L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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CHI HA LASCIATO IL SEGNO NELLA STORIA DEL VINO?

2021-04-18 10:25:14

MARIUCCIA BORIO - CASCINA CASTLET DI COSTIGLIOLE D'ASTI

Dopo parecchi anni, spronato da un mio allievo e amico, sono ritornato su queste bellissime colline sopra a Costigliole d'Asti, a fare visita a una “vecchia” amica, Mariuccia Borio, una signora d’altri tempi, splendida persona, gioviale e ospitale.
Cascina Castlet si trova su queste colline dai pendii dolci, a circa trecento metri sul livello del mare, i vigneti sono il frutto di una scommessa che dura da anni e che punta sul territorio e sui vitigni del luogo. Pensate che lo chardonnay che si trova davanti la cascina, è coltivato fin dalla fine settecento, quando il marchese Filippo Asinari di San Marzano lo piantò, qui, per la prima volta.

Da come me la ricordo, Mariuccia è sempre uguale, non dimostra assolutamente la sua età, magra e scattante come una molla, in tanti anni è ancora cresciuta la sua passione per quello che fa, vini sempre spettacolari figli di questo meraviglioso territorio che è il Monferrato Astesano, con grande rispetto per natura, un insegnamento che molti produttori dovrebbero seguire.

Entrambi siamo stagionati, ma i ricordi ci fanno sempre piacere. Al tavolo della vecchia cucina della cascina, assaggiando i suoi vini, ci tornano alla mente i tempi lontani, si torna indietro ai primi anni ’80, quando da giovane allievo sommelier, frequentavo il primo livello in quella immensa sala della Camera di Commercio di Torino insieme a tantissime persone, e sul palco insegnanti “della stazza” di Piero Sattanino, di Bruno Casetta, di Émile Peynot, di Carlo Rabezzana e lei, Mariuccia Borio.

Dopo quei giorni, dove ho cominciato la mia vita professionale, era nata un’amicizia sfociata nelle parecchie bevute nella sua “vissuta piola” di via Buenos Aires, ancora oggi attualissima, e nelle visite alla sua Cascina Castlet di Costigliole d’Asti, ad assaggiare le sue Barbere. Compagni di mille degustazioni, gli indimenticabili Franco Albano e Piero Prete.
Mi ricordo già allora di un particolare, visitando le sue vigne, Mariuccia decantava già le sue pratiche biologiche, non dava diserbanti ma lasciava già crescere l’erba nei vigneti, vedeva già lungo in quegli anni in cui il biologico non ne parlava ancora nessuno.
E proprio in quegli anni ci fece assaggiare le prime bottiglie di Passum, ovvero appassimento, una pratica che richiamava antiche tradizioni e che, almeno per quanto riguarda la barbera, è andata un po’ dimenticata. Quando si parla di Barbera, si pensa a un vino con spiccata acidità, frutto deciso e “croccante”, beva trascinante. Poi ci sono le Barbere che hanno fatto legno, concepite per avere più struttura e complessità, meno aggressive ma anche un po’ meno “digeribili”. Pensate sono 45 che produce questa Barbera "stratosferica"
La storia di imprenditrice vitivinicola di Mariuccia Borio inizia nel 1970, quando alla morte del padre eredita parte di Cascina Castlèt, circa 5 ettari (20 totali che il nonno aveva diviso tra i 4 figli maschi). Le donne erano escluse dall’eredità della terra, la terra la portavano solo in dote.
Per Mariuccia, figlia unica, non c’era altra soluzione. Da allora gli ettari sono cresciuti. Oggi sono 31 ettari di vigna a Costigliole d’Asti, comune tra il Monferrato e la Langa, tra i filari della Barbera d’Asti. Trenta ettari di vigna che racchiudono un sogno diventato progetto, un progetto che nasce da due idee semplici: rispettare la natura ed essere al passo con la tecnologia. Mariuccia ha scommesso sulla terra, principalmente sui vitigni locali come la Barbera, il Moscato, l’Uvalino, ma anche Chardonnay e Cabernet, vitigni che fin dall’Ottocento sono presenti a Costigliole.

Nel 1992 Mariuccia piantò il suo primo filare di Uvalino, oggi dispone di un ettaro e mezzo di questa particolare varietà. Dalla vendemmia 1995 si è avvalsa della collaborazione dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, con cui ha portato avanti
un progetto presentato nel giugno 2003, in occasione del VII International Symposium of Oenology di Arcachon, organizzato dall’Università di Bordeaux, dove vennero presentate le più importanti ricerche europee in campo vitivinicolo. L’Uvalino era un vitigno ormai dimenticato. Quasi nessuno più ricorda di quando per i monferrini una bottiglia di Uvalino era un orgoglio, un vino di lusso da regalare per fare bella figura, con il podestà, il prete, il farmacista. Le famiglie più abbienti lo bevevano passito, come segno di distinzione, come uno status symbol. Un vino quasi scomparso, che fino alla metà del Novecento era prodotto da tutte le cantine della zona di Costigliole d’Asti: non esisteva cantina, per quanto piccola, che non producesse Uvalino. Cascina Castlèt ha sempre avuto nella memoria, e nel cuore, questo vitigno. Ventinove anni fa ho deciso di finanziare la ricerca universitaria per custodire e tramandarne la coltivazione. Una ricerca che è stata sì un importante investimento economico, ma soprattutto di credibilità.
antonio.dacomo 22/11/20