L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

IL RISTORO CHE VORRESTI TROVARE

2021-04-05 09:36:50

IL GATTO NERO DI ANDREA VANNELLI

Alla sua tavola tra i legni e i mattoni del locale progettato dall'architetto Pietro Derossi, e sotto le innumerevoli rappresentazioni di gatti neri opera anche di famosi artisti, sono passati (e continuano a passare) industriali e professionisti, attori e intellettuali. politici e tanti gourmet. Per fare qualche nome Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Aldo Fabrizi, Macario e Carlo Dapporto. E poi la famiglia Agnelli e tutta la grande borghesia industriale torinese, diversi presidenti della Repubblica, il principe Ranieri di Monaco, Mina i calciatori di Juve e Toro dagli anni Cinquanta ad oggi.

Al Gatto nero, porta in legno massiccio, nessuna movida intorno, un tranquillo quartiere residenziale della Crocetta, in una città contemporanea, figlia dell’immigrazione e dell’espansione continua, incontrollata e fiduciosa nei mezzi umani, tecnici e economici.
E’ incredibile la grande influenza che questo ristorante ha avuto sulla ristorazione torinese, una storia di altri tempi, tempi lontani ormai (adesso due anni pesano come ere geologiche) di quando i Vannelli erano venuti al nord, in cerca di fortuna, dalla Toscana e hanno costruito ed insegnato ai torinesi una cucina fatta di leggerezza e olio e pesce e carni che ha dato uno scossone alla tavola tradizionale torinese.
La prova di tutto questo rimane che in queste mura nacque professionalmente Moreno Grossi, il cognato del compianto titolare Gilberto Vannelli, marito della sorella gemella Franca, che si occupò del servizio di sala dagli anni '60 in poi. Poi Moreno nel 1979 apre la Prima Smarrita, e qui porta avanti quella cucina dal fascino mediterraneo e toscano davanti alla quale i torinesi lo hanno conosciuto.

            settembre 1967, Moreno nella freccietta e Gilberto il secondo da destra
Lo dico con un po’ di presunzione, sono stato il “mentore” di parecchie persone, in materia di vino, e spesso molti dei miei allievi “hanno superato il maestro” come Andrea Vannelli, terza generazione alla guida del locale. Lui mi ricorda ancora adesso, che “l’input” del vino, gliel’avevo trasmesso in un corso di avvicinamento al vino che avevo tenuto in un Circolo nel 1986, il “Portes” di via Giulia di Barolo, e che lui aveva frequentato.
Quante volte, con Andrea ancora studente, in un gruppo “carbonaro” abbiamo stappato una moltitudine di bottiglie di vino per assaggiarle. Era l’inizio degli anni ’90, ci trovavamo spesso, a casa di alcuni di noi o in altri posti, ognuno portava una bottiglia, ed è qui che abbiamo fatto la gavetta dei “nasi fini”, cosa che è servita per le nostre future professioni: Andrea Vannelli tra i migliori ristoratori torinesi con una tra le più fornite cantine che conosca, Gianni Fabrizio direttore della guida dei Vini d’Italia del Gambero Rosso, Vittorio Manganelli rettore dell’Università del Gusto di Pollenzo, Fabio Gallo Presidente del Piemonte dell’Ais, Davide Panzieri Responsabile guida Slow Wine, Walter Pugliese distributore di vini ed enotecario.
Quante volte sono venuto a mangiare al Gatto Nero, d’altronde penso che sia uno dei locali che mi piace di più, fatto ancora di piatti “come una volta” come piacciono a me “di pancia”.
uovo al tegamino con funghi porcini in doppia cottura e  steak haché e fagioli cannellini
Andrea è riuscito a mantenere la tradizione di sempre, e nello stesso tempo la catapultata nei nostri anni, con la sua passione, distinguendosi dalle proposte che spesso mi deludono in tanti altri locali moderni, spesso tutti uguali.
Amo venire (quando posso permettermelo) da solo a pranzo e farmi coccolare da Andrea con i suoi piatti golosi e i suoi assaggi di vini da bottiglie “aperte”.
Mi apre la singolare porta in giacca bianca, immacolata, dall’abbottonatura alta da cui spunta una cravatta, di un eleganza d’altri tempi, l’ambiente è silenzioso, emana professionalità e buon gusto.
Qui i piatti sono quelli della tradizione, con alcuni piatti della casa che sono diventati degli “status symbol”.
Elenco dal menu degli antipasti: insalata tiepida di mare, salmone scozzese affumicato, burro, pane toscano grigliato, Ricchi e Poveri (gamberi rosa e fagioli cannellini, baccalà mantecato con la patata e l’olio d’oliva, bottarga di tonno rosso sulla patata lessa, uovo di gallina di bruno, burro bordier demi-sel, tartufo bianco, fegatini, cuori e durelli di galletto alla salvia con topinambur, caponêt di agnello e coratella nella verza con il suo fondo, salsiccia drogata alla griglia con fagioli cannellini, olio e pepe, acciughe del mar cantabrico in olio e prezzemolo con pane toscano grigliato e burro, la melizza (una versione leggera e nobile della parmigiana di melanzane).
                                    melizza                                                     ricchi e poveri
Paste e zuppe: pappardelle con ragoût d’anatra al Barbaresco, agnolotti quadrati alle tre carni al sugo d’arrosto, paccheri di Gragnano al ragoût di costata (cinque ore di cottura), tortellini con la panna, maltagliati con carciofi e prosciutto, spaghetti neri con vongole veraci e calamaretti, spaghettini alla “Peppino Fiorelli” (Gatto Nero 1957) , tagliolini al pomodoro, olio e basilico, zuppa di pane e cavolo nero (ribollita).
                                                     pappardelle al ragù d'anatra
E si continua con la terra, carne e frattaglie: costata alla fiorentina (al chilogrammo), châteaubriand di filetto alle bacche di ginepro e gin, tagliata di manzo al pepe verde, filetto di fassone al cartoccio con patate e verdure, steak-haché, sotto-filetto di manzo crudo battuto al coltello in salsa tartara, la castellana dei Signori (vitello, comté e prosciutto di parma), rognone di sanato trifolato allo sherry con purè di fave, trippa di vitello alla fiorentina.

                                    costata                                            uovo di gallina in camicia rossa
E i pesci: calamari alla griglia, bocconcini di rana pescatrice e calamari alla livornese, sogliola alla mugnaia, orata arrosto nella sua pelle al forno con patate e olive leccine.
Continua una vasta scelta di contorni e formaggi.
I Dessert, logicamente tutti fatti in casa, si alternano con alcuni della tradizione Torinese:
Zuccotto fiorentino, sandwich di panettone al cioccolato fondente, margherita di cachi, gelato di crema e Bacardi gold rhum, ananas, gelato di vaniglia e Strega di Benevento, gelato di pistacchi, gin Tanqueray e pepe nero, gelato di parmigiano reggiano e Muffato della Sala, crostata di ricotta al marsala con fichi secchi e mandorle, bonêt al triplo cioccolato amaro, zuccotto fiorentino al cioccolato (ricetta di Giusto Falchero), crème caramel salato al caramello amaro, gelato di crema con il cioccolato caldo, gelato al fondente amaro con whisky Dewar’s, sorbetto di uva fragola e Pisco, sorbetto di more di gelso.
Esiste anche la possibilità di un menu degustazione, composto di numerose portate, quindi più lungo di un pasto alla carta, ma sicuramente più idoneo ad un’accurata conoscenza della cucina del “Gatto”, a €. 60,00.
Quindi grande Tradizione, l’insalata calda di mare ne è un esempio (un piatto copiato da tantissimi ristoranti della città), questa però rimane l’originale! seppioline, calamaretti, gamberetti, pane pesto, limone, olio buono; insomma veramente ottima!
Un piatto che non è nel menù odierno, ma talmente buono nella sua semplicità che non ha bisogno di altre parole: tortino di alici, pomodorini, capperi, origano.
Un altro piatto da commozione! baccalà mantecato con patate dai sapori nitidi ed equilibrati, da antologia, per non parlare degli spaghettini “alla Peppino Fiorelli” (cantante napoletano che veniva a Torino per registrare le sue canzoni all’EIAR ora RAI che nacque proprio a Torino, all’ombra della Mole),
                                    baccalà                                          spaghettini Peppino Fiorelli
la pasta è condita con carciofini, capperi, poco pomodoro, e che dire dei paccheri al ragout di costata lungamente cotto e ridotto alla quintessenza dei sapori carnei, stupefacente!
Una portata che mi lascio mai mancare quando vieni qui, è la trippa alla Fiorentina o il rognone di sanato trifolato allo sherry, da “super-golosi”; per no farsi “mancare niente” la cioncia, una ricetta tradizionale dei conciai di Pescia, da musetto, testa e zampe di vitello, il piatto che mi ha fatto scoprire Andrea qualche tempo fa, indimenticabile!
                                       la cioncia                                                      la trippa
Ed ecco la specialità della casa. Generazioni di torinesi hanno frequentato questo indirizzo solo per la carne. Bisogna ammettere che questa famiglia è l’unica sul territorio ed una delle pochissime in Italia ad avere una cultura importante sulla carne da bistecca, sulla frollatura e sulla cottura. Molti parlano ma non hanno la minima cognizione di quel che dicono sulla carne! E qui ne avrete la conferma: costata di manzo con patate fritte fiammifero.
I dolci tutti superlativi, eccone alcuni: gelato al pistacchio, polvere di caffè e gin Tanqueray, il Bunet, buono come pochi, crostata alla ricotta, zuccotto fiorentino e fragole al marsala con gelato al mascarpone, perché nella cucina del Gatto nero si è sempre preparato il gelato artigianale, dando poi anche il la per successive gelaterie artigianali.
La cantina di Andrea è una miniera, da mettersi a piangere, per noi che piacciono i vini buoni, un tripudio di quanto di meglio ci possa essere tra le etichette nazionali e straniere. Con lui ci troviamo ancora spesso a degustazioni, e si rafforza sempre di più la nostra attinenza di gusti, vini polposi e integri, senza difetti e sgravati da legni impertinenti, ma nello stesso tempo ripudiando entrambi i vini di moda che spesso sono per niente eleganti.
Bella anche l’attenzione per i vini da fine pasto, Passiti, liquoroso o Vermouth introvabili e rari; per non parlare dei distillati.
Stupiscono (non dovrebbe essere così ma spesso all’accoglienza si dedica poca attenzione) la competenza in sala, il servizio attento ma disinvolto senza affettazione.
Merita un cenno l’arredo: pareti in mattoni a vista, banconi in legno e acciaio inox e ferro con sedute integrate, schermi, balaustre cesellate su misura per gli spazi del locale, il soffitto della sala contiene, integrandolo, l’impianto di condizionamento e le bocchette di aspirazione dell’aria sono su disegno (uno dei primi casi di progettazione totale degli interni sia architettonici sia tecnici), sedie danesi di una eleganza incredibile. Un progetto globale che andava dalla progettazione architettonica, agli arredi, alle ceramiche, alla cucina ispirato dalla volontà di questa famiglia di offrire il meglio per i propri clienti.
La storia affonda le proprie radici nel 1927, quando Settimo Vannelli, il nonno di Andrea, arrivato a Torino da Altopascio, individua nella vecchia fiaschetteria di via Santa Croce 2, a pochi passi da piazza Carlina, il luogo adatto per aprire una nuova attività nel campo della ristorazione, congeniale a tanti suoi concittadini che avevano lasciato quella zona della Toscana in cerca di fortuna.
Nel 1921 intanto aveva sposato la conterranea Annunziata Marchetti, da cui nasceranno Enzo, Fosca e i gemelli Gilberto e Franca, man mano che cresceranno aiuti indispensabili per mandare avanti l’attività di famiglia.
Piazza Carlina diventa l’epicentro del mondo dei Vannelli: lì c’è il mercato, in cui la mattina Settimo va a far spesa di frutta e verdura, mentre per i formaggi si spinge in una bottega di via Po. Il vino rosso di tutti i giorni, cioè Barbera e Freisa, proviene da Superga e dintorni, mentre il Chianti arriva dalla Toscana. Il salame e il prosciutto cotto sono di Cocconato, cioè delle prime propaggini del Monferrato. Per la carne, ci si arrangia un po’ come capita. Purché sia salvaguardata la qualità.
Il Gatto Nero di via Santa Croce va a gonfie vele, la clientela è numerosa e di qualità.
E, soprattutto, in continua crescita.
Morto il fondatore nel 1953, il locale conosce qualche anno di transizione, fino al nuovo impulso dato da Ciro Grassi, un cugino dei Vannelli dall´estro formidabile abbinato a un senso pratico altrettanto fuori del comune.
In effetti Ciro Grassi rivoluziona cucina, mentalità e stile di servizio. Il menù diventa schiettamente toscano, con piatti di pesce come non se n´erano mai visti prima in città, le grandi costate che avrebbero fatto il mito del Gatto Nero, l´impiego costante di extravergini pregiati in anni di buio totale sui condimenti di qualità.
La morte prematura di Ciro non lasciò spiazzati i Vannelli, ormai sicuri sulla strada intrapresa. «Vivemmo gli anni Sessanta e Settanta tutti d´un fiato, mietendo soddisfazioni che avrebbero anche potuto dare alla testa, se non ci fosse stata una solida filosofia di famiglia a guidare ogni nostro passo», commenta Gilberto Vannelli, interrompendo solo per un istante le sue infinite peregrinazioni dalla cucina alla sala. Infatti e lui riprendere le redini di questa fortunata attività.
Trent’anni dopo l’apertura, ci si rende conto che i vecchi locali sono diventati insufficienti, dovuto proprio alle ragioni del successo e al boom economico che portava gli Italiani a scegliere sempre più i pasti fuori casa.
                                                  matrimonio in via S.Croce
I Vannelli individuano allora nell’ampio piano terreno di un palazzo in costruzione in corso Turati il luogo adatto per spostare l’attività, dove però sarebbero stati preservati i quattro elementi che avrebbero potuto far respirare l’aria della tradizione: il vecchio bancone, l’uso del mattone a vista, il camino in fondo alla sala e la forma caratteristica della stessa, lunga e un po’ irregolare. L’architettura degli interni è del famoso architetto Pietro Derossi, furono ispirati a uno stile rigoroso e squadrato, "svedese", con ampio uso del mattone, del legno di teak e della quarzite di Barge come pavimento. Il locale è ancora oggi precisamente così. il nuovo marchio, con il gattino stilizzato, è frutto della fantasia di Armando Testa.
L’investimento è importante, nel nuovo locale lavorano 21 persone. Nel giorno dell’inaugurazione, avvenuta il 13 marzo 1958, tra i tanti clienti invitati, c’era anche un giovane Umberto Agnelli intento a tagliare il prosciutto crudo con il coltello.
La prima "stella Michelin" arrivò nel 1961, la seconda pochi anni dopo, e fu una continua conferma fino alla fine degli anni Settanta, quando la celebre guida cominciò a privilegiare nelle sue classifiche uno stile meno tradizionale.
Negli ultimi trent’anni il Gatto Nero, il più antico locale di Torino sempre in mano alla stessa famiglia, è andato avanti nel solco della tradizione, tenendo però in grande considerazione il nuovo che intanto avanzava. Perché quello che più conta qui è la sostanza, più che la forma e le mode.
                                                             Corso tutati 1960
Da qualche anno al timone c’è Andrea Vannelli, figlio di Gilberto e nipote di Settimo.
Grazie a lui è stato dato un grosso impulso alla cantina, considerata dai critici enogastronomici una delle migliori d’Italia.
Tutto cambia al Gatto Nero, ma in realtà nulla cambia. In corso Turati si continuano ad offrire porzioni abbondanti di cose buone fatte con il massimo impegno e con le migliori materie prime a disposizione. Rimettendo però ogni giorno in discussione i propri piatti, per essere sempre al passo con i tempi. Anche se alcune specialità, come la mitica insalatina di pesce dalla ricetta segreta, vengono proposte in maniera quasi immutabile e con grande successo da decenni.
E l´origine del nome? Si Riscopre così che nel vecchio ristorante di piazza Carlina erano soliti venire alcuni universitari spiantati. Un giorno, decisi a saldare i loro debiti con i titolari, un gruppo di loro si propose di rifare il locale, aggiornandolo a un gusto più… giovanile. Tra le altre cose, sistemarono in fondo a una sala il quadro di un gatto nero, mascotte del loro giornaletto accademico. Nacque così, e così rimase, Al Gatto Nero.

Bellissimo questo pensiero di Piermichele Gamba:
Non penso che al Gatto Nero esistano piatti senza una precisa identità. Io perlomeno non li ho mai trovati. L'identità stà nella natura stessa delle cose e delle persone, di "quel camerierino" alla
Concato, di quelle atmosfere e riti ripetitivi e sempre nuovi che solo il susseguirsi di generazioni sanno riproporre ed al contempo creare. Così è nei piatti dei quali la memoria non è mai stanca, vestiti di semplicità, avvolti di gusto, latori di quelle sensazioni primarie che inondano papille e pensieri senza filtri dicodifiche, cerebralità, filosofie.
Queste ci sono ma sono altrove e fortunatamente alcune anche foriere di interessanti letture.
Altrove appunto ma non qui dove l'abbraccio è quello materno il solido passo quello del padre, la pazienza quella dei nonni.
Metafora? no solo personale sensazione che ad ogni volta rinnova la curiosità del consueto da riscoprire al nuovo, puntuale alzarsi dell'asticella quando, già ai saluti finali, se ne riprogetta un presto ritorno.


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