotidianamente i cuochi della trattoria assemblano un menu del giorno in base alle materie prime locali, sempre fresche e genuine. Un espediente per permettere anche ai clienti abituali di mangiare in modo vario e salutare, senza paura di annoiarsi. Il locale, piccolo ma accogliente, è concentrato in una sala, il rapporto qualità-prezzo decisamente valido. All’interno di un menu piuttosto variegato, che va dalle zuppe di pesce, alle paste caserecce e ai bolliti sino a un ampio assortimento di dolci, spiccano in particolar modo alcune pietanze. Imperdibili, in particolare, lo spezzatino di cinghiale per gli amanti della carne e il tonno alla piastra per chi più apprezza il pesce.

                           diventerà Urbani                             taverna dandesca

- Un’altra pietra miliare della cucina toscana a Torino, negli anni 60, è stato Carlo Gianfaldoni, uno dei più famosi chef toscani di allora. Il ristorante Due Lampioni di via Carlo Alberto, già a metà secolo era uno dei più frequentati dalla Torino-bene, fondato nel 1956 dal Gianfaldoni. I Due Lampioni non ebbero alcun altro gestore. Nel 1967 sarà Carlo Bagatin ad acquistarlo, e trasformarlo nel ristorante “stellato” che ricordiamo. Gianfaldoni, negli anni ’60, trasforma anche “la Balbo” di via Andrea Doria da trattoria tipicamente piemontese in vero Ristorante Toscano, una determinante evoluzione con l'assunzione dell'identità toscane; aumenta considerevolmente la lista di quotidiana delle vivande; si gustano monumentali costate alla brace, con carne di bue che arriva bisettimanalmente dalla Maremma, una ribollita eccellente, dolcetti toscani da intingere nel vin Santo. La seconda ma non meno importante evoluzione viene, negli anni ’70, con la veracità napoletana che ha conquistato il mondo e il ristorante-pizzeria diviene il locale “in” per il dopo teatro. Nel 1971, Luigi Caputo diviene contitolare del Ristorante-Pizzeria Balbo e successivamente nel 1983 unico proprietario, diventando il locale stellato che chiuderà nel 2002.

Carlo Gianfaldoni riaprirà negli anni ’70 un altro ristorante a suo nome a pochi passi dalla Stazione di Porta Nuova, in via Pastrengo 2 e poi in via Sacchi 36. Per alcuni anni fino alla fine del secolo scorso, sarà un locale famoso per il pesce, poi vari passaggi di mano fino al declino.


                              trattoria Ala                                                    Balbo


- La Trattoria Bologna in via Bologna 27, era gestita dalla famiglia Sarti, toscana di Orentano, Emilio Sarti la gestiva dal 1953, ora è diventata una classica e verace trattoria piemontese.

- La pizzeria Il Cavaliere è gestita da più da sessanta anni dalla famiglia Lazzeri, in Corso Vercelli 79. Il nonno Nello (originario di Lucca) nel 1958 arrivò a Torino da Roma, dove faceva il gelataio in una pasticceria. Rilevò la pizzeria che offriva già allora la pizza al padellino, tra le migliori di Torino.

- Nel maggio 1958 la famiglia Galoppi, appassionata di cucina casalinga genuina apre in Corso Novara 75, il Ristorante Ivo. Con la seconda generazione inizia l’evoluzione dell’Antica Trattoria Toscana grazie a importanti novità nel servizio e nella cucina e, oggi, la terza generazione continua a portare in tavola la passione per la tradizione rivisitata in chiave moderna. Un ambiente ricco di ospitalità, ideale per concedersi un momento di pausa, assaporare ingredienti freschi e abbinamenti insoliti, ritrovare i profumi della tradizione.

- Marcello Grazzini, classe 1926, che, all’età di 14 anni, lascia il paese dov’è nato e cresciuto, Altopascio, in provincia di Lucca, e si trasferisce a Torino. È il 1940. Sono tanti i toscani che vanno a trovare lavoro lontano da casa. Con sé portano le tradizioni e il saper fare della contrada toscana. Per Marcello sono anni di duro lavoro, impara l’arte nei ristoranti toscani di Torino, fino a padroneggiare l’arte della ristorazione. Un giorno va a trovare un amico-collega che lavora come cuoco a Milano ed è in quest’occasione incontra Fiorenza, anche lei toscana, della quale si innamora e che sposa a ottobre del 1950. Da allora percorreranno un’intera vita insieme, protagonisti della ristorazione torinese. Fiorenza e Marcello aprono il loro ristorante in Corso Stati Uniti 4, nel 1961, a due passi dalla Stazione di Porta Nuova: sono anni di grande impegno e molte soddisfazioni; tanti sono i torinesi che, non potendosi più permettere il cuoco in casa, iniziano a frequentare i ristoranti con le loro famiglie: da Marcello trovano la buona cucina italiana. Una cucina che, negli anni ’60, era opulenta in tutto: dalle portate, alle porzioni belle abbondanti, ai sapori forti e decisi. Tutto un altro mondo rispetto a ora. Nel frattempo, è nata Laura. Il Ristorante è per lei una seconda casa e Laura, come spesso succede, comincia prestissimo a dare il suo contributo. Dal 1973 è in pianta stabile sulle orme del papà e nel 1975 entra a far parte della squadra anche Giuseppe che nel 1980 sposerà Laura. Insieme lavoreranno con i fondatori fino al 1990, data decisiva: è in quell’anno che passeranno definitivamente la responsabilità del locale agli "sposi". Per i giovani sono anni di grande impegno, responsabilità e finalmente di autonomia nella gestione e nella conduzione del ristorante. Entrambi, infatti, avevano osservato da qualche tempo il cambiamento nei gusti e nelle esigenze della clientela, e avevano attualizzato il menu.


   1931 Pensione Toscana, via Massena 3, chiusa nel '37  di Alberto Serafini


- Un’altra Trattoria Toscana, non ho trovato il nome, era in via Priocca angolo Porta Palazzo, dove c'è il mercato dei contadini. Era gestito dalla famiglia Scialoni, vicino al capolinea del 7, a fianco c'era una latteria e all’angolo il negozio di abbigliamento. Dovrebbe essersi trovata dove c’è adesso Gallina o al lato opposto dove c’è un bar.

- A due passi da Porta Palazzo il Ristorante Lydia in c.so Regina 142, aperto coniugi toscani di Badia e di Altopascio. Ora è territorio extracomunitario!!

- Gli Anni Sessanta sono pure quelli del Ghibellin Fuggiasco di via Tunisi 50, gestito da Francesco Ceccarelli, a poca distanza dallo stadio Filadelfia e dell’Abetone di Corso Raffaello angolo via Nizza, di Luigi Mejnardi, un altro “monumento” di Altopascio.

- Da ricordare anche Adriano di via Pollenzo, ora Ristorante Ortiga, il Montecarlo di via Nizza angolo via Tiziano, poi trasferitosi in via San Francesco da Paola.

- Menzione per altri importanti: il Ristodante di corso Dante, appunto, oggi un cinese e il Gran Carlo di via Magenta 2, ancora attivo con cucina non più toscana.

- Ho poche notizie a riguardo ma un “toscano che ha fatto scuola” è stato il Ristorante Corso di Corso Vittorio, il numero mi manca, era comunque della famiglia Palandri, ed è stato “la culla” di tantissimi cuochi toscani e no che hanno poi aperto altri Ristoranti. Anche Alfio Segrieri, di cui ne parlo cui sotto, e cresciuto qui.

Ecco alcuni toscani, di cui ho solo il piacevole ricordo, che, negli anni della mia giovinezza degli anni ’70, frequentavo assiduamente insieme alla mia “metà”, quasi tutte le sere:

- Il Firenze di via san Francesco da Paola del mitico Alfio Segrieri di Altopascio, un ristorante (esisteva dal 1949) che ha fatto la storia di quegli anni. Alfio prima del Firenze, aveva avuto il Ristorante Corso. Chi non ricorda le “tagliatelle del Moro” o la “gesuita panna e funghi” del Firenze. Un locale sempre pieno com’erano i toscani di allora. Negli anni ’90 si era trasformato in “Ponte Vecchio”, conservando gli originali arredi anni Cinquanta e un pizzico dell'antica atmosfera. A gestirlo era la figlia Nadia Segrieri, che aveva preso in mano la storica attività di famiglia rinnovandolo con passione e inserendosi nel solco della tradizione gastronomica piemontese. All'interno del Ristorante Ponte Vecchio di Torino c’erano quattro ampie sale che potevano accogliere 110 persone, semplici ed eleganti al tempo stesso e perfette per banchetti e cerimonie di una certa importanza. Tra le specialità della casa, i Rigatoni freschi alla Scarpaia e la Costata alla Robespierre ideata dal padre di Nadia, spaghetti freschi gamberi e zucchine, funghi e tartufi di stagione, grande assortimento pesce. In seguito, il ristorante si è spostato negli anni, all’angolo di via Ormea con Corso Vittorio, poi dopo poco tempo ha chiuso ed è sparito. Al posto del locale in via San Francesco da Paola, un nuovo locale moderno e anonimo, con cucina internazionale. Dalla cucina di Alfio sono usciti parecchi chef, uno di questi Donato Mecca patron del Ristorante “Crocetta” di Via Marco Polo 21, da anni uno dei migliori toscani di Torino, dove spesso ho mangiato benissimo, piatti toscani, piemontesi e di pesce, ma il “top” è la sua Costata alla Robespierre, che ben ricorda quella del suo maestro. Ho persino avuto il piacere di lavorare in questo elegante locale, in un’estate di tanti anni fa, aiutando Donato in sala.


Seguite la seconda parte

Antonio DACOMO, 1/2021, corretto nel 12/2021