L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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I VINI CHE FURONO - RASSEGNA DEI VINI NON PIU' PRODOTTI

2021-04-18 09:45:26

ROSSESE VIGNETO CURLI DI EMILIO CROESI - Il ROMANE'E CONTI ITALIANO.

Mi capita spesso nei rari fine-settimana di trascorrerli in riviera, quella più ad ovest verso il confine, dove posso sfruttare un alloggio di famiglia. Spesso mi capita di mangiare in ristoranti della zona, soprattutto in Italia, ne ho girati tanti e mi è capitato spesso di assaggiare i “Rossese” della zona. Da buon piemontese, effettivamente non
mi fanno impazzire, li ho sempre trovati aspri e ho sempre pensato che fossero “vinelli” da bere giovani. Una menzione speciale per quelli di Giovanna Maccario di San Biagio nelle varie versioni, il Curli è il vino che proviene dalla stessa vigna di quello di cui parliamo, vigna acquistata in seguito dalla Maccario.
A fine agosto, combinando con due amici gourmet, abbiamo voluto provare la cucina di Diego Pani, Chef del Marco Polo di Ventimiglia, con cui avevo già fatto amicizia sui social. Diego, nell’occasione, ci ha trattati veramente bene e oltretutto abbiamo cenato benissimo, i suoi piatti si sono alternati meravigliosamente nel menù degustazione, abbinati a vini di classe. A fine cena, a voluto offrirci una chicca, sapendo della mia poca considerazione per il Rossese, ci ha aperto Il "la Riserva 1986 di Emilio Croesi", Il Romanee Conti Italiano, cosi chiamato da Luigi Veronelli negli anni ’70. Una gran bella sorpresa, di 34 anni, che mi ha fatto di colpo ricredere per quello che ho sempre asserito.

Un grande vino, ormai aranciato della tonalità e non molto intenso, con profumi finissimi e molto evoluti, ma ancora nel pieno della sua eleganza, sentori minerali e speziati, vino di grande equilibrio, finezza ed armonia. Ringrazio ancora Chef Diego per un regalo cosi gradito.
Siamo dalla parte di Soldano, dalla parte di Perinaldo, non da quella di Dolceacqua, siamo dalla parte dove Gino Veronelli individuò la Romanèe Conti Italiana, quella piccola vigna di Rossese che negli anni 70-80 raggiunse fama internazionale per le riuscitissime vinificazioni confidenziali del vulcanico sindaco di Perinaldo, Emilio Croesi.
Durante un intervista in video di parecchi anni fa, Gino Veronelli tirò in piedi una bottiglia di vino rosso e la definì: “uno dei più grandi vini della mia vita” e ancora “vino nato da una parcella di vigna che è la Romanèe Italiana”

Leggo altrove una definizione:
“Il colore è rubino carico con netti sentori di selvatico, spezie e frutti di macchia mediterranea. Il corpo è pieno con sensazioni aromatiche prolungate. E vino di impensabile longevità”
Si tratta del Rossese Vigneto Curli 1978 di Emilio Croesi, leggendario sindaco di Perinaldo.
Non so il 1978, ancora esistente in cantine private degli eredi Croesi, ma il 1982 l’ho provato un paio di volte, la seconda da lacrime


Però il 1978 di Guglielmi l’ho bevuto, saranno stati tre anni fa, e posso quindi facilmente immaginare e condividere la soddisfazione di Gino Veronelli, erano vini straordinari da giovani e anche con il passar del tempo hanno mantenuto caratteristiche e originalità uniche.
A Enzo Guglielmi venne proposta quella piccola parcella di vigneto Curli, fu lo stesso Veronelli a consigliarlo in quel senso, ma i tempi non erano maturi, il vino rendeva poco, era meglio coltivare fiori in quegli anni, ora la storia ha dato ragione a Guglielmi, perché i fiori non li vuole più coltivare nessuno da quelle parti, adesso vorrebbero aver tutti una bella vigna.
E lui, nonostante non abbia avuto la lungimiranza di acquistarla, ora che quel piccolo appezzamento e ridotto a sterpaglie con un piccolo rustico che emerge dai rovi, lui comunque ha tirato dritto, con la sua discreta produzione di 25-30.000 bottiglie annue di Rossese e Rossese Superiore vendute tra l’altro a prezzi inferiori ai dieci euro, tra i migliori rapporti qualità prezzo in Italia per un vino Autoctono, d’Autore , di Territorio. Nel tempo ha anche investito in cantina, modernizzando dove necessario , ma senza inutili stravolgimenti tecnologici.
La solita visita a sorpresa in un tiepido pomeriggio autunnale, quattro amici , la solita scusa, andare ad assaggiare in anticipo il Superiore in uscita , l’eccellente e grintoso 2009 che fa dimenticare le mollezze e le sinuose rotondità della 2008, e poi un giro di bicchiere sulla 2010, tanto per rifarci le narici sui profumi che in seguito vireranno verso la classica mora selvatica mentre ora sono tutti sovraesposti su una golosa ciliegia matura.

Come al solito gli tiriamo la giacca per farci stappare qualche vecchia bottiglia dimostrativa di quale classe è in possesso il Rossese in fase di invecchiamento avanzato. Andiamo fino alla 1967 stavolta, c’è Marco Carmassi con noi , già Sommelier professionista e degustatore ONAV, genovese, classe 1967, e allora Enzo si sbottona e tira fuori il vino da anniversario. Il vino è incredibilmente vivo così come è incredibilmente impeccabile il tappo . Risparmiamo la 1966 per altra occasione, incredibilmente imbottigliato a suo tempo in una bottiglia renana… bha… comunque molto interessante lo sviluppo terziarizzato del 1967, addirittura meglio della più “giovane” 1974 un “Superiore” soleggiato che stava prenotando il biglietto per Madeira, mentre oltre tutte le colline scollinate il ‘73.
L’irregolarità è ovvia dopo 40 anni, e anche le condizioni di imbottigliamento dell’epoca non erano certo quelle di oggi, anche se bisogna ammettere che i piccoli tappi dell’epoca hanno tenuto benissimo e saltano fuori con uno schiocco tondo e convinto. Però le temperature e l’umidità in quel garage che è il deposito delle reliquie non è proprio l’ideale. Insomma, una serie di fattori e di variabili che nonostante tutto non hanno impedito a questi vini di venirci a raccontare ancora oggi una bella storia della viticoltura italiana, quella con le mani sporche di terra e di vinaccia.
da Wine&Food
antonio.dacomo 27/11/20