L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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I MAESTRI DELLA CUCINA

2021-04-07 12:10:34

MARCHESI: «CHE DEVO FARE, IL VINO MI FA SCHIFO»

Marchesi non era contrario al vino ma sosteneva la teoria che il cibo era distratto dal vino e andava gustato in purezza. Una teoria che ci ha fatto discutere per anni. Un ristoratore è, volente o nolente, un commerciante e l'entrata economica del vino e una voce importante a cui non può rinunciare, e non l'ha fatto neppure Marchesi.
Riprendo la discussione web che si è tenuta alcuni giorni fa, il 2 febbraio, in ambito agli incontri su Marchesi in via Bonvesin del Riva, tra una moltitudine di giornalisti e luminari, presente anche Matteo Lunelli, presidente della Cantine Ferrari.

Volevo proprio puntualizzare le parole dette da Lunelli, parole che da anni sostengo e che concordo in pieno, sulla “presunta” antipatia di Marchesi per il vino.
Ho lavorato per lui parecchi anni come sommelier e anche come direttore di sala e devo dire che in quegli anni che Marchesi aveva riaperto “l’Albereta” di Erbusco (1993), il vino gli piaceva, “ed eccome”.
Con Marchesi cominciai ad avere un rapporto di grande stima, quando comprese della grande mole di lavoro che gli “producevo” in incasso, infatti in quegli anni un “buon” sessanta per cento del fatturato dell’Albereta li portavo in cassa il “sottoscritto” col “beverage” (vini, distillati, liquori, acqua e sigari), di conseguenza era ben lontano dal pensare di odiare i vini.
Avevo anche ottenuto parte di questa stima acquisendo buona parte dei vini della cantina di Bonvesin de la Riva, non senza i mugugni di Vittorio Moretti, ma la cosa era stata compensata dalla grande quantità di bollicine di Bellavista che proponevo ai tavoli.
Mi aveva anche coinvolto nella sua “mania” di proporre parecchi vini col la sua etichetta, e quindi mi capitava spesso di dover andare per cantine alla ricerca di prodotti adatti per la sua selezione.
Ricordo ancora le visite a Fausto Maculan e Roberto Anselmi, suoi carissimi amici e produttori che conferivano già a Marchesi i vini con la sua etichetta al “Bonvesin de la Riva”. Per non parlare di Giorgio Grai, amico da sempre di Gualtiero, che gli forniva già i suoi vini negli anni ’60 all’Albergo del Mercato.
Un’altra volta alla ricerca di un Prosecco, nonostante che ne fossi un po’ contrario, mi portò con la sua vettura, penso fosse un Rover sportiva, viaggiando ai 230 all’ora fino a Valdobbiadene e ritorno, passando dal Friuli. Tutti “tra di noi” sapevamo che Marchesi era “un pazzo” in macchina, e quella volta, oltre patire, mi presi una bella “strizza”.
Un giorno mi portò delle fotocopie, che ancora conservo, della sua prima carta dei vini, autografata 1962, nel Albergo del Mercato di Milano. Emozionante, a quell’epoca aveva già il meglio dei vini italiani e una “miriade” di francesi, tra cui un “Lafite” del ’59 a 14.550 lire e un Romanée del ’57 a 14.000 lire. Il più caro degli “italiani” un Barolo Borgogno del ’31 a 4.500 lire.

E proprio negli ultimi mesi della mia permanenza all’Albereta, che scoprì l’affetto per questa persona, molto particolare nell’esteriorità, che conosciuto bene tirava fuori il meglio di se, spiritosaggine e giovialità.
Per almeno sei mesi nelle nostre “scappatelle” in giro per Milano, alla Rinascente, al castello di Costigliole o in altri posti per una convegno o ancora ancora nella Valpolicella, non l’ho mai visto tirarsi indietro per il bere!!!
Me ne ritornai a Torino, ma Marchesi continuò a tenersi in contatto con me. Ricordo ancora le molte telefonate che mi faceva per trovargli un nuovo sommelier che gli portasse avanti il servizio nel suo ristorante, infatti gli mandai molti nominativi, tra cui altri professionisti che mi seguirono a gestire la cantina, Nicola Zanini e Daniele Montano.
Nella mia seconda avventura nel Ristorante di Erbusco, alla fine degli anni 2000, trovai Gualtiero molto cambiato. Lui non ha mai rinnegato il vino nel suo ristorante, anzi avevamo una cantina con oltre 2000 referenze in quegli anni, ma più di una volta abbiamo discusso della sua intenzione voler fare dei percorsi di degustazione dei suoi piatti, nella sala camino, su quel famoso tavolo progettato da Riva, il tavolo M’Arte in legno Kauri, dove il cibo era padrone indiscusso e l’unica bevanda era l’acqua, per non alterarne i gusti.
Giustamente, e lo dice anche Lunelli, in una degustazione di vino è assolutamente sconsigliato mangiare qualsiasi cosa (grissini o pane) per no distogliere il gusto. Ed è la stessa cosa per il cibo.
Molto probabilmente questo discorso di Gualtiero è stato distorto e frainteso dai giornalisti, e qui nasce questa polemica.
In questi ultimi anni di permanenza da Marchesi ho anche lavorato alla compilazione all'approvigionamento per la carta dei vini che è serviva per l'apertura del nuovo ristorante di Milano, il Marchesino. Se fosse stato tanto contrario hai vini perché me l’avrebbe commissionata?
antonio.dacomo 14/2/21