L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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I VINI CHE FURONO - RASSEGNA DEI VINI NON PIU' PRODOTTI

2021-04-09 09:26:35

GIORGIO GRAI - BELLENDORF, BELLERMONT

All'epoca gestivo una piola ed “enoteca” con i miei genitori in zona Parella, a fine degli anni ’70, e compravo abitualmente parecchie bottiglie di Bellendorf, Pinot Bianco, Riesling e altri vini, vere chicca per l’epoca.
Conobbi poi in seguito questo grande “fenomeno” di Giorgio Graj a casa di Veronelli, nel marzo del 1987, in una serie di degustazioni da lui guidate insieme a Francesco Arrigoni, altro grande compianto. e rimasi stupefatto di questo degustatore.
Ecco “Bellendorf” e Grai mi ha lasciato il segno, pensate che in via Monferrato, i "vecchi come me"  forse se lo ricordano: era nata un’osteria e durò pochi anni (dove adesso c’è il Papo) appunto il Bellendorf che hai quei tempi fece epoca. Pensate che servivano al calice già Aldo Conterno, Giacosa e tutto il meglio di quei tempi e logicamente dei bianchi strepitosi, con un ricco buffet di leccornie e delicatezze. 
Nato a Bolzano da padre triestino e madre trentina, in un momento in cui la cultura vitivinicola del nostro Paese era ai minimi storici, è riuscito a dare un contributo davvero decisivo alla crescita e al lustro del panorama enologico italiano.
Di se stesso racconta di essere “nato in albergo”, quello dei genitori, a Bolzano. E di aver imparato a mangiare e bere bene, anche rubando mezze bottiglie di champagne. Ha girato il mondo dei ristoranti e degli hotel d’alto livello. Ha studiato enologia, ha iniziato come consulente di alcune Cantine, poi si è dedicato anche ai suoi vini, selezionando le uve degli altri. L’affinamento della tecnica dell’assemblaggio, lo ha reso orgoglioso di una dedica dell’architetto Tobia Scarpa, figlio del grande Carlo: «L’assemblaggio è una forma di grande intelligenza perché presuppone la conoscenza di sapori, aromi e profumi ottenuti dal mix. Dunque l’assemlaggio, o l’arte della composizione, è una disciplina artistica.
Enologo e gourmet, uno dei consiglieri più ascoltati di Luigi Veronelli, Ferruccio Lamborghini e Gualtiero Marchesi, uomo di cultura e sensibilità, punto di riferimento di un’intera generazione di enologi, giornalisti, degustatori e chef.
M il suo più grande talento erano  l’olfatto (sapeva giudicare un vino con il naso prima ancora di portare il bicchiere alla bocca) e una sensibilità fuori del comune, che di quel vino gli permetteva di cogliere l’essenza, di comprendere l’anima. Amava soprattutto i bianchi longevi: negli anni 60, forse il momento più buio per il vino italiano, quando la sua avventura enoica era appena cominciata, seppe individuarne botti di straordinaria qualità nelle cantine sociali dell’Alto Adige. Da lui imbottigliati con il marchio Bellendorf e Bellermont sono diventati leggendari. Fu dinanzi a una bottiglia di Pinot bianco da lui prodotto più tardi con il proprio nome che si inginocchio André Tchelistcheff, il grande enologo di origine russa che aveva guidato lo sviluppo del vino in California, assicurando che non ne aveva mai assaggiato uno migliore.
I master of Wine lo avevano invitato a suo tempo a Londra mettendolgli davanti ben14 bicchieri da indovinare con 300 persone come pubblico. Li indivinò tutti, 14 su 14, era proprio un fenomeno. 

È però con la sua attività di consulente che Grai ha inciso più profondamente nella storia del vino italiano: basta, per testimoniarlo, la collaborazione con Ampelio Bucci che ha segnato il riscatto del Verdicchio dopo anni di deriva commerciale e ha dato il via alla sua rinascita qualitativa. Ha fornito aiuto, assistenza, contributo di idee, ausilio alle iniziative in tutte le regioni, dal Piemonte (Gancia) alla Puglia (Cantina di san Severo), dalla Toscana (Coli) al Lazio (Di Mauro), ma soprattutto in Friuli, dove ha creato e prodotto vini per Marina Danieli, che è stata sua compagna di vita e con la quale aveva fatto di Villa Dragoni un centro di cultura non solo enogastronomica. Ha collaborato anche in Francia con una serie di Domaines come Astruc e Paul Mas.
“Ci sono vini biologici corretti secondo il protocollo”, diceva, “ma nati da vigne confinanti con un’autostrada. E dunque pieni di piombo” . Aveva inventato la definizione di vini endemici e sottolineava: “Badate bene, endemici, non autoctoni: se così fosse saremmo in Mesopotamia perché è lì che è nato tutto!”. Sarebbe bello che a ricordare Giorgio Grai restassero soprattutto questi suoi interventi polemici: aiuterebbero a evitare che anche gli intendimenti più positivi tralignino, diventino banalmente mode.
Bellendorf Produceva all’epoca oltre che Pinot bianco, Riesling Renano, Pinot grigio, Moscato giallo e dei rossi come Cabernet e Pinot nero, fantastici.
Dalla cantina di Bonvesin de la Riva di Milano ereditai parecchi vini, buona parte non li acquistai, Moretti mi avrebbe ucciso, allora in società con Marchesi. Correva il 1993, tra le tante etichette parecchie bottiglie di Giorgio Grai targate Schloss Kehlburg Bellermont  Cabernet dell’Alto Adige 1966. 
Avendo dei dubbi su di un vino di quasi trent’anni, lo assaggiai, è incredibilmente trovai questo rosso, a base di cabernet franc in gran parte, straordinario. Lo comprai tutto, e messo in carta a 50mila lire fece la felicità di avventori italiani e stranieri.
Per raccontarvi il talento di questo uomo, pubblico questo racconto di Daniele Cernilli.
“È venuto per comprare un po’ di Marzemino, ha assaggiato tutte le vasche e el me ghà ciavà la migliore”. Il commento, un po’ colorito, ma spero mi perdonerete, è citato alla lettera ed è di un produttore del basso trentino che me lo ha fatto un paio di giorni dopo aver ricevuto la visita in cantina di Giorgio Grai.
Ultimamente lo conoscono meno che in passato, ma trent’anni fa Grai, oggi ultraottantenne, era uno dei miti del mondo del vino. Enologo di Bolzano, ex proprietario di un famoso bar in Piazza Walther, ma soprattutto strepitoso assaggiatore, una qualità che non ha affatto perso nel tempo, uno dei più grandi talenti della degustazione che abbia mai incontrato. Il rovescio della medaglia sta in un carattere che definire terribile non dà che un pallido accenno della situazione. Grai è uno che dice sempre tutto quello che pensa e se ne frega delle conseguenze. Per anni è stato il consigliere occulto di Veronelli, che spesso, se aveva dei dubbi su un vino, lo consultava per avere un parere. Alcune delle sue battute restano scolpite nella mia mente. “Ma perché lei, che potrebbe fare un figlio sano, si accontenta di uno zoppo?” Detta a Paola Di Mauro, produttrice di Marino che poi gli affidò la consulenza per alcuni anni.
Per molto tempo ha collaborato con alcune aziende famose, Gancia innanzi tutto. Poi produce una linea di vini con il suo nome, comprando partite di vino soprattutto in Alto Adige, che con la sua straordinaria abilità riesce a selezionare in modo sorprendentemente felice. È tuttora il consulente enologico di Ampelio Bucci, che fa disperare da più di tre decenni, ma al quale consente di realizzare il Villa Bucci, uno dei migliori bianchi italiani, che a un assaggio attento rivela inequivocabilmente il talentuoso contributo di Grai.

Mi è capitato alcune volte di assaggiare vini con lui, e devo dire che se si perde per un attimo la concentrazione e si dicono banalità, o non si riconosce un difetto, la bacchettata arriva inesorabile e inevitabile. Grai non fa sconti e se sbagli te lo fa notare, sempre, e spesso in modo molto poco diplomatico. Questo fa sì che non sia simpatico a tutti e che venga considerato un personaggio scomodo e litigioso. Del resto chi lo conosce e non ha mai avuto scontri con lui semplicemente non esiste.
“Mi devi spiegare come puoi scrivere che i vigneti di Marina Danieli (azienda che aveva la sua consulenza ndr) producono troppo quando si fanno appena 20 quintali per ettaro” mi chiese polemicamente una volta. “Ma lì c’è un Casarsa modificato, se fate così poco è come usare una Ferrari per il cross country. Poi io ho scritto che i vigneti sono molto produttivi, non che poi si produca troppo” replicai. E lui “Se scrivi così la gente non capisce e pensa un’altra cosa”. “Senti, che m’insegni ad assaggiare ci sta pure, ma che pretendi di insegnarmi anche a scrivere mi sembra troppo”. Si offese e per anni non ci siamo più parlati. Poi a un recente Vinexpo a Bordeaux mi sono sentito chiamare “Beh, ma non vieni ad assaggiare i miei vini?” Era lui, e la richiesta, perentoria, non ammetteva risposte negative. Ovviamente ci andai e mi offrì un Santa Maddalena da urlo. Un blend fra partite comprate, ma che riusciva a nobilitare con la sola capacità di operare tagli. Da fenomeno assoluto qual è.

antonio.dacomo 26/4/20