Ottantun’anni compiuti il 26 agosto, veneziano, nato a Concordia Sagittaria, un paese che sembra un' invenzione linguistica. Studia a Udine, perito industriale, paracadutista a Pisa e Livorno, nel 1960 a ventun anni si trasferisce a Torino: vince un concorso ed entra in Fiat, alle Ferriere. Per quindici anni fa il tecnico della laminazione a freddo degli acciai poi caporeparto Fiat, qualità artistiche di pittore e di fotografo indiscusse e la volontà di fare carriera. Sante s’era fatto sapiente somministratore di cibi e vini sposando nel 1971 Maura Seghetti. Maura gestiva allora il ristorante di famiglia Montecarlo, che non è il Principato, ma Montecarlo della Lucchesia, in Toscana, di cui è originaria. E lui dal '71 fa doppio lavoro, triplo: fabbrica, ristorante e continua a fotografare e disegnare. Nel 1974 Sante comincia l’attività di ristoratore a tempo pieno. Il restauro dell’83 e la personalità di Prevarin - attivismo, fantasia, simpatia - collocarono il «Montecarlo» accanto alla «Birreria Mazzini» dei fratelli Mavaracchio, alla «Vecchia lanterna» di Zanetti, ai «Due Lampioni» di Bagatin, il quartetto di ristoranti veneti che contesero clientela illustre al sacro «Cambio».
Nel suo locale di via San Francesco da Paola ha accolto e sfamato uomini, donne, amici, clienti, ma non era un ristoratore, sosteneva. Raduna ancora oggi memorie, appunti, articoli, immagini, ma non è un collezionista, né un archivista. Che cosa non è, Sante Prevarin, lo dice subito: non è il mestiere o i mestieri che fa, è lo sguardo che ha. Come tutti i veri originali, tutti coloro che sanno vivere, si lascia nutrire dalle passioni. Di sé dice: «Io osservo, sono curioso, e la curiosità mi porta a indagare le persone e i luoghi che conosco, per approfondirli, per scoprirli meglio». Così è che la fotografia e il ristorante Montecarlo, di cui era proprietario e gestore da oltre quarantacinque anni, gli servono per osservare il mondo e scrutare anche un po' dentro se stesso. Alle pareti aveva una serie di sue foto, una della Mole con i numeri rossi di Fibonacci in evidenza, uno squarcio di suggestione metafisica che Mario Merz ha autografato.
Tra le colonne del locale erano passati il fior fiore della politica di allora, i migliori artisti del momento e tutti i sindaci della città. Lì si svolsero incontri decisivi per le sorti di Torino. Al tempo di Mani pulite cimici orecchiute tra i tavoli intercettarono segreti che fecero scoppiare scandali famosi. Tuttavia il «Montecarlo» continuò a essere l’approdo preferito da banchieri, politici e intellettuali.
Il Montecarlo di Sante era l’ultimo rimasto sulla scena: se han chiuso tre locali che parevano intramontabili prima di me, posso vantarmi della qualità così lungamente servita.
Ecco alcuni piatti che proponeva: insalata russa e gamberi, patè di fegatini, baccalá mantecato, sarde in saor, flan di spinaci con fonduta.
Agnolotti fatti a mano al burro fuso, gnocchi fatti a mano alla friulana, spaghetti con bottarga di muggine, zuppa di pasta e fasioi, milanese con l'osso, tagliata di vitellone piemontese, filetto di rombo e gamberi alla mugnaia, polenta con merluzzo in umido, filetto d'orata con carciofi (in stagione) o con punte d'asparagi, trippa in umido.
Troveremo Sante a coltivare le sue passioni, la sensibilità con la quale parla di fotografia (ha sue foto in mostra alla Gam di Torino e alla Galleria civica di Modena), la sua arte contemporanea, perché no di musica, di libri, di persone, di vita. E lo ricorderemo come un dei migliori ristoratori e anche «stellato» perché no.