L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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I TEMPI DELLA CUCINA

2021-04-17 08:22:09

'L CAVAL ‘D BRÔNS di Piazza SAN CARLO a TORINO

Da Frank Sinatra a Ricky Martin, da Totò a Sofia Loren passando per i reali di diversi paesi. A 'L Caval ’d Brôns, uno degli storici locali di piazza San Carlo, sono passati davvero tanti cantanti, attori e vip in quasi settant’anni di apertura al pubblico.
Non c’era torinese che non lo conoscesse e la notizia della chiusura per molti è stata poco più di uno scherzo. Invece no, nessuno scherzo, ‘L Caval ’d Brôns ha chiuso i battenti per sempre. Questo è successo cinque anni fa, anche se il ristorante al primo piano aveva già chiuso nel 2002.
A me personalmente ’LCaval ’d Brôns evoca tanti bei ricordi. Infatti in quegli anni, operando al Ristorante della Rocca, di cui “quel vulcanico” Moreno Grossi era gestore, insieme anche alla “Smarrita” e a tanti altri locali, appresi che avrebbe riaperto anche questa "chicca" chiusa da anni.
Carlo Chiti (toscano come Moreno), avevo avuto il piacere di conoscerlo professionalmente nel corso di alcuni mesi in cui aveva “spadellato” alla Rocca, in attesa dell’apertura del “Neuv Caval ’d Brôns”(1997-2002).
Con Franco Rossino, rivolese, direttore di sala del “Caval”, collega e amico, avevo persino collaborato in quella splendida “bomboniera”, per un breve periodo estivo, quando mi aveva chiesto di aiutarlo in sala.

Ecco la controversa storia di questo locale, raccontata da Giorgio Re nel 1989.
Piazza San Carlo, la Place Vendôme di Torino, considerata una delle più belle d'Italia dai viaggiatori forestieri, fu disegnata nel 1637 da Carlo di Castellamonte, su un rettangolo di 168 metri per 76. I palazzi, in origine ancora più eleganti grazie alla leggerezza delle colonnine binate che li sostenevano (occluse molto più tardi negli attuali pilastri, per motivi di stabilità), divennero subito dimora delle più importanti famiglie nobili.
Si conserva ancora, nel palazzo Isnardi di Caraglio, poi Palazzo del Borgo e ora sede dell' Accademia Filarmonica e dell’esclusivo Circolo del Whist, un classico esempio di abitazione aristocratica Torinese di età barocca, con decorazioni e arredi interni di straordinaria eleganza, firmati da architetti, pittori e decoratori di primo piano del ‘700.
Al centro della piazza venne eretto il monumento equestre del Duca Emanuele Filiberto, la statua che fu subito battezzata dai cittadini torinesi 'L Caval ’d Brôns, il cavallo di bronzo. Fu, sin d'allora, uno dei simboli della città, tanto che l'espressione indica quanto vi sia di più autenticamente e genuinamente torinese.
Ecco perché, nel 1947, quando si decise di aprire sotto i portici del Castellamonte una birreria destinata ad accogliere la più eletta clientela nazionale e internazionale, sorse spontanea la denominazione 'LCaval ’d Brôns.

All''elegante birreria arrise un immediato grande successo e altrettanta notorietà, sicché era luogo comune di sentir parlare di Torino accoppiata alla prestigiosa Birreria il cui nome, di difficile pronuncia per un non piemontese, veniva storpiato con terribili assonanze.
Negli anni ’60, periodo di maggiore fulgore, la Birreria, in diretta concorrenza col vicino al Ristorante “del Cambio”, era considerata alla pari della Mole Antonelliana, della Sacra Sindone e della Juventus, una delle maggiori attrazioni di Torino.
Ricordo gli amici Congressisti, che convenuti a Torino per le storiche giornate mediche organizzate dal professor Achille Mario Dogliotti, chiedevano a ripetizione di essere accompagnati a questo Tempio della cucina tanto amato dai torinesi. E poiché i posti non erano sufficienti, si predisponevano dei turni e qualche collega arrivava il giorno prima o si fermava il giorno dopo il Congresso, esclusivamente per essere accompagnato al Caval ’d Brôns.

Poi venne la notte. Prima trasformato in Pub Lancia (gestito dalla sig.ra Migliari, eroina di Lascia o Raddoppia) e poi in Steak House (gestione Cossolo), il locale subì un prolungato periodo di mesto declino.
Dopo sette anni di chiusura ci voleva Moreno and Company, già titolare dei prestigiosi ristoranti La Smarrita, La Rocca e Magione del Tau per far rinascere, 16 febbraio 1988, il Caval ’d Brôns, riportandolo ai fasti del passato.
Oggi coi suoi otto tavoli disposti in modo di assicurare la massima privacy, un'elegante tappezzeria turchese, come le candele che abbelliscono i tavoli ricoperti dalle candide tovaglie di fiandra, Torino ha di nuovo il suo gioiello, seducente e affascinante come un club londinese di antica tradizione. Meta preferita soprattutto dagli uomini d'affari, a cominciare da Gianni Zandano, Presidente dell'istituto Bancario San Paolo, e dai suoi stretti collaboratori.
Moreno Grossi, ormai considerato il grande della ristorazione Torinese, manager proteso sempre al meglio non soltanto come estetica ma anche come sostanza, con grande fiuto ha piazzato al Caval ’d Brôns due dei suoi migliori collaboratori, due nomi leader. Parliamo del “suo” grande cuoco Carlo Chiti ai fornelli e del “suo” Franco Rossino, sommelier di eccelsa esperienza in sala. Chiti che ha lavorato in Italia, Francia, Svizzera e Germania, propone piatti classici e moderni, tradizionali e insoliti, sempre comunque, come si legge sulla Guida dell' Espresso, “per la gioia del palato”.
Dal suo ricettario sono banditi il convenzionale, l’ovvio, l'obsoleto, per far posto a una cucina intelligente e seducente. Lo coadiuva egregiamente in sala, Franco Rossino, che ha elaborato una ricca e meditata carta dei vini, sempre proposti con stile impeccabile.
Possiamo reperivi nella prima pagina i migliori Bianchi della Valle d'Aosta, del Piemonte, dell'Oltrepò Pavese, della Liguria, Toscana e Umbria. La seconda pagina è tutta per il Veneto, Friuli Venezia Giulia e Alto Adige. Di larga scelta anche i vini italiani da dessert e gli spumanti sia champenois che charmat. Completo l'elenco dei rossi, dove logicamente il Piemonte la fa da padrone, con Barbareschi, Baroli, Barbere, Dolcetti, Grignolini e Nebbioli delle migliori aziende vinicole. Fra i rossi anche la Toscana è massicciamente rappresentata: tutti i migliori Brunello di Montalcino, i Chianti, i Sassicaia, i Tignanello e i Solaia. L'Umbria è rappresentata dal Sagrantino di Montefalco, e largo spazio viene dedicato al Veneto, Friuli Venezia Giulia e Alto Adige, con tutti i grandi Cabernet, il Refosco, i Pinot neri e lo Schioppettino. Dalla Francia i vini d'Alsazia, di Bourgogne, i Bordeaux, i Poully de la Val de Loire e una larga messe di champagne, fra i quali spicca il Clos du Mesnil del 1979. Fra rossi francesi i Beaujolais sia Nouveau che Village, i Bourgogne e tutti i migliori Chateaux di Bordeaux. Non mancano un paio di vini tedeschi, tre bianchi californiani, 4 rossi sempre californiani della Napa Valley.
Inappuntabili camerieri in divisa roccocò vi serviranno un bicchiere di champenois. Poi potrete gustare un menù di cucina spontanea, di pesce, vegetariano, alla carta o quello legato ai “piatti della tradizione”. Quest’ultimi mutano di giorno in giorno. Al lunedì il classico ossobuco, martedì il “carrello del gran bollito” , altro piatto classico, il mercoledì il fritto misto alla piemontese, per il giovedì “gran paella alla valenciana”, una nizzarda bouillabaisse al venerdì per finire al sabato con un cosciotto d'agnello allo spiedo alla maniera normanna.
Ma nell'olimpo di Chiti, sempre attento a quanto offre il mercato, troviamo anche quattro menù, uno per stagione. Impossibile raccontarveli per esteso. Scegliamo a caso qua e là: insalata di mare e fave, storione fresco marinato al coriandolo e caviale, tartare di gamberoni reali e funghi porcini, filetto di triglia con asparagi, insalata di crostacei alla rughetta e citronella, tartare di coda di rospo all'olio di mandorle, cocotte di lumache alle erbe di Provenza, fegato di anitra fresco e petto di quaglia su insalata di cavolo rosso, insalatina tiepida di cosce di rana, terrina di piccoli legumi e fegatini di pollo all'aceto balsamico, la stupenda terrina di beccaccia in gelatina di Picolit, flan di cardi in leggera salsa di acciughe.
Fra i primi grande inventiva nei tagliolini di ortiche ai calamaretti e burro di scampi, come nei gnocchetti di spinaci al guazzetto di cosce di rana, nella crema d'aragosta al guazzetto di arselle e nella zuppetta di datteri ai pistilli di zafferano.
Splendidi i secondi tra i quali ricordiamo il petto d’anitra ai semi di sesamo, il tortino d'agnello agli zucchini, il rognone di vitello alle bacche di senape, petti di quaglia alle ciliegie, schiena di coniglio farcita con salsa al melograno, sminuzzato di capriolo all'agrodolce, filetti di agnello alle erbe aromatiche in crosta di sale.
Se poi, come il sottoscritto, amate più il pesce, non avrete che l'imbarazzo della scelta: aragosta marinata al Sauternes, branzino alle spezie in salsa di bottarga, filetto di coregone alla crema di basilico, code di scampi al melone in salsa di zenzero, astice alla crema di cerfoglio, scorfano arrosto su letto di patate e scalogno. E badate bene, quanto sopra riportato non rappresenta che un quinto dei menù di pesce elencati sulle varie carte.
Per i vegetariani: fondi di carciofi ripieni alla purea di spinaci, una divina ratatouille alla nizzarda, tortelli di fagioli al profumo di maggiorana, gran misto di verdure alla griglia e un'eccezionale, e indimenticabile, Saint-Honorè agli spinaci, la charlotte di melanzane, zucchine in salsa di avocado.
Ottimi dessert: dai sorbetti di frutta alla torta di carote, dalla crostatina di lamponi alla mousse di kiwi, dalla bavarese Arlecchino alla sfogliatina con mousse di cioccolato.
La proverbiale cautela della Guida dell'Espresso ha fatto sì che il punteggio al “Caval ’d Brôns”, per il 1989 si arrestasse su 16/30; Veronelli, la guida Michelin e Piccinardi lo hanno ignorato.
Noi poveri “travet” della penna gastroenologica, diciamo solo: se il “Caval” fosse a Milano, in Piazza di fronte alla “Madonnina”, sarebbe descritto come uno dei migliori salotti d'Europa. Ha la scalogna di trovarsi nel cuore della città Subalpina, città solo destinata a piegare la schiena lavorando, troppo spesso dimenticata dagli uomini di cattiva volontà.
Al neonato “Caval ’d Brôns”, noi abbiamo assegnato quattro “mollaretti”, ma in realtà ne meriterebbe cinque. Speriamo che prima del 2000 le principali guide si accorgano di questa Cattedrale della cucina italiana.

Questa previsione di Giorgio Re, si avvererà; infatti “Neuv Caval ’d Brôns”, acquisirà la stella Michelin dal 1991 al 1996.
Anche nella fortunata gestione “birraiola” degli anni ’60, dal 1959 al 1965 la “stella” brillava sotto i portici di Piazza San Carlo.
Mi racconta Enzo Ferreri, noto "uomo del vino", che: “il primo Caval 'd Brôns ha chiuso i battenti nel mese di gennaio 1971, con un grande direttore, il Sig. Defranceschi, e il vice Sig. Ravera. Aveva più di 34 dipendenti tra cui il sottoscritto (Ferreri). Molti di questi colleghi hanno rilevato il Ristorante Tiffany di Piazza Solferino, oggi Ristorante Vintage”.
Verso la fine degli anni ’90, la gestione “Moreniana” finì, e Carlo Chiti, ritornò in quei di Fossano in una nuova avventura. Lo rincontrai anni dopo al Norman di Piazza Solferino.
Franco Rossino, continuò a gestire il “Caval” per alcuni anni, non senza difficoltà, fino a quando nel 2002 decise di chiudere e iniziare una nuova e fortunata avventura, a Sant’Ambrogio di Torino, nella suo attuale“Totò e Macario”.
Franco Rossino mi racconta: “un giovane e rampante Davide Scabin, chef di cucina già noto in quegli anni, nel 1992 era stato contattato da me, per continuare il “Neuv Caval ’d Brôns”, così come lo era stato Maurilio Garola (la Ciau del Tornavento) che si apprestava a lasciare la Ciau di San Secondo di Pinerolo”.
Tutte e due le trattative “non andarono a buon fine”: Davide, essendo molto giovane, non se la sentiva di intraprendere una strada così impegnativa e Maurilio non accettò e si trasferì a Treiso, per aprire la nuova “Ciau” nei locali del Tornavento.
Nel 2016, un altro simbolo torinese, Lavazza ha acquistato gli storici locali per farne quel tempio del caffè che mancava in città, più capiente e moderno della prima storica vetrina con laboratorio annesso, inaugurata dal fondatore Luigi Lavazza in Via San Tommaso 10. Qui al “Caval”, insieme allo spazio per miscele, cialde e capsule, resterebbe il ristorante, altra peculiarità del Caffè torinese, ma tutto questo è ancora “utopia”, almeno per il momento.
E il resto è storia recente, sperando che il colosso del caffè, tra le sue fortunate attività ristorative, riapra questo gioiello, e perché no, magari con uno chef come Davide Scabin ai fornelli?
antonio.dacomo 5/12/20