L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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CHI HA LASCIATO IL SEGNO NELLA STORIA DEL VINO?

2021-04-22 18:48:00

GIACOMO BOLOGNA L'UOMO CHE HA REINVENTATO LA BARBERA

La risata di Giacomo Bologna ancora adesso mi sembra di sentirla, il vignaiolo di genio che trasformò la Barbera, facendola diventare una "star". 
Alla fine degli anni ’70, accompagnato da un caro amico, nei nostri “enogiri ” di quegli anni. per conoscere il “fiorfiore dei Produttori”, eravamo venuti a Rocchetta Tanaro  per far visita a Giacomo, ed ero, già allora, stato colpito dalla quella persona, un vulcano di simpatia e giovialità. Naturalmente ci aveva fatto assaggiare la sua Monella e altri vini,  e in anteprima anche quella Barbera affinata, spillata dalle botti, che qualche anno dopo sarebbe diventata la “status symbol” delle Barbera. 
Da quella visita, tutti gli anni che tornavamo al Vinitaly di Verona o al Bibe di Genova, era obbligatorio fare tappa allo stand di Giacomo, era una gioia rivederlo, ti metteva il buonumore solo sentirlo parlare. 

In seguito, diventai cliente, mi portava il vino personalmente col il “Tigrotto telonato” (autocarro di quegli anni), accompagnato sempre da Anna, la moglie. 
Mi ricordo di una volta nella mia Enoteca, mi venne a sostituire, molto celermente, un “quarto di brenta soffiato a mano” di Monella, che aveva il vetro leggermente crepato, magnum da circa 12,5 litri, che usavo abitualmente per le lotterie di fine anno, non era molto soddisfatto! 
Un’altra volta siamo stati invitati a Rocchetta Tanaro ad una Festa organizzata dai Bologna, dove mi resi conto della “forza di quella persona”. Giacomo aveva questa capacità unica di entrare in sintonia con le persone facendole sentire tutte importanti e speciali: era una dote naturale che chiunque lo abbia conosciuto gli riconosce subito. È per questo che anche persone che poi in effetti lo vissero poco, ne parlano come se fosse stato il loro secondo padre. 
C’era una volta una canzone di Gaber che recitava “Barbera e Champagne”, un vino popolare e un vino di gran classe, due ceti sociali ben diversi. La Barbera del passato era il vino rosso quotidiano, casalingo, popolare, dimesso, sempre paragonato a vini più nobili. Un po’ la Cenerentola del mondo del vino, che, come nella fiaba, finalmente si trova sul piedistallo: ha trovato posto fra i grandi vini italiani e tra gli ambasciatori dell’eccellenza italiana.

Giacomo Bologna è stato tra i primi, se non il primo, produttore a ritenere che la Barbera fosse in grado di produrre vini di grande classe lavorando uve di bassa resa in barrique per l’invecchiamento. Con il suo Bricco dell’uccellone, Bologna ha re-inventato l’immagine della Barbera che è passato da una varietà vista come vino semplice e rustico con una forte acidità, ad una in grado di produrre vino di notevole concentrazione ed eleganza.
Già da alcuni anni aveva ripreso vecchi esperimenti fatti un secolo indietro da Carlo Gancia, che aveva già provato a suo tempo l’affinamento della Barbera in diversi legni.
Nei primi anni '80, infatti, ispirato da una visita in California e stimolato da Luigi Veronelli, Bologna decise di provare l'invecchiamento di una versione ferma di Barbera in piccole botti di rovere francese. Il risultato, fu un successo immediato, il legno gli ha dato definizione, un soffio di spezie e vaniglia, un po' di tannino di cui la barbera era carente, e anche qualche tratto di vera eleganza. Per il Barbera si trattava di una trasformazione sorprendente.
Dall’inizio del 1982 Giacomo iniziò a sperimentare la sua idea innovativa di accoppiamento Barbera – barrique: l’annata era eccezionale; quando il vino, il Bricco dell’Uccellone, uscì dalle barrique, arrivò in Italia l’enologo californiano André Tchelistcheff che lo approvò, decretandone il successo.
Così nacque, nel 1982, il mitico capostipite di tutte le “Barberone” moderne, a cui poi si aggiunsero altre etichette prestigiose, ma che ancora oggi rimane il simbolo dell’azienda di Rocchetta Tanaro, oltre che “la” Barbera d’Asti, conosciuta in tutto il mondo.

Giacomo Bologna sposa nel 1965 Anna Martinengo. Anna  inizia la nuova vita di moglie, quindi madre, e la straordinaria avventura al fianco di Giacomo Bologna: un grandioso personaggio che, con intelligenza, semplicità e con grande passione, vive e opera per gli amici, la buona tavola, le tradizioni, la terra, ed ancor più per i vini; la sua trattoria Braida, frequentata anche da personaggi famosi come padre Eligio, Gianni Rivera, Bruno Lauzi, Luigi Veronelli, diventa un luogo mitico dove si propone il meglio della tradizione agroalimentare piemontese, come il Cardo Gobbo di Nizza, il Peperone Quadrato di Motta di Costigliole, la Nocciola Tonda gentile delle Langhe, la Robiola di Roccaverano, la Bagna Cauda, i tartufi, abbinati ai suoi eccelsi vini. E lo stesso avviene nelle fiere, come il Bibe di Genova e il Vinitaly di Verona che da pioniere piemontese comincia a frequentare e dove il suo stand diventa un luogo di culto per visitatori, operatori, giornalisti, uomini di cultura.
E tutto parte, appunto, da quei suoi vigneti in Rocchetta Tanaro, nel Monferrato Astigiano, che Giacomo Bologna ha ereditato dal padre Giuseppe, detto Braida (e Braida resta il marchio aziendale e dei vini); lavorando all’insegna delle buone tradizioni e con interesse verso le innovazioni, cerca sempre più di esaltare la qualità dei vini. Sono gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso: tempi duri e difficili per il vino; anche per questo Giacomo Bologna, con tutta la sua fervida e vulcanica attività, ne diventa simbolicamente un pioniere, un alfiere del riscatto, specie per il Barbera.

E proprio le sue Barbere, diventate mitiche come “La Monella”, “Bricco dell’Uccellone”, “Ai Suma”, segnano il lento, ma ineluttabile risorgimento del Barbera, o meglio delle Barbere che in questi ultimi decenni hanno avuto i giusti riconoscimenti e sono entrati nell’olimpo dei grandi vini.
Raffaella racconta la storia della famiglia e dei vini che cura e esporta con il fratello Beppe. Il più famoso è il Bricco dell’Uccellone, Barbera d’Asti in purezza, arrivato come un tornado nelle enoteche 30 anni fa. Fino agli anni Sessanta la Barbera si vendeva soprattutto sfusa. Bologna, nel 1961, litigò con un ristoratore milanese che non voleva pagare qualche lira in più al litro, negando la bontà dell’annata. Si impuntò e imbottigliò quel vino. Nell’etichetta scritta a mano vergò un messaggio al ristoratore e al mondo: “Il vino trasforma la sua anima in chi lo onora bevendo”.
“Così è la nata la Monella – racconta Raffaella – una Barbera ribelle, vivace, golosa. Mio padre amava il jazz e pensava che ci fosse musica nel vino. Stappava e accostava l’orecchio al bicchiere. Pensavo, è pazzo. Aveva ragione, ogni bottiglia contiene suoni diversi”.
Era imprevedibile e incontenibile, Giacomo. Quando l’Italia del vino fu messa in ginocchio dallo scandalo del metanolo, comprò una pagina sulla Stampa (lo ha ricordato Paolo Massobrio, con Marco Gatti l’ideatore di Golosaria), ma non per farsi pubblicità. Fece solo scrivere, come uno slogan su un muro: “W la Barbera”.

“Papà era ironico e non si inchinava ai potenti”, ricorda Raffaella. E rivela il piccolo segreto di uno dei vini imperdibili della storia alcolica d’Italia. Il Bricco dell’Uccellone finì su una tavola del Vaticano, portato da un cardinale piemontese. Era il 1985, il cardinale chiama Giacomo al telefono: “Il Bricco è eccellente, ma l’etichetta mi imbarazza. Non puoi cambiare il nome?”. “Mi farò presto perdonare”, rispose Giacomo.
“L’etichetta – spiega Raffaella –  non contiene allusioni, l’Uccellone era il soprannome di una donna che viveva nella collina delle vigne. Aveva un naso che sembrava il becco di un uccello, vestiva sempre di nero. La trovata per rispondere al cardinale fu la nascita di un altro vino, da un altro vigneto: lo chiamò il Bricco della Bigotta. E lo spedì al Vaticano”.
Anche Braida è un soprannome. Chiamavano così Giuseppe, il nonno di Raffaella e Beppe, dicevano somigliasse a un asso del pallone elastico, grande sport minore narrato nelle poesie di Giacomo Leopardi e Gioacchino Belli. Rocchetta Tanaro era (ed è) una strofa del medico-cantautore Paolo Frola, presenza fissa a Braida: “Il mio paese non è una sorpresa, son dieci vigne, sei case e una chiesa”. Quando Giacomo ereditò la vigna, confermò che “i piemontesi sono pazzi, brasiliani con la nebbia dentro”, secondo la definizione del suo amico Bruno Lauzi, che firmò poi l’ode all’ultimo nato di casa Braida, il Montebruna (“In cima al monte il vecchio contadino, dà un calcio alla conchiglia che ha trovato, ed è eccitato come un ragazzino: domani questo mare sarà vino”).

Era un gigante generoso, capace di maratone festose che duravano giorni e giorni, con in tasca un tartufo e il cavatappi sempre pronto (“Giacomo Bologna, tappi non parole”, quasi un epitaffio vergato dal critico Cesare Pillon). Fu il primo a usare le barriques per la Barbera e la trasformò in un rosso che ha conquistato il mondo.
“Giacomo? Unico, una divinità eccezionale – lo raccontò così Luigi Veronelli nel film “Il Re del mosto” – fu il primo in Italia a convincere gli enologi che produrre molto era un errore indecente, a svantaggio dei contadini e a vantaggio degli industriali”.
Cosa resta di quest’uomo da leggenda?
“Eredità difficile dice Raffaella – ma con mio fratello abbiamo trovato il nostro stile, i meravigliosi anni 80 sono svaniti, il clima è cambiato, dobbiamo sostenere la terra senza la chimica. Siamo conservatori dinamici
E ride forte, come Giacomo.
antonio.dacomo 22/4/21