L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

GIULIANO BOSIO, UN GRANDE APPASSIONATO - LA STORIA DEL BARATUCIAT, VITIGNO NATO DAL MISTERO

2021-08-15 12:17:09

STORIA RECENTE DI UN VITIGNO TUTTO DA SCOPRIRE

Ci troviamo a Rivera, frazione di Almese, ai piedi del Monte Musinè, ed è qui all'ombra  della Torre di S. Mauro che sembrerebbe sia nato, secoli indietro il Baratuciat.  La Torre, in antichità un campanile, affonda le sue radici e la sua origine nel 1029, quando il Marchese Olderico Manfredi donò un terzo della Valle di Susa all’Abbazia di S. Giusto in Susa e, in questa donazione, venne inclusa la parrocchia dedicata a San Mauro di Almese. Le costruzioni della Chiesa e del Campanile risalgono a quel periodo, mentre la costruzione del Castello avvenne circa 250 anni dopo. Il Campanile, in seguito a diverse modifiche fatte nel corso del tempo, divenne la torre che oggi conosciamo. La torre, in seguito, venne utilizzata come ricetto di derrate e mezzo agricoli del tempo, ma successivamente anche come sede di tribunale e archivio dei monaci.
Ed è proprio in questi periodi lontani, sembrerebbe che intorno al complesso esistettero vasti vigneti che producevano l'uva “dovuta” all'Abbazia di S. Giusto in Susa. Esistono antichi documenti in cui si racconta di notevoli quantità di uva e vini trasportati a Susa, in cui si parla di un bianco aromatico “Grignolerium” insieme all'Avanale, l'attuale Avanà, prodotti ambedue nei dintorni di Almese e di San Mauro.  Nel 1209 proprio Pier de’ Crescenzi, massimo esperto dell’epoca, giudica il Grignolerium uno dei migliori bianchi dell'epoca.  Chissà che non sia stato, utopia, proprio il nostro Baratuciat. 


           Abbazia di S. Giusto in Susa                             il Ricetto di San Mauro
E’ comprovata la presenza e l’abbondanza di vigneti nella bassa valle ai bordi di Torino, nei terreni morenici che partono da Rivoli alla Sacra da un versante e dal Musinè a Condove dall'altra.
Intorno al 1200  l’Abbazia di San Giusto di Susa è un importante produttore di vino: i vigneti sono localizzati soprattutto nella Castellania di Caprie e in quella di San Mauro di Almese. Nel XIII secolo l’Abbazia acquista parecchie vigne da Sant’Antonio di Ranverso e dai Certosini di Montebenedetto, ed altre sono locate a Villar Focchiardo, San Giorio e Chiomonte.
Il primo riferimento scritto al Baratuciat finora rintracciato si trova nel Bollettino Ampelografico del 1877 del conte Giuseppe di Rovasenda che raccoglie le schede ampelografiche della sua collezione di oltre 3.500 vitigni. Questo documento afferma che il Baratuciat era presente allora nella zona di Villarbasse e nei territori di Almese, Villar Dora, Rubiana, Rosta, Buttigliera e sulle colline di Rivoli , essenzialmente coltivato come uva da tavola. Di lì a pochi decenni anche la Valle di Susa fu colpita dalla fillossera, il parassita delle viti proveniente dal continente americano che distrusse tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’85% del vigneto europeo. Un disastro epocale, arginato soltanto negli anni ’30 del secolo scorso e destinato a diventare uno spartiacque nella storia della viticoltura.
Si pensa che il nome derivi dal popolare Berla du chat, espressione piemontese volta ad indicare la forma allungata degli acini, associabile agli escrementi di gatto (ciàt nel dialetto locale), ma si ricordano anche altre varianti del nome come "Bertacuciàt" o "Berlu'd ciàt". Altre fonti riportano la presenza di un bianco “grignolerium” dal sapore aromatico nei territori di Almese e di San Mauro nella prima metà del XIV secolo.
Con la denominazione Berlon ‘d gat, Dalmasso, negli “Studi Ampelografici nell’Astigiano” del 1909, descrive un vitigno a bacca bianca diffuso nell’Astigiano, probabilmente differente.


Un vitigno misterioso che, assicurano i valsusini, è sempre esistito, ma di cui nessuno conosce la storia, e che le recenti analisi con marcatori molecolari del dna hanno confermato non aver alcuna corrispondenza genetica con il dna di altri vitigni finora presenti nelle banche dati europee.
Secondo alcuni potrebbe essere arrivato in Valle con i monaci dell’Abbazia di San Giusto di Susa, che per secoli e fino all’inizio dell’Ottocento hanno vissuto nel ricetto di San Mauro,
Secondo altri invece sarebbe il risultato di un cambiamento genetico e varietale di qualche vitigno sopravvissuto alla fillossera.
E ritorniamo ai nostri tempi, nel 1991 prima di abbattere un’antica vigna a pergola di famiglia che ombreggiava la casa, la topia in piemontese,  spronato dalla moglie che “raccoglieva” sempre un sacco di foglie che disordinavano il bel giardino, Giorgio Falca un appassionato “almesino” decise di tagliarla. Gli venne però in mente di tenere da parte alcune marze che affidò ad un vivaista per l'innesto su vite americana (per evitare la ricomparsa della fillossera). Le barbatelle furono messe a dimora nel vigneto ai piedi dell'antica Torre, e successivamente vinificate (anche se in maniera casalinga e senza attrezzatura) avviando così una piccola produzione destinata al consumo durante i pasti in famiglia ed a quelli dell’allora neonata Associazione delle “Siule pien-e” di Almese. Piantata dal nonno di Giorgio agli inizi del Novecento, la vite era isolata dal vigneto adiacente alla casa poiché aveva la funzione di ombreggiare il cortile. Fu probabilmente questo suo isolamento il motivo per cui la pianta non fu attaccata dalla fillossera e sopravvisse fino ad essere sopressa.
Giorgio Falca, oggi scomparso, lasciò in eredità al suo amico Giuliano Bosio la grande passione per questo vitigno..
Nei primi anni Duemila Giorgio decide di impiantare una vigna di circa 400 barbatelle e informa dell’esistenza di questo vitigno che si credeva scomparso i ricercatori dell’allora Facoltà di Agraria e del Cnr (i cui docenti Giuseppe Zeppa e Luca Rolle sono di casa ad Almese), impegnati ad analizzare i vitigni autoctoni della Valle fin da prima della creazione della Doc Valsusa nel 1997. Per tre anni i ricercatori studiano il vitigno sia in vigna sia in cantina.


Le prime bottiglie di Baratuciat sono vinificate presso la cantina sperimentale della stessa Facoltà a Chieri (Istituto Bonafous) e sono presentate all’inizio del 2008: è proprio assaggiando quel Baratuciat che Giuliano Bosio – compaesano di Falca e attuale presidente dell’Associazione Baratuciat e vitigni minori – decide di impiantarle in due vigneti, prospicienti la sua abitazione,  i primi 3500 metri quadrati sulla collina di Almese, dietro la Chiesa Vecchia e in borgata Magnetto, successivamente occupandosi anche dei vigneti di Falca dopo la sua prematura scomparsa.
“D’altra parte, ricorda Bosio, il nonno e il padre di Falca hanno sempre detto che da quella vite  “as farìa bon vin”. Avevo assaggiato con un sorriso le bottiglie di Baratuciat artigianale di Giorgio negli anni ’90, ma quando assaggiai la prima bottiglia vinificata a Chieri fu come una folgorazione.....In quel momento decisi che sarebbe stato il vino che avrei prodotto e nel 2007 ne misi a dimora 400 piante, che ora sono diventate 4000”
Giuliano Bosio, ex sindaco di Almese con un passato lavorativo nel settore dell’industria automobilistica, non dimentica però le tradizioni e nel 2004 fonda Agriforest, una piccola azienda agricola rivolta al recupero del territorio.
Infatti nel 2004 decide rimettere in ordine tre dei 14 ettari che la sua famiglia aveva lasciati incolti fin dagli anni Sessanta, e dunque riconvertì i magnifici terreni morenici – esposti a sud, sopra una terrazza a circa 450 mslm all’imbocco della Val di Susa, ad Almese – in vigneto, frutteto e oliveto. Da quelle barbatelle, circa una decina di anni fa, vennero piantati due piccoli vigneti per un totale di circa 1/3 di ettaro (una “giornata” piemontese) da cui Giuliano vinificò il rinato autoctono Baratuciat.


Giuliano decide, nelle sue vigne poste a 400 e 600 metri di altitudine, di mettere a dimora vitigni autoctoni come Avanà e Becuet, oltre il  Baratuciat .
Oggi l’azienda di Giuliano dispone di 2, 2 ettari sparsi tra quelli storici in borgata Magnetto, e ampliati, a quelli nuovi, molto più in alto e in mezzo ai boschi, vigneti Ada e Magnet  e il vigneto di Giorgio Falca a Rivera.
Il Gesia Veja, Baratuciat in purezza, in questi anni ha avuto numerosi riconoscimenti, come la medaglia d’argento a Londra al Decanter World Wine Award sia nel 2018 che nel 2019, e le massime quattro stelle della Guida dei Vini buoni d’Italia 2019 e 2020 del Touring Club.
A questo bianco negli ultimi tempi si è aggiunto l'Autvin, sempre a base Baratuciat, ma ottenuto dai due nuovi vigneti impiantati alcuni anni fa nei suoi terreni più in alto e in mezzo ai boschi.
Gli altri vini dell’azienda sono il rosso Le Mute, un unione tra Avanà e Becuet, e La Goja, un rosato da vitigni Syrah che ben presto sarà sostituito dal Nebbiolo, da poco impiantato.
A questi si sono recentemente aggiunti il Prussian, rosso 100% Becuét, e lo spumante Cin Cin Nato, il primo "metodo classico", esistente al mondo da uve Baratuciat. E non è tutto: nelle cantine di Bosio si stanno affinando anche le prime bottiglie di Passito, sempre ricavato dalle "mitiche uve Baratuciat".
Li ho assaggiati tutti in un caldissimo tardo pomeriggio di agosto sul suo terrazzo:
Il Gesia Veja 2020, Baratuciat in purezza (2500 bottiglie) vinificato esclusivamente in acciaio, è un vino che non manca di stupire chi lo assaggia: il profumo è un’esplosione di mela verde, di fiori bianchi come sambuco, eucalipto, note balsamiche a volontà. Il sapore è allo stesso tempo aromatico, sapido e acidulo, con un sottofondo aromatico che ricorda le note balsamiche e un finale leggermente mandorlato. È un vino versatile che da giovane si fa bere da solo come aperitivo, con antipasti leggeri o con paste a base di verdure tipo un raviolo di borraggine al burro d’alpeggio.
l'Autvin 2020, sempre Baratuciat, ma ottenuto da due nuovi vigneti impiantati alcuni anni fa nei suoi terreni più alti (560 m.s.l.m.) e in mezzo ai boschi, (900 bottiglie) vinificato esclusivamente in acciaio. Un bianco che mi ha entusiasmato, completamente diverso dal fratello Gesia Veja., molto più sapido e balsamico. Si riscontrano già sentori di frutta matura, ananas e pesca in prevalenza, mela e predominanti sentori di ginestra. I “Tioli” sostanze responsabili del profumi agrumati e citrini sono ben presenti. Eleganza e corpo sono le sue caratteristiche predominanti in bocca. Leggermente balsamico e ammandorlato ricopre lungamente la persistenza al palato. Lo abbinerei volentieri con preparazioni di pesce come un bel spaghetto ai frutti di mare. 


Il Gesia Veja 2018. Che il Baratuciat invecchi bene lo avevo già appurato in altre degustazioni, ma in questo vino vinificato e maturato solo in acciaio non lo pensavo. I profumi più evoluti si instradano nella frutta matura e nei sentori minerali, alla mente mi torna quanto detto dall’amico Enrico Druetto “Vino destinato al lungo invecchiamento capace di evolvere in note minerali, idrocarburiche e di canfora. Corredo aromatico che ricorda il Riesling renano. E si caro Giuliano dopo che mi hai detto che metterai da parte una bella riserva di vino ad invecchiare, ci rivedremo sicuramente fra qualche anno per gioire assieme assaggiando questo grande vino.
Infatti può accompagnare piatti di pesce importante, carni bianche e, data la sua morbidezza e intensità in bocca, è ideale per bilanciare i sapori estremi delle spezie della cucina etnica. Anche sui formaggi non scherziamo.
Il Gesia Veja 2017. Qui siamo arrivati all’entusiasmo completo, i Norisoprenoidi ormai si cominciano a percepire, lievi sentori   floreali, di frutta tropicale e di mela cotta si mischiano con richiami di thè e tabacco, e la mineralità viene fuori con ricordi leggeri di idrocarburo. Nessuna cedevolezza sia in bocca che al naso. Ho provato ad abbinarlo ad un pecorino stagionato che il mio ospite mi aveva preparato, decisamente un abbinamento perfetto. 
Cin Cin Nato, il primo "metodo classico"  esistente al mondo da uve Baratuciat:  Blanc de Blancs, Pas dosé, Brut, millesimato, 36 mesi di affinamento, 12,5°. Una bollicina di grande pienezza e piacevolezza  prodotto in poco più di 1000 bottiglie. Effettivamente è un prodotto unico al mondo  e molto meglio di tanti esperimenti che ho assaggiato in valle. 


"A settembre 2019, verificata la quantità necessaria per la vinificazione del Baratuciat "fermo", ho destinato 5 quintali di eccedenza di grappoli spargoli alla trasformazione in passito, messo ad appassire su una ventina di graticci realizzati per l'occasione. Ho costantemente girato i grappoli e dopo 6/8 mesi ecco il risultato: 
Passito di Baratuciat, 800 mezze bottiglie. Giuliano mi ha confessato che ha sbagliato l’appassimento, lo ha infatti tenuto sulle stuoie molto di più del dovuto. Botritis predominante sulle uve e produzione ridicola in rapporto alle uve che aveva messo all’inizio. Risultato commovente ed emozionante, un vino dolcissimo e nello stesso tempo di gran beva, per niente stucchevole. Che divertimento abbinarlo a formaggi erborinati, ma anche sul cioccolato fondente.


Rosso Le Mute, da uve autoctone Avanà al 40% e Bequét per il restante 60%, in cui la freschezza e l’acidità dell’Avanà si fondono con il colore, la struttura e la moderata acidità del Becuet. 
El Prussian, rosso 100% Becuét, che profuma di ribes rosso, di lampone e di viola, dal finale balsamico con note di amarena cotta e pepe nero.
Anzichè "Ël Prussian", Bosio aveva pensato di chiamare il nuovo vino Persan, perchè il Bécuet, originario della Savoia e dell'Isère, è un vino transfrontaliero che in Francia assume questo nome. "Poi, nella mia vecchia collezione di cartoline d'epoca, ho trovato una foto del 1908 di mio nonno Andrea Bosio, che tornava dalle vigne 'il giorno di un dí di festa'. Il suo soprannome era "Ël Prussian". Purtroppo non c'è più nessuno in famiglia che possa spiegarmi la ragione di questo nome, ma ho deciso che fosse quello giusto per battezzare il nuovo vino e che l'etichetta dovesse riprodurre quell'immagine".
Quest'anno il Bosio ha voluto sperimentare, e ha messo a dimora 700 barbatelle di Nebbiolo (Chatus è il Nebbiolo di Dronero che in Val Susa si chiama anche Brunetta e nel Pinerolese è conosciuto come Neiret)., da cui sogna di ricavare un ottimo rosato. Vedremo come andrà a finire: ha voluto fare una scommessa su di un vitigno presente sulle colline di Rivoli, poco distanti da qui, sin dal 1266, molto prima che nelle Langhe".


Di grandissimo pregio l’olio che produce da poche decine di viti (Leccino toscano e Peranzana pugliese): acidità quasi nulla con profumi e gusti delicatissimi che fanno invidia ai celebratissimi olii liguri e gardesani. Pare ovvio che questo genere di produzioni, più che di nicchia, hanno prezzi che non sono certo teneri: i numeri sono soltanto per appassionati e conoscitori in grado di apprezzarli al meglio
In Valle di Susa i produttori sono una dozzina, per tre ettari di superficie. Cascina Ranverso a Buttigliera Alta, ha messo a dimora un vigneto di circa un ettaro proprio nei pressi dell'Abbazia di sant'Antonio di Ranverso. Il baratuciàt, vinificato in purezza, è denominato “6 Settembre” in onore della prima vendemmia, avvenuta nel 2018
All’Azienda Agricola 'l Garbin della Maddalena di Chiomonte ne sono state impiantate tre vigne: vinificato in purezza nella cantina di proprietà, il vino porta il nome Madlena. Nella zona di Almese ci sono inoltre le vigne delle aziende agricole La Beccaccia di Villar Dora e CJB di Sant'Ambrogio, mentre sulla collina morenica di Rivoli/Avigliana la coltivazione è ripresa grazie ad alcune barbatelle fornite da Falca all'azienda Prever, che ha messo in commercio il Baratuciàt biologico "Le Spose".
Ma il successo del Baratuciàt non si è fermato alla Valle di Susa: in Monferrato gli ettari destinati al Baratuciàt sono già sei, ed altre aziende agricole stanno iniziando la sperimentazione di questo vigneto. Qui la coltivazione è stata introdotta da Enrico Druetto, appassionato viticoltore che nel 2008 concluse un accordo con Falca per sperimentare vari portainnesti, con l'intesa che metà delle barbatelle prodotte venissero restituite per nuove vigne ad Almese. Buonissimo anche quello di Fabrizio Iuli di Montaldo Monferrato.


La diversità climatica ed il terreno calcareo del Monferrato fanno scaturire un vino diverso da quello valsusino, meno fresco ma più corposo e strutturato, che raggiunge i 14 gradi contro i 13-13,5 della Valle di Susa.
La concorrenza nei prossimi anni potrebbe farsi sentire, ed uno degli strumenti per promuoverla sarebbe l’aumento della qualità dei vini prodotti ed un’eventuale e ipotetica nuova DOC Torino. 
Il riconoscimento D.O.C. del Baratuciàt valsusino, del 2019. Purtroppo però il disciplinare prevede ancora che le uve debbano essere vinificate nella zona di produzione, vincolo che potrebbe impedire ad alcuni produttori di utilizzare questo importante marchio e non preserva le produzione della bassa valle.
Nel 2019 a Buttigliera Alta, presso i vigneti di Cascina Ranverso, è nata l’Associazione tutela Baratuciat e vitigni minori, un’organizzazione senza scopo di lucro che ha la finalità di “promuovere, sostenere e recuperare le produzioni locali, valorizzando il territorio”.
L’associazione, nata esattamente il 28 febbraio 2019, si propone di valorizzare “le caratteristiche eno-gastronomiche del territorio, di unire i produttori e di contribuire allo sviluppo delle produzioni locali” mettendo in risalto il patrimonio dei vitigni minori nei territori circostanti l’antica Abbazia di San Michele, che dal Monte Pirchiriano, su cui sorge, si estendevano sin oltre Giaveno, Rivoli, Alpignano e Condove.
I viticoltori che la costituiscono (vignolant in patois), hanno vigneti che giacciono perlopiù sulle morene residuali dell’antico ghiacciaio della Valsusa, in particolare nei comuni di Almese, Avigliana, Buttigliera Alta, Caprie, Condove, Giaveno, Reano, Rivoli, Rubiana, Sant'Ambrogio, Trana, Villarbasse e Villardora, con una superficie vitata di quasi 8 ettari.                                                            

                      la vecchia vigna del Ricetto di San Mauro di Almese

 “Vogliamo condividere il nostro patrimonio e far conoscere il nostro territorio collaborando con tutti – ha affermato nella presentazione il presidente, l’almesino Giuliano Bosio. – Ci proponiamo come ambasciatori delle nostre eccellenze eno-gastronomiche e come elemento attivo nello sviluppo delle produzioni locali”.

Accanto a Bosio fungerà da vicepresidente Valentina Peracino; l’associazione riserva particolare attenzione alla valorizzazione del Baratuciat, uno dei prodotti ”emergenti” nel nostro territorio, la cui superficie vitata oggi raggiunge quasi 3 ettari. La produzione è oggi intorno alle 5000 bottiglie, ma presto, grazie a nuovi impianti, salirà a 12.000.

Tra i vitigni autoctoni il Baratuciat rappresenta una riscoperta molto interessante ed originale. Pur essendo un vitigno radicato storicamente sul territorio l’analisi con marcatori molecolari del DNA non ha evidenziato alcuna corrispondenza genetica con altri vitigni dell’Italia nord occidentale. Il Baratuciat, vinificato in purezza, dà vita ad un vino bianco dai profumi erbacei, sambuco, eucalipto e mela verde, dal sapore secco, ben strutturato e, inoltre, esso risulta incredibilmente longevo, grazie anche suo estratto secco.

Bosio ha poi ricordato Giorgio Falca, alla cui passione si deve il recupero di questo vitigno. Appassionato amante della natura, morto inaspettatamente nell’estate del 2012, sin dagli anni ‘60 si prese cura delle poche viti centenarie di famiglia, sopravvissute straordinariamente alla fillossera, e negli anni ’90 rinnovò i suoi tre piccoli vigneti in Almese reimpiantando soprattutto il suo amato Baratuciat. L’Università di Agraria di Grugliasco e il CNR per oltre tre anni effettuarono studi ampelografici, agronomici e vinificazioni sperimentali. Nel 2008 il Baratuciat venne iscritto nel Registro Nazionale delle Varietà di Viti da vino, e contemporaneamente fece la sua comparsa sulle nostre tavole la prima bottiglia di Baratuciat come lo conosciamo oggi.

Le prime iniziative che l’associazione intende intraprendere sono di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi delle produzioni, tramite degustazioni in vigna, ricerche storiche e convegni. Essa, inoltre, intende coadiuvare e tutelare i soci produttori in iniziative di formazione e assistenza tecnica nelle varie fasi interessate al settore vitivinicolo, ad esempio con corsi di vinificazione e anche nell’utilizzo delle Denominazioni di Origine Controllata (DOC).

Io stesso il 22 luglio dell’anno scorso ho organizzato una degustazione di questo vino, aiutato da Giuliano Bosio, entusiasta di vini che avevo assaggiato in precedenza. La serata organizzata a Villarbasse presso la trattoria del Borgo hanno partecipato più di 50 persone e ha avuto un ottimo successo. Otto erano i baratuciat in degustazione  e spaziavano dall’alta valle di Susa al Monferrato. Presenti  il Sindaco di Villarbasse, Giuliano Bosio, Manuela Massola, Massimo Corrado di Gowine, parecchi importanti personaggi del vino e quasi tutti i produttori presenti alla serata.

Lo scopo di valorizzare il mosaico delle produzioni enologiche, ricercandone i caratteri unificanti nella storia, e lo studio del proprio territorio e del suo terroir sono alla base del logo dell’associazione, che non per caso raffigura un calice che racchiude l’apice del monte Pirchiriano e sua maestà la Sacra. Ancora più suggestiva se vista con le luci del tramonto.


antonio.dacomo 15/08/21







 


 


 


 


 


 

10  
19