Le sue ricette nascono dalla bontà della natura perché la meraviglia della cucina è racchiusa nella bellezza di un gambo di sedano. Per Moreno la tavola è un rito e lo Chef è il sacerdote che accoglie i pellegrini per celebrare l’armonia del creato al tocco di una campana denominata “Smarrita” sita nel campanile di Altospascio.
Toscano di origine, nato a Monsummano Terme, poco lontano da Altopascio, da bambino si trasferi a Dogliani, in provincia di Cuneo, e poi a Torino.
Nacque professionalmente al Gatto Nero di Corso Turati, essendo il fratello di Giuseppina Grassi, moglie del compianto titolare Gilberto Vannelli, e qui si occupò del servizio di sala, ma imparò anche a cucinare.
Poi nel 1979 il grande salto, dalla trasformazione dell'antica Trattoria del Cervo, apre in Corso Unione Sovietica 244, "la Smarrita" con i due storici soci Rolando Rolandi e Idilio Soraggi.
A “la Smarrita” avevo preso il posto di Franco Rossino, che in seguito andrà a dirigere il Caval d’Brons, era il 1986, e mi approcciai per la prima volta a questo “mostro sacro” di quegli anni. Mi trovai subito ad affrontare alcune difficoltà: la cantina del locale era talmente piena di cataste di vini , una montagna alta metri!!! Moreno comprava "di tutto e da tutti", per fortuna prodotti di grande qualità, ma mi ci andò un bel po’ di settimane per arrivare a scoprire tutti i vini che c’erano stipati, per fortuna sono sempre stato un buon cantiniere e un ottimo scaricatore. Mentre la mattina e a pranzo, ero in cantina, a cena servivo ai tavoli di quella sala sempre piena, e non senza difficoltà, abbinando quella grande scelta di vini a quei piatti inusuali, per me. Moreno proponeva a voce i suoi piatti e tante volte suggeriva il vino della casa, il “ suo rosso toscano” servito in caraffa che Moreno decantava come quello che selezionava in Toscana dai parenti, ….ed udite, udite…cos’era? Tignanello scaraffato, ne avevano una catasta in cantina, migliaia di bottiglie. Per non parlare del bianco, “il Serpinello”, un “blend” di champagne e vino bianco di qualità fatto al momento in caraffa.
Moreno in quegli anni gestiva un piccolo Impero: La Smarrita, La Rocca, il Caval d’Brons, la Magione del Tau, l'Arcadia, La Fontaine a Jovenceaux, il Lilibeo, una pizzeria, in Corso Unione Sovietica e tanti altri, si dice 18 ristoranti simultaneamente.
"La Smarrita 2" riaperta da qualche anno, in piazza Carlo Alberto, è gestita da un’altra società e la cucina è portata avanti da Marco Giachello, esperto chef con importanti esperienze nella ristorazione torinese.
Moreno Grossi, per tanti anni ha gestito col figlio " la Moreno Catering" una ditta organizzatrice di eventi di alto livello: banchetti prestigiosi e sfarzosi per la Torino bene in ville e castelli, d’altronde la fama non gli mancava.
Io stesso a metà degli anni 2000, ho operato, come tanti altri sommelier dell'AIS, in un periodo che ero libero, in diversi eventi organizzati in prestigiose location di Torino e anche fuori.
Poi Moreno Grossi si è ammalato, per 5 anni è stato fermo, e un paio d’anni fa la svolta: il veterano degli chef torinesi, l’ex storico patron de La Smarrita, l’uomo che ha fatto conoscere ai palermitani lo “chateau-briand” di tonno e a Papa Paolo VI le ciliegie ripiene al ratafià, che ha gestito simultaneamente 18 ristoranti e deliziato i palati della Torino più chic (la dinastia degli Agnelli da lui era di casa), che non voleva cucinare ma creare spartiti, è tornato. Dove sei Moreno? Dove vai? Gli domandavano i clienti e gli amici che per 5 anni non l’hanno più visto preparare creazioni come la fondutina nel guscio di noce con il tartufo, dolcificata con il gheriglio.
«È stata un’assenza forzata per problemi di salute, ma l’affetto della gente non mi ha mai abbandonato». Per questo, il 15 gennaio 2015, quando i medici gli hanno detto che era guarito, il primo pensiero è stato (ri)aprire un ristorante e rendere omaggio a quella domanda - Moreno, «dove vai?» - che l’ha accompagnato nei momenti bui contribuendo a calmargli il dolore come un balsamo: così è nato «Quo Vadis», ora Ristorante Moreno Grossi, in corso Raffaello 5, assieme a Fabio Montagna.
Così lontano dagli chef-vip sempre più presenti in tv e meno in cucina. «Ora c’è la ricerca spasmodica di stupire, scivolando spesso nella volgarità». I grandi «dovrebbero trasmettere educazione e rispetto per i prodotti, invece è come se fossero direttori d’orchestra che insultano i musicisti a suon di “deficienti”». S’intuisce che non lo vedremo mai giudice in un reality.
Trascrivo questo bell’articolo del 1989 di Giorgio Re, grande gourmet.
“Quando la sona la smarrita l’è ora di mangiare” così in Toscana nel Medioevo il viandante, lontano dal suo Borgo e in cerca di un riparo, era tirato dal suono di una campana, la smarrita, i cui rintocchi lo indirizzavano al “hospitium”, la locanda dove cercare rifugio e protezione. L'oste e lo ostessa lo accudivano personalmente, mentre i servi, si occupavano dei cavalli. Se era privo di bagaglio e talvolta inzuppato di pioggia, gli offrivano delle vesti che poteva indossare per tutto il periodo della sua permanenza. Antiche usanze che creavano nel pranzo un momento di incontro, un affettuoso spunto per far conoscere all'ospite le proprie doti di disponibilità e di cortesia. Sulle orme degli antichi viandanti anche noi in cammino, non alla ricerca di protezione e di rifugio, ma dei Templi dove il preparare prelibatezze gastronomiche non si non si differisce molto un rito, ritroviamo L'Antica cortesia e la l'affidabilità medievale nei confortevoli locali della “Smarrita”, ristorante Torinese troppe volte obliato nelle classifiche gastronomiche nazionali, ma per noi da includere senza tema di smentite tra i migliori d'Italia. Allontanandosi dal centro, quello che colpisce al 244 di Corso Unione Sovietica non è un abbagliante insegna al neon tipo “Las Vegas”, ma un'insolita atmosfera di riservatezza e di quiete: un cancello quasi nascosto dal verde di una siepe conduce a un locale che non ha certo bisogno di presentazioni. L'interno mette in mostra una sobria eleganza: vi prevale la pietra, la cui monocromia è ravvivata dai colori dei tessuti, dei cuscini policromi e dai stupendi mazzi di fiori che occhieggiano da grandi orci di terracotta. Una tradizione di buongusto, una clientela “in”, ma soprattutto un'ottima cucina allineata all'ideazione della nuova cucina italiana.
Moreno Grossi Toscano di nascita ma a Torino da quando era bambino, ha chiamato così il suo ristorante, oggi il più frequentato del “top” torinese. Abbigliato con una sorta di tunica bianca su maglia nera che ricorda un abito da frate, Moreno ci accoglie con la signorilità e molta classe, ma coi frati, dice, non ho niente a che vedere: questo abbigliamento è quello che gli antichi Cavalieri portavano sotto l'armatura.
La smarrita vuole ricordare quelle intuizioni che, qua e là per l'Europa, sorgeva nei primi secoli dopo il mille per dare vitto e alloggio ai passanti dai quali ci si aspettava non che pagassero, ma che lasciassero una lauta mercede, in proporzione al censo del Pellegrino e alla qualità del cibo e dei vini ricevuti.
A la Smarrita bisogna suonare alla porta e aver prenotato altrimenti è quasi certo che non si trova posto, i camerieri di Moreno, tutti studenti raffinati in tunica bianca, offrono un Kir, un cocktail della casa a base di champagne e sciroppo di lamponi. Non c'è menù, Moreno, coadiuvato in cucina da Rolando Rolandi e Idillio Soraggi, ti propone piatti oppure una serie di assaggi tutti creati a seconda dell'andamento stagionale. Sul tavolo, infiorato con gusto squisito, compaiono fette di focaccia calda imbottite di pancetta che volendo possono accompagnarti per tutto il pasto. Tutte le ricette sono motivate dalla semplicità, con grande impegno impiego di erbe e verdure di stagione. La mentuccia, il dragoncello, l'erba cipollina, il timo, il crescione, l'insalata cappuccina, la barba dei frati, sono intelligentemente scelti per donare ai piatti profumi indimenticabili.
Il locale è improntato sulla personalizzazione in chiave gastronomica di antiche ricette e tradizioni rivistate in un'ottica attuale. Pur ispirandosi alla filosofia della cucina toscana, il menù non offre i consueti piatti tipici, ma soluzioni sempre nuove. Coraggiosamente qua e là compaiono fondutine, carne cruda all'albese e zuppe riesumate dalla tradizione locale. Un ideale gemellaggio fra cucina toscana e quella piemontese.
Dopo questa pausa necessaria la fine delle dei deliziosi assaggi, talvolta troppi, arriviamo all'apoteosi dei primi. Tagliatelle con funghi, maltagliati con zucchine, trevisana, salsa di ortiche e avocado (un curioso miscuglio, per la verità dai gusti contadini e sapori esotici, che si sposano magnificamente), spaghetti con i frutti di mare, bucatini allo zafferano con pomodoro fresco e profumi di erbe, maltagliati di farina di castagne con ricotta, tartufo nero e pepe e i tradizionali spaghetti con pomodoro fresco e basilico della Riviera di Ponente la dove l'ultimo lembo di terra italiana si congiunge alla Costa Azzurra.
La scelta dei secondi è del pari imbarazzante: una tenera fetta di carne guarnita con funghi al funghetto, scaglie di parmigiano e pistacchi freschi, branzino al vapore sulle cruditès, pesce e crostacei in cento modi.
Il piatto più richiesto è la Châteaubriand condita con bacche di ginepro, scottate in olio toscano degno della Corte dei Re di Spagna.
Rispettando la tradizione italiana, dove si dà molta più importanza ai piatti che hai dessert, Moreno non è mai troppo impegnato nel piatto di chiusura, pur tuttavia si possono gustare deliziosi sorbetti preparati in casa, fragole, dolci, fra i quali eccezionale quello col torrone, frutta fresca tagliata e ricoperta da una gelatina di lamponi, il tutto servito con cantuccini e brigidini (sorte di cialde all'anice da inzuppare in Moscati e Passiti di grido.
Ho conosciuto Moreno quasi ragazzino “al Gatto Nero” accompagnato dal suo datore di lavoro, quel grande ristoratore che è stato Ciro, venire in clinica e si lasciava curare solamente dal sottoscritto, come diceva scherzosamente, con “il doppio colpo del Maestro”.
Oggi Moreno Grossi, personaggio amato della Torino-bene, il suo piccolo, curioso tempio del mangiar bene, è riuscito a costruirlo: prova lampante ne è la raffinata qualità dei clienti. Torino va a “La Smarrita” non soltanto perché è “chic”, perché di moda, perché elegante, si va perché si mangia bene in un'atmosfera idilliaca.