L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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I TEMPLI DELLA CUCINA

2021-03-27 14:35:32

IL MONTECARLO DI SANTE PREVERIN

Sante Prevarin, è sempre stato un signore, serio e riservato, un grande professionista. Avevo avuto il piacere di conoscerlo e frequentarlo ai tempi del primo corso per Sommelier, che si era tenuto alla camera di commercio di Torino, quarant’anni fa. D’altronde in quel ciclo di studi in quel salone enorme avevo condiviso le poltrone col fior fiore della ristorazione Torinese, con gli addetti al commercio del vino e con tanti appassionati.
Ottantun’anni compiuti il 26 agosto, veneziano, nato a Concordia Sagittaria, un paese che sembra un' invenzione linguistica. Studia a Udine, perito industriale, paracadutista a Pisa e Livorno, nel 1960 a ventun anni si trasferisce a Torino: vince un concorso ed entra in Fiat, alle Ferriere. Per quindici anni fa il tecnico della laminazione a freddo degli acciai poi caporeparto Fiat, qualità artistiche di pittore e di fotografo indiscusse  e la volontà di fare carriera. Sante s’era fatto sapiente somministratore di cibi e vini sposando nel 1971 Maura Seghetti. Maura gestiva allora il ristorante di famiglia Montecarlo, che non è il Principato, ma Montecarlo della Lucchesia, in Toscana, di cui è originaria.  E lui dal '71 fa doppio lavoro, triplo: fabbrica, ristorante e continua a fotografare e disegnare. Nel 1974 Sante comincia l’attività di ristoratore a tempo pieno. Il restauro dell’83 e la personalità di Prevarin - attivismo, fantasia, simpatia - collocarono il «Montecarlo» accanto alla «Birreria Mazzini» dei fratelli Mavaracchio, alla «Vecchia lanterna» di Zanetti, ai «Due Lampioni» di Bagatin, il quartetto di ristoranti veneti che contesero clientela illustre al sacro «Cambio».
Il ristorante «Montecarlo» non ha più riaperto dopo la pausa estiva del 2019, a malincuore ha chiuso i battenti per sempre.
Nel suo locale di via San Francesco da Paola ha accolto e sfamato uomini, donne, amici, clienti, ma non era un ristoratore, sosteneva. Raduna ancora oggi memorie, appunti, articoli, immagini, ma non è un collezionista, né un archivista. Che cosa non è, Sante Prevarin, lo dice subito: non è il mestiere o i mestieri che fa, è lo sguardo che ha. Come tutti i veri originali, tutti coloro che sanno vivere, si lascia nutrire dalle passioni. Di sé dice: «Io osservo, sono curioso, e la curiosità mi porta a indagare le persone e i luoghi che conosco, per approfondirli, per scoprirli meglio». Così è che la fotografia e il ristorante Montecarlo, di cui era proprietario e gestore da oltre quarantacinque anni, gli servono per osservare il mondo e scrutare anche un po' dentro se stesso. Alle pareti aveva una serie di sue foto, una della Mole con i numeri rossi di Fibonacci in evidenza, uno squarcio di suggestione metafisica che Mario Merz ha autografato.
Poi altri scatti di Torino, da piazza Vittorio alle Ogr, e poi la gipsoteca canoviana in provincia di Treviso e le cave di Carrara. E ancora i ritratti della scrittrice Susan Sontag, dei jazzisti Dizzy Gillespie e Jerry Mulligan, del padre dell' arte concettuale Joseph Kossuth, tutte con dedica. E anche il volto spigoloso di Guido Ceronetti e la locandina di uno spettacolo al Piccolo di Milano del Teatro dei Sensibili, di cui Sante è l' iconografo ufficiale. Spiega, seduto nel suo ex-ristorante, «Se sono riuscito a sopravvivere facendo quel lavoro, è perché ci mettevo l' anima: quando andavo a fare la spesa, non la facevo per il cliente, ma per mio piacere. Un discorso che vale anche per la fotografia: fare foto non è fare clic, devi usare la macchina come se fosse la prolunga del tuo pensiero prima ancora che del tuo sguardo, le foto vengono dalla tua curiosità». Sante Prevarin ha lampi infantili negli occhi. Non dimostra i suoi 80 anni.
 «Negli anni Settanta qui veniva a mangiare l' Arte Povera, Merz, Pistoletto, il gallerista Tucci Russo - racconta Prevarin - Da allora inizia a prendere forma la mia passione per l' arte. Sai, quando c' è di mezzo l' arte, è sempre questione di forma. Comincio a fotografare con un' altra intenzione. Poi conosco Paolo Fossati, straordinario critico d' arte, e dagli anni Ottanta quell' artista meravigliosamente folle che è Carol Rama. Mi ha subito affascinato per la sua capacità di trasgressione, per la sua pittura fisica. Giorno per giorno, contatto dopo contatto, ho cominciato a raccogliere testimonianze di lei e su di lei». Così oggi in mano ti ritrovi un libro su Carol Rama che è un' opera unica, una vera e propria architettura. Una sorta di cahier d' artista in più album. Le copertine originali sono firmate da lei. Dentro ci sono fotografie, dediche, locandine, ricordi, recensioni, citazioni, contaminazioni. Ci sono vent' anni di amicizia con un' artista la cui arte è l' esatto specchio della sua vita. L' esatto contrario di Guido Ceronetti, scrittore, traduttore, poeta, artista della parola, con cui il sodalizio è saldo da una decina d' anni. Per Ceronetti arte e vita si parlano, ma da due colline lontane. «L' ho conosciuto quando sono andato a fotografare i suoi teatrini in mostra a Caraglio, un' esperienza travolgente - spiega il non fotografo e non ristoratore - Ho lavorato una giornata ricavandone una cinquantina di immagini». Quando lo scrittore le vede, testimonia: «Le tue non sono fotografie, sono poemi». E gli assegna la Patente di fotografo Princeps del Teatro dei Sensibili. Con l' inizio della loro collaborazione, Sante dà mano a un altro dei suoi scrigni in forma di libro, pieno di appunti, disegni, corrispondenza, ritagli. Vi raccoglie le sue gioie, le sue memorie, il suo sguardo sugli uomini e le cose. In forma unica, non ripetibile. Così come deve essere un buon piatto. O una buona fotografia.
Nel palazzo che ospitò la contessa di Castiglione, si era accolti in una sala neoclassica con volte sostenute da colonne. Maura e Sante, proprietari, gestivano il locale da oltre quarantacinque anni con serietà e impegno e propongono una cucina di pesce e di carne che trae spunto da varie regioni e che varia stagionalmente: baccalà mantecato, sarde in saor, spaghetti con bottarga di muggine, gnocchi alla friulana, spalla d'agnellino da latte al forno.
Tra le colonne del locale erano passati il fior fiore della politica di allora, i migliori artisti del momento e tutti i sindaci della città. Lì si svolsero incontri decisivi per le sorti di Torino. Al tempo di Mani pulite cimici orecchiute tra i tavoli intercettarono segreti che fecero scoppiare scandali famosi. Tuttavia il «Montecarlo» continuò a essere l’approdo preferito da banchieri, politici e intellettuali. 
Il Montecarlo di Sante era l’ultimo rimasto sulla scena: se han chiuso tre locali che parevano intramontabili prima di me, posso vantarmi della qualità così lungamente servita. 
Ecco alcuni piatti che proponeva: insalata russa e gamberi, patè di fegatini, baccalá mantecato, sarde in saor, flan di spinaci con fonduta.
Agnolotti fatti a mano al burro fuso, gnocchi fatti a mano alla friulana, spaghetti con bottarga di muggine, zuppa di pasta e fasioi, milanese con l'osso, tagliata di vitellone piemontese, filetto di rombo e gamberi alla mugnaia, polenta con merluzzo in umido, filetto d'orata con carciofi (in stagione) o con punte d'asparagi, trippa in umido.
Troveremo Sante a coltivare le sue passioni, la sensibilità con la quale parla di fotografia (ha sue foto in mostra alla Gam di Torino e alla Galleria civica di Modena), la sua arte contemporanea, perché no di musica, di libri, di persone, di vita. E lo ricorderemo come un dei migliori ristoratori e anche «stellato» perché no. 

antonio.dacomo 27/3/21