L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

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A NOI CHE PIACCIONO I VINI BUONI

2021-05-28 16:55:39

ENRICO DRUETTO - I VIGNETI DELLA MEMORIA

Ho conosciuto Enrico Druetto, un paio d’anni fa. Volevamo organizzare una degustazione con il "Baratuciat" protagonista della serata, questo vitigno della bassa Val di Susa, riscoperto da Giorgio Falca e portato alla ribalta da Giuliano Bosio ad Almese.

Eravamo alla ricerca di campioni all’altezza dell'evento e mi venne l’idea di chiedere consiglio ad un collega ristoratore, preparato sui vini della Valle, Andrea Chianale della Baritlera di Chianocco, un’ottima sosta gastronomica, che mi suggerì il nome di Druetto, un produttore di Baratuciat fuori dalla zona, ma degno della competizione. 

Mi affrettai a telefonargli e gentilissimo, Enrico venne di persona a Torino a portarmi i campioni, che assaggiai con curiosità e mi resi conto che ero di fronte ad un bianco “fuoriclasse”. Come era un “eccezione” lui, un personaggio di grande cultura e di sapere tecnico, che “sprizzava” passione da tutte le parti.

Nella vita, Enrico Druetto, ha preso inizialmente un’altra strada, infatti è Dottore-Farmacista e opera a Murisengo, un paese vicino ad Alfiano, ma da alcuni anni è tornato alle origini intraprendendo questa sua passione, nel poco tempo libero che gli rimane.

La Casa dei nonni a Cardona, una frazione di Alfiano Natta, alla loro dipartita cadde in disuso e i vigneti annessi venduti. Enrico riuscirà a recuperare solamente due ettari di vigna che erano gestiti in affitto.

Ma come è finito un farmacista a fare vino? Questi sono i luoghi della mia infanzia, ricordi belli, ed a 21 anni ho deciso di farmene carico, ci dice.

La conoscenza e i consigli di Roberto Voerzio a La Morra e di Walter Massa hanno un  risvolto nella sua passione, presto capisce la connessione tra potatura, defogliazione e prodotto finito e, nel 2007, inizia ufficialmente a produrre vino. I vecchi della zona lo prendono in simpatia e gli cedono in affitto o in vendita piccole partite di vigna. A ritroso il passato diventa realtà: sono parte dei vigneti perduti del nonno che ritornano suoi.


Insieme a Piero d’Alessandro, decidiamo di fargli visita in una domenica estiva. Lo incontriamo davanti al cancello del bel casale dove un tempo vivevano i suoi nonni, una spettacolare dimora con ampio cortile: siamo ad Alfiano Natta, in quella lingua di terra che vicino a Moncalvo spinge il Monferrato Casalese dentro il basso Monferrato d’Asti, terra di grandi Barbera, ne è la prova il Castello di Razzano, un famoso sito del vino.

Arrivato di corsa ci stringe la mano sorridente, scusandosi per leggero ritardo, ci troviamo di fronte a una persona piacevole ed estremamente diretta, non ci vuole molto per capire che Enrico è un  bel  personaggio.

Ci porta a visitare il grande salone della casa che vuole adibire ad una sala di degustazione, un gran bel progetto il sito è infatti magnifico. Scendiamo nella vecchia cantina, scavata nel tufo, e qui tra tonneau, barrique e vasche di inox, ci rendiamo conto che nulla è improvvisato, siamo di fronte ad una vignaiolo molto preparato. La sua bravura è innanzitutto lavorare in prima persona il campo, conoscerlo, capirlo, studiarlo.

Ci racconta: ho formato un gruppo di vigne che riflettono i vignaioli che mi hanno preceduto: oltre a viti di barbera di oltre 65 anni vi ho trovato altri 14 vitigni dimenticati ed abbandonati presenti in zona nel passato.

Riassaggiamo il “PREJA” il Baratuciat preso dalla botte, si conferma il grande vino che ricordavamo: dal tonneau il vino si presenta sempre con una notevole acidità, dal grado alcolico nella norma ma con struttura e sapidità importanti. Un vino destinato al lungo invecchiamento capace di evolvere in note minerali, idrocarburiche e di canfora. Con qualche anno in più, il vino è complesso e originale. Un vino tanto perfetto nella tecnica quanto folle nella sua concezione. “Preja”, in piemontese, significa pietra. Proprio su una pietra affiorante è stata ritrovata l’ultima vite di Baratuciat da cui ho prelevato le gemme per realizzare le attuali vigne. Un Baratuciat che si dimostra subito estremamente complesso e sfaccettato facendo l’occhiolino ai bianchi dello Jura, che rende giustizia alla categoria dei vini bianchi piemontesi. Al naso richiama subito sentori di canfora, idrocarburo, frutta matura esotica e ricordi di frutta secca, ananas e frutta candita la fan da padroni, fino ad arrivare a sentori fragranti di panettone. In bocca è materico, minerale ma estremamente agile al tempo stesso dando vita ad un vino dalla beva compulsiva ma non spensierata. Enrico ci spiega che il Baratuciat è un vitigno che contiene molti “Tioli”, sostanze che sono responsabili degli aromi agrumati e citrini, il contenuto è quasi paragonabile a quello del Sauvignon. Inoltre, contiene i “Norisoprenoidi”, sostanze aromatiche che legate ad altre molecole (hanno bisogno di tempo per rivelarsi al naso, un paio d’anni) sono responsabili alle note di Idrocarburo come il Riesling Renano. Derivano dalla degradazione ossidativa dei carotenoidi, che appartengono alla famiglia dei terpeni.


Ci racconta ancora che questo vitigno, in questa zona, ha bisogno di cure particolari  per arrivare a questi risultati, come la gestione della cortina fogliare, cioè il diradamento delle foglie che coprono il grappolo che in certe annate ha bisogno di più esposizione al sole.

Ricordiamo ancora che questa coltivazione di Baratuciat è stata introdotta in Monferrato dal Druetto, appassionato viticoltore, che nel 2008 concluse un accordo con Falca per sperimentare vari portainnesti, con l'intesa che metà delle barbatelle prodotte venissero restituite per nuove vigne ad Almese.

L’attività di vignaiolo è per lui una e vera e propria missione, quindi portata avanti con perseveranza, ma anche con tanta conoscenza ed esperienza. Le uve locali, ne ha selezionate 14 in tutto, sono da sempre complementari alla Barbera e la arricchiscono, anche se in realtà Enrico le vinifica anche da sole, in purezza. Tutto il duro lavoro in vigna e in cantina viene svolto tassativamente a mano, nel più rigoroso rispetto della natura. Enrico quindi non usa insetticidi, pesticidi o fertilizzanti. Il suo vino è davvero naturale, e come suggerisce la tradizione, viene affinato per almeno 12 mesi in botti di rovere, per acquisire quell’equilibrio e quell’armonia che poi si riscontra nel calice e che emoziona così intensamente. La produzione è limitata a poche migliaia di preziose bottiglie, naturalmente a seconda dell’annata, più o meno favorevole nei suoi risvolti climatici.

Da vigne abbandonate, avvolte dai rovi, sono state prelevate le gemme di Slarina, per realizzare le attuali vigne. Questa era uno dei tanti “vitigni miglioratori” che i vecchi viticoltori piantavano tra i filari di Barbera per ottenere un vino più complesso. Sembrerebbe originaria dell’Alessandrino o comunque dell’Alto Monferrato. Un vitigno che matura contemporaneamente al Barbera e che, come il Baratuciat, ha una straordinaria resistenza alle malattie fungine e alla siccità. Produce grappoli spargoli con acini piccolissimi che assomigliano a mirtilli. Vitigni resistenti a malattie fungine e siccità, a maturazione tardiva che sono stati abbandonati per le rese bassissime in epoche di povertà.

Basti pensare che Enrico da 5000 viti di Slarina produce 1000 litri di vino , tre etti a pianta! Capolavori salvati dall’oblio che fanno capire la biodiversità ampelografica italiana, unica al mondo.

La slarina soprannominata, da Enrico, ROVEJ (dai rovi che avvolgevano le ultime piante in vigne abbandonate) è un vino accattivante, dal colore imperturbabile, di un rosso rubino intenso. Le caratteristiche organolettiche del vino prodotto con quest’uva promettono molto bene: al naso è profumato e complesso, è un susseguirsi di note fruttate di amarena, melograno, ribes rosso maturo sostenute da sensazioni di erbe officinali (timo serpillo, menta piperita, liquirizia, genziana) con note “aromatico amare” che mi ricordano il rabarbaro, la china, la genziana, il tamarindo dando l’idea di trovarsi quasi di fronte a un vino chinato. Al palato è un vino molto elegante e complesso. In bocca entra elegante e fresco (non ha però l'acidità talvolta aggressiva del barbera), poi chiude con un tannino fitto, maturo ed elegante. Un vino con forte personalità e una bella morbidezza.

L’avvio fermentativo può impiegare anche tre giorni, ci spiega Enrico, con i problemi legati alla conseguente forte fermentazione degli acetobatteri; quindi, “devi essere pronto ad ogni evenienza”, dice.

La Slarina matura in tonneau nuovo da 500 litri, realizzato con doghe stagionate al sole e piegate al vapore, che non rilasciano quasi legno, altrimenti permane in barrique di secondo o terzo passaggio.

La resa in mosto è bassissima. Il vino che ne deriva ha una ricchezza in estratto secco e tannino che gli permettono di evolvere molto a lungo nel tempo.

il MOREJ, da uve provenienti esclusivamente da vecchie vigne in abbandono. La composizione di queste è il frutto della mano di molti vignaioli che si sono succeduti nei decenni. Ognuno di essi ha studiato il terreno, ha osservato altre vigne per trovare viti migliori, ha innestato le gemme delle viti con caratteristiche miglioratrici. Barbera, Freisa Croatina, Slarina, Nebbiolo, Brusca d’Alessandria, Neretto di Marengo, Ancellotta, Moscato di Terracina, una aromatica ligure, Timorasso, Cortese e Favorita per un totale di 14 vitigni in percentuale variabile compongono questo ''vino della memoria'’.

“Morej” il vino scuro, moro, l’unico che i vecchi un tempo mettevano in bottiglia e riservavano alle occasioni speciali. Il suolo qui è a grana fine limoso, marnoso e sabbioso: limo in maggioranza, marne blu e bianche e sabbia per il 5%. Tutta la Barbera è piantata a mezza collina per evitare lo stress idrico. Oltre alla troppa acqua la Barbera soffre il suolo limoso e quindi si esegue una rippatura (aratura) di 30 cm su vigne giovani con interramento di solo letame ovino. Sulle vecchie vigne si usa invece una vangatrice a 10 cm in mezzeria, l’anno dopo si vanga a 15 cm così che abbia il tempo di buttare. Si pratica il sovescio per evitare l’asfissia del terreno ad evitare che le marne sbriciolate si cementifichino con l’acqua. Enrico applica degli integratori di estratti vegetali e rame a basse dosi come preventivo per peronospora e oidio.

Il Morej è un grande rosso, dal colore rubino scuro. Al naso è molto complesso con sensazioni molto fitte di piccoli frutti rossi e neri, sottobosco vegetale, menta. In bocca ti pulisce e ti riavvolge: è un vino dalle spalle dritte: tannino ed acidità sorreggono la sua energia, molto minerale sul finale, è un sorso inaspettato e piacevolissimo.

Dal 2008 la collaborazione con l'università di Torino ha fatto sì che due antichi vitigni, già citati, fossero ripiantati e studiati con enorme impegno: i baratuciat e la slarina. 

Enrico ci dice ancora: “Ho un profondo bisogno di fare vino; lo ritengo un dovere morale nei confronti di chi lo ha fatto prima di me. Ogni cosa che ho, proviene dalla terra che io conosco e coltivo. Spero di lasciarla un giorno più pulita, sana e viva di quella che ho ricevuto.” Questa frase è semplicemente emblematica del modo di vivere.

I suoi prodotti sono strabilianti: fermentazioni spontanee, lunghe soste sulle bucce, concentrazioni molto ben gestite. I vini di Enrico restituiscono il sole che prendono, con gli interessi.

antonio.dacomo 18/01/2022

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