L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

I TEMPLI DELLA CUCINA PIEMONTESE

2021-12-09 15:44:03

L'OSTU BACU DI CORSO VERCELLI A TORINO DI CARLO MONTRUCCHIO

C'era una volta in Barriera di Milano una trattoria tipica che gli appassionati della buona tavola solevano frequentare per la tradizionale merenda sinoira.

Era consuetudine, per i torinesi, dopo la passeggiata o il bagno ai canaloni della Stura, fermarsi da papà Giacu: “da Bacu” alla trattoria “Antico Bacco” che nella zona delle Basse di Stura era popolarmente chiamata “la Bariera d’ Bacu”. Le specialità del locale erano il fritto misto, i pesci in carpione, pasta e fagioli, il buon salame e le rane che mamma Maria, cuoca sopraffina, preparava per questa affezionata clientela con vero stile casalingo, esaltando il gusto di una volta. Il vino, diligentemente selezionato, veniva dalle migliori cantine piemontesi. Per questa ragione erano molti i clienti che si consolavano sino al crepuscolo col quartino di rosso. La frescura del luogo sotto la “topia” ricoperta di deliziosa uva fragola, le allegre brigate e l’ospitalità di Giacomo erano divenute talmente proverbiali, da costituire un’ambita metà dopo una giornata di fatiche e di svago.

Lo sviluppo del contesto urbano ha rubato a questa zona fuori mano la singolarità, invadendola di palazzi e di fabbriche. E’ per questo che anche la Trattoria Antico Bacco, Ostu Bacu in seguito, fu costretto a cercarsi un’altra dimora.

Al 226 di Corso Vercelli, non distante dalla Strada delle Campagne, si fissava la nuova sede. Papà Giacu dopo aver sistemato il nuovo locale, sentiva la necessità di un po' di riposo: a quel tempo il mestiere dell’Oste era particolarmente duro e quindi l'età e il lavoro pesavano su di lui e giustamente lasciò al figlio Carlo la conduzione del locale la stima della numerosa clientela.

Il giovane Carlo Montrucchio che nella sorella Maria trovo una fervida alleata e consigliera, ben presto con le qualità e la costanza dei giovani, decise di dare una nuova forma, uno nuovo stile alla vecchia Piola del padre.

Non erano tempi floridi e tantomeno la precedente attività paterna aveva lasciato un clima di agiatezza. Con buona volontà e con forza di sacrificio, non privo di rischi, cambiò totalmente le strutture del locale rendendolo un piccolo salotto di gastronomia.

Non trascurò i minimi particolari abbellendolo esteticamente con un rivestimento in palissandro selezionato, vivacizzato con lucernari a greche serigrafate, che creavano un timido riflesso sulle tavole cremisi, quasi ovattato, rallegrato delle musiche cabarettistiche piemontesi (siamo all’epoca di Gipo Farassino, di Mario Piovano…).

Pochi sono i tavoli, perché volutamente dovevano servire a una minima clientela, per poter offrire un servizio inappuntabile.

Il ristorante era piccolo: 45 posti al massimo, ma proprio per questo, l’atmosfera risultava calda e raccolta, il soffitto in legno e i bei vetri serigrafati diffondevano una giusta dose di luce sulle tovaglie rosse dei tavoli. Qui per poter mangiare era consigliabile prenotarsi perché i posti erano quasi sempre tutti occupati.

Carlo Montrucchio ci fece presente che i piatti della sua cucina erano preparati espressamente e quindi presentano tutta l’autenticità che sua moglie, la signora Maria Teresa, e la sorella Maria sapevano garantire.

A presentare lo spartito, che generalmente rispecchiava le pietanze del giorno, era lo stesso Oste o suo cognato Elso, un po' raffinati in vero, ma che con spirito di signorilità sapevano allettare il commensale aiutandolo a scegliere i piatti più tipici della casa.

Abbiamo fatto esperienza, personalmente di queste sue speciali spiccate qualità di anfitrione.

Ci servì gli antipasti caldi dicendoci che era un punto di chiave della loro cucina.

Frittate di cipolle e di lumache, sanguinacci caldi e salsicce con cipolle, fagioli con cotiche, tonno al verde e lenticchie con zampone.

Con stile da istrione, ci propose delle buone bottiglie di Dolcetto, sottolineando che volgevano ormai alla fine della sua enoteca, quasi a sottolineare che quel nettare era degno del dio Bacco.

Ci diede appena il tempo di respirare (non di commentare le sue portate) che già vennero approntate in tegami diversi e fumanti, stimolando nostra golosità: gnocchi al tonno, tagliatelle al sugo di fegatini e agnolotti al sugo d’arrosto.

Con bel fare, ci spiegò che i piatti erano stati preparati con pasta fresca fatta in casa. Seguì un assaggio di lumache al verde, di trippa in umido alla casalinga e di faraona alla Sabauda.

Quest'ultima portata, ci spiegò, era stata ricavata da un'antica ricetta dei Savoia del ‘700: la faraona veniva avvolta in pancetta e posta a rosolare con fegatini, duroni, prezzemolo, aglio, rosmarino, ginepro e salvia. Dopo la cottura, dalla teglia si toglievano questi ingredienti che venivano ridotti in sugo e poi sono sparsi delicatamente sul volatile. Ci invitò ancora a scegliere altri piatti dallo spartito, ma in fondo eravamo più che sazi dalla gustosità dei piatti che ci erano stati serviti, avevamo potuto già apprezzare l'alto valore della sua cucina.

Il buon dolcetto aveva fatto il suo effetto e allora ci sentivamo più amici che clienti: fraternizzando con l'Oste, passammo alla grappa. La bottiglia recava questa scritta “Grappa ardente dell'uomo selvatico che manduca all’Ostu Bacu”.

Come per sortilegio, ci aprì le “porte di sesamo” e alla nostra presenza appariva la signora Maria Teresa che ci forzava ad assaggiare quello che lei riteneva la specialità che doveva segnatamente coronare la festa conviviale: in una tazzina ci serviva lo zabaglione caldo mentre in un piattino si porgeva delle fette di focaccia casalinga.

Passò ancora sul tavolo qualche grappino e qualche altra bottiglia di rosso prima che una stretta di mano e un arrivederci concludessero l’ospitale e generoso incontro.

Abbiamo avuto la sensazione che il successo dell’Ostu Bacu derivava soprattutto dalla forza dell'unione che cementava la famiglia dei proprietari.

Questo articolo del 1973 di Pier Paolo Roccella, che ho trascritto in calce, è la chiara immagine di questo locale e dei suoi titolari, di un ristorante che ha fatto epoca in quei tempi lontani. Uno dei primi stellati di Torino dopo i “mostri sacri” Del Cambio, Caval ‘d Brons, Villa Sassi e Vecchia Lanterna, stella conquistata nel 1880 e mantenuta fino al 1986.

Tantissimi i personaggi famosi che hanno frequentato l’Ostu Bacu, per citarne alcuni: Luigi Veronelli (1973), Maria Callas – Di Stefano (1973), Gino Paoli (1971), Sesto Bruscantini,(1970),Gianluigi Mariannini, il direttore d’orchestra Nino Sanzogno (1973), l’attrice Edmonda Aldini, Nino Defilippis, Umberto Gramaglia (campione di bocce), Giampiero Boniperti, Beppe Furino, Cereser, Sala, Crivelli, Balmamion, pittori famosi: Guido DeBonis, Dionisia Goss, Molinari, Umberto Levi, Sergio Manfredi, Balzola….

E’ nel lontano 1969 che l’Ostu Bacu apriva la sua nuova attività in corso Vercelli, dalle spoglie della vecchia osteria, e da allora per Carlo Montrucchio e Maria Teresa Rita si è aperto un lungo periodo di grandi successi anche dopo la cessione dell’Ostu Bacu, avvenuta nel 1974, con ben diciotto locali aperti in seguito.

Per nominarne alcuni: C’era una volta (Torino), il Melograno (Torino), la Locanda di Re Arduino (Colleretto Giacosa), lo Zodiaco (Santo Stefano al Mare), il Borgo Antico (Moncalieri), il Circolo Soci dell’Unione Industriale (Torino), il Ristorante Le Pigne (Coazze).

Una grande carriera che pochi ristoratori hanno conseguito, complimenti Carlo.

Antonio Dacomo 12/2021

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