Volevo ricordare questo mezzo secolo “di vino” con una ricordo dei miei anni migliori con qui ho condiviso con questa bevanda lavoro e passione, vino che è cambiato molto in questi lungo periodo, e cercherò di ricordarle in questo mio racconto.
Il vino era un alimento di poca importanza, non ci si faceva caso alla “bontà”, bastava che fosse genuino: ma non bastava pigiare l’uva per fare il vino, aveva bisogno di cure e di accorgimenti per diventare buono, in genere, tra i contadini, era grezzo e astringente. Ne abbiamo una “prova lampante” qui in Piemonte, “con la barbera” ottenuta con produzioni smisurate, (400 q.li per ettaro e anche di più) che è vitigno che produce molto “se si lascia germogliare completamente”; se ne ottiene una bevanda acidissima (il vino del carrettiere) e mediamente alcoolica. Infatti questo è stato il fenomeno del secolo scorso , l’espiantatamento di tutti i vitigni o quasi che erano avari di produzione o facili alle malattie, per lasciare il posto alla Barbera che offriva raccolti abbondanti e non aveva bisogno di molte cure. Il Nebbiolo per esempio che, per fortuna, rimase intatto nella zona intorno ad Alba, dove era tradizionale per Barolo e Barbaresco,, ma che ne fece le spese in tutte le zone del dell’Astigiano, dell'alto e basso Monferrato e dell'Otrepo Pavese.
- Divagando, un giorno Gualtiero Marchesi mi donò delle fotocopie, che ancora conservo gelosamente, della sua prima carta dei vini, autografata 1962, dell’ Albergo del Mercato di Milano. Emozionante, a quell’epoca aveva già il meglio dei vini italiani e una “miriade” di francesi, tra cui un “Lafite” del ’59 a 14.550 lire e un Romanée del ’57 a 14.000 lire. Il più caro degli “italiani” un Barolo Borgogno del ’31 a 4.500 lire. E qui Convento di Novacella, Rametz, Conte d’Attimis, Bertani, Negri, Ballabio, Frescobaldi, Fiorano bianco, Duca di Salaparuta alcuni dei vini bianchi. Pio Cesare, Serafino, Borgogno, Sella, Negri, Bertani, Baron de Pauli, Lun, Biondi Santi, Antinori, Frescobaldi e Duca di Salaparuta per alcuni rossi. Tra le bolle: Ferrari, La Versa e tantissimi Champagne.
Nel 1968 nasce il Vigorello di San Felice; rompendo con il dettame della proibizione del taglio bordolese, nel cuore della regione del Chianti Classico, San Felice creò un modello: il primo super Tuscan. Sulla scia del Vigorello sono seguiti i celebri Sassicaia (fatto con uve Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc impiantate nei terreni di Bolgheri dal Marchese Incisa Rocchetta) e nel 1971 il Tignanello, fatto con un mix di Sangiovese chiantiano, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, e tantissimi altri Super Tuscan, oggi sono una "miriade".
Per me sono stati anni di scoperta, soprattutto verso il ‘78, di conoscenza di vini eccelsi, il meglio che si poteva trovare allora come vini bianchi: Gravner, Radikon, Doro Princic, Zeni, Jermann, Giorgio Grai (Bellendorf e Bellermont), Pojer&Sandri, Srednik, Pecorari (LisNeris), Borgo Conventi, Fanti e tantissime altre. Vini, soprattutto friulani, fruttati e gradevoli: “stili” che adesso forse non piacciono più a tanti.
Iniziai a “girovagare” per la Langa per conoscere il fior fiore dei produttori di allora: Aldo e Giovanni Conterno, Bruno Giacosa, Renato Ratti, i Ceretto (erano ancora in corso Langhe), un giovane Valentino Migliorini, Pio Boffa (Pio Cesare) e Alfredo Roagna (miei coscritti), Beppe e Tino Colla (Prunotto) e tantissimi altri dei giovani che diventeranno i famosi “Langa Inn” che sono sicuramente stati l’inizio del grande cambiamento commerciale e comunicativo del vino. Sarebbero diventati i “Top” di fine secolo: Elio Altare, Roberto Voerzio, Luciano Sandrone, Enrico Scavino, Domenico Clerico, Guido Fantino, Roberto Damonte, Giorgio Rivetti, Chiara Boschis e tanti altri.
Sono gli anni di Mario Soldati, di Gino Veronelli, e grazie a loro la qualità del vino migliora molto. Si comincia a parlarne anche in televisione e il vino comincia ad essere più importante di prima. Vengono pubblicate le prime guide e soprattutto per gli appassionati nasce un nuovo mondo. Ancora oggi conservo con gelosia tutte le Guide “Bolaffi” dei vini, un caposaldo per gli appassionati di allora.
Sono gli anni del mio “affinamento” con i corsi dell’Onav, dell’Ais e di qualsiasi forma di insegnamento del mondo del vino che mi capitava. Sono gli anni della mia “gavetta” come Sommelier in ristoranti, prima con servizi saltuari e poi definitivamente occupato a tempo pieno.
Le nuove generazioni, nate e cresciute in città, hanno tradizioni e costumi che iniziano a cambiare allontanandosi sempre di più dal quel vino ruspante degli anni ’60. Crescono le DOC, crescono le varietà coltivate solo in determinate zone.
Non più viticoltura promiscua ma specializzata; sesti d’impianto fitti; uso della tecnologia in cantina (scuola tedesca) soprattutto per i bianchi con presse (Willmes a spremitura soffice) sempre più tecnologiche e l’uso del freddo.
Inizia nelle cantine Italiane l’uso del legno e soprattutto delle “barrique”(nella maggior parte dei casi in maniera smodata) per imitare e scimmiottare i più blasonati cugini d’oltralpe: è il periodo del “vino dei falegnami”.
Sono gli anni del Bricco dell’Uccellone (1982) e dei tantissimi “barbera” arrivati negli anni seguenti, chi valido chi meno.
Ed è alla fine degli anni 80, inizi anni 90 che il vino italiano si trasforma da semplice “vinello” a prodotto di classe.
- Qui in Piemonte abbiamo un esempio notissimo, praticamente una “rivoluzione”, i Barolo Boys:
La storia ha inizio a metà degli anni ‘80, quando il Barolo realizzato dai contadini delle Langhe era ritenuto più un vino da pasto che da commercializzare e per questo poco considerato nel resto del Piemonte. Molti di questi contadini erano così poveri che non avevano nemmeno le attrezzature per fare il vino, ma conferivano le proprie uve alle ditte in grado di farlo in cambio di poche lire. Naturalmente per cercare di guadagnare il più possibile non scartavano alcun grappolo d’uva, per una produzione che mirava molto alla quantità. L’altro caposaldo nella vinificazione del Barolo era l’utilizzo esclusivo ed imprescindibile della botte grande, mediante la quale, con lunghi periodi di affinamento, si cercava di smorzare l’irruenza del Nebbiolo. Avvenne che alcuni loro figli, tra cui Elio Altare, Chiara Boschis e Gianni Voerzio solo per citare qualche nome, stanchi di quelle condizioni di povertà e animati dalla voglia di realizzare un grande vino che fosse apprezzato da tutti e quindi maggiormente vendibile, decisero di unirsi in gruppo per cambiare quello stato di cose. Tra questi, ce n’era uno in particolare, Elio Altare, che, affascinato dal successo dei vini della Borgogna, decise di visitare quei luoghi, nonostante non avesse soldi, circostanza che in occasione del viaggio lo costrinse a dormire anche in auto, per cercare di capire i segreti di quel successo. E li individuò nel sistema di potatura capace di ridurre le rese tramite il diradamento dei grappoli e nell’utilizzo di un contenitore più piccolo per l’invecchiamento, cioè la barrique. Osteggiato dal padre che giudicava il cambio di contenitore una vera e propria eresia, visione generalizzata nelle Langhe di allora, decise di fare un gesto eclatante, distruggere le vecchie botti con una sega elettrica, circostanza che indusse il padre addirittura a diseredarlo, perché riteneva che fosse impazzito. Ma la miccia ormai era stata accesa e lo scoppio dello scandalo del vino al metanolo nel 1986 contribuì ad accorciarla, spingendo quelle persone a ricercare con maggior convinzione una migliore qualità del vino da produrre. E il farlo in gruppo permise loro di ridurre sensibilmente i tempi di riuscita. Nacque così un vino più pulito, più concentrato, più colorato, molto fruttato, ottenuto con tempi meno lunghi di invecchiamento da fare rigorosamente in barrique, che fin da subito incontrò il favore del pubblico.
Tutto questo però non li tenne al riparo dalle polemiche che infuriarono con i cosiddetti “tradizionalisti”, i quali li incolpavano di aver creato un vino completamente diverso, troppo avulso dalla tradizione.
Inoltre il sorgere di gelosie all’interno del gruppo, dovute a riconoscimenti maggiori che alcuni vini ebbero piuttosto di altri, ne minarono la solidità tanto che a fine anni ‘90 si disgregò irrimediabilmente, decretando la fine di un’era.
Le discussioni tra “modernisti” e “tradizionalisti” proseguono ancora oggi, con la critica che sembra propendere più verso questi ultimi, perché in fondo esistono bottiglie di Barolo degli anni ‘70 che aperte dopo mezzo secolo mostrano di essere ancora ad un livello eccezionale. Anche alcuni di quei protagonisti sembra che abbiano cambiato opinione, ritenendo che sia stato un errore l’aver cancellato con un colpo di spugna l’intera tradizione.
E lo capiscono maggiormente oggi che si trovano a discutere con i propri figli, i quali sono animati dallo stesso desiderio di cambiare le cose, per rendere il Barolo più attuale.
il Brand dei produttori diventa importante e inizia a farsi più presente, crescono così anche le linee commerciali con diverse fasce di prezzo e diverse proposte. Ormai, la cantina sociale, nata per la prima volta in Italia nel 1891, inizia ad essere un lontano ricordo in certe regioni. Il consumo pro capite inizia a scendere e si deve fare fronte alla maggior produzione del decennio precedente ma anche se la domanda interna cala attestandosi intorno a 70lt./persona, l’export diventa una parte importantissima dell’enologia italiana, registrando un 14Mln.Hl. esportati con un incremento del 20% rispetto agli anni ’70. Un mercato, l’export, che dopo la frammentazione delle DOC ed una più attenta coltivazione e posizionamento dei prodotti è diventato una voce fortissima nel campo del vino.
- In questi anni ci fu anche lo scandalo del Metanolo. Pseudo produttori per stare dietro al business producono vini falsi, con proprietà tossiche e i casi di morte registrate in quegli anni e dovute al consumo di vino, sono state per l’Italia una seconda Fillossera, questa volta di marketing-killer e commerciale. Ed è per questo che i grandi anni ’80 finiscono nel peggiore dei modi.
Se bevi vino sei IN; se bevi altro sei OUT, è uno slogan di quei tempi.
- Gli anni ’90, sono quelli che mi hanno consacrato alla mia professione, sono riuscito ad arrivare al titolo di Campione Italiano dei Sommelier a Grado e di conseguenza a operare nei migliori Ristoranti d’Italia tra cui Gualtiero Marchesi. La scalata all’Associazione Italiana Sommelier mi ha portato alla carica di Presidente Regionale Piemonte.
Per quanto riguarda il mercato del vino, lo scandalo del metanolo del 1986, ha fatto perdere credibilità ai nostri prodotti sui mercati esteri e, senza dubbio, al nostro consumo interno che è qui intorno ai 56lt./persona. È tutto da rifare, si lavora alla nuova immagine del vino italiano. Si consolidano gli studi su territorio e varietà da coltivare, si amplificano i decreti di denominazione, si comincia ad intravedere un vino legato non solo all’aroma o al prodotto in sé ma parte integrante di uno specifico territorio, più naturale, più vero. Anni di rovina e di rinascita poiché nonostante i bassi consumi interni ed un -1% segnato per la prima volta nell’export, si inizia a pensare a una immagine diversa del nostro vino.
- Sono gli anni dei rossi concentrati e di Robert Parker, famoso giornalista è critico enologico statunitense, lui prediligeva i vini rosso intensi, concentrati e con alto contenuto alcolico. Molti produttori per cercare di ottenere un buon punteggio da questo critico hanno nel tempo modificato la loro produzione per renderla più concentrata ed alcolica ed ottenere un punteggio più elevato da Parker e quindi un prezzo più alto per i loro vini. Questo fenomeno è conosciuto come “effetto Parker”. Ecco nella cantine spuntare i concentratori, macchine identificate come un facile mezzo per costruire grandi vini a poco prezzo. Il che, a ben guardare, ha prodotto un effetto positivo, aumentando la salvaguardia delle produzioni di territorio, troppo spesso “inquinate” da mosti da taglio.
In questi anni è molto seguita la Guida dei Vini d'Italia del Gambero Rosso, i vini "tre bicchieri" votati in questa classifica vanno letteramente a ruba.
- In questi anni, in Italia e all’estero, qualche produttore inizia a pensare che le proprie vigne e i propri vini hanno cambiato fisionomia a tal punto di diventare irriconoscibili. Tra i primi senza dubbio, ad iniziare questa filosofia in Italia, è Josko Gravner il quale capisce, dopo un viaggio negli Stati Uniti, cosa non deve più fare e dopo qualche anno in un viaggio in Georgia, dove invece il mondo del vino è rimasto ai tempi più antichi, capisce quel che deve fare in avvenire.
In questo viaggio tra presente e futuro nasce l’idea di ritornare ad un mondo di vino più credibile ed autentico tenendo fede però a quanto di buono la conoscenza ha portato fino in questo momento. Una sfida enorme. A questo punto ha avuto inizio un cambio di rotta epocale per il vino. A seguire Josko Gravner su quella linea di confine tra Italia e Slovenia, è Stanko Radikon, Nico Bensa, successivamente Dario Princic e Walter Mlecnick e, dalle colline di Gambellara, un giovane Angiolino Maule.
Sono anche gli anni dei primi produttori biodinamici. L’agricoltura biodinamica è un insieme di pratiche pseudoscientifiche basate sulla visione spirituale antroposofica del mondo elaborata dal teosofo ed esoterista Rudolf Steiner, all’inizio del secolo scorso, attuate durante la produzione agricola, in particolare di prodotti alimentari. Lo scopo di chi abbraccia queste credenze vorrebbe essere il raggiungimento di una agricoltura in maggiore equilibrio con l'ecosistema terrestre. La cosiddetta agricoltura biodinamica incorpora anche alcuni dettami dell'omeopatia e alcune tecniche dell'agricoltura biologica e, con un approccio definito olistico, considera come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso.
- Sono gli anni dei vini biologici, in Italia è una storia di successo: 1 italiano su 4 nel 2016 ha avuto almeno una possibilità di consumare - a casa o fuori casa - vino biologico e la percentuale è in continua crescita (nel 2015 era pari al 21% e, solo nel 2013, il 2%). Ma a crescere non è solo la quota di consumatori: nel 2016 le vendite di vino biologico hanno raggiunto complessivamente 275 milioni di euro, registrando un +34% rispetto al 2015
C’è una sostanziale differenza tra il vino biologico in Europa e in Canada rispetto agli Stati Uniti. In Europa e in Canada, il vino biologico può contenere solfiti aggiunti. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non è consentito nei vini biologici.
2010 – I Brand sono presenti, aprono porte e immagini, internet raggiunge il consumatore e chi è capace crea un legame indissolubile con lui. Il passaparola diventa veloce, agile, fatto di immagini, video, dati, scambi di opinioni in tempo reale a distanza di migliaia di Km. Sinceramente sto aspettando i numeri di questi 10 anni per vedere cosa abbiamo ottenuto con questa nuova possibilità di comunicare il territorio ed il prodotto. Sono stati grandissimi anni, nonostante la crisi e nonostante tutto. Abbiamo scalato classifiche nei mercati mondiali e spostato milioni di Hl. in tutte le parti del mondo. Sono arrivati nuovi paesi emergenti e tanti ancora da scoprire; prodotti nuovi, naturali, biologici, vegani, conservatori o anarchici o semplicemente vino, quello del contadino….c’è stata a mio avviso una importante riscoperta delle cantine sociali, tuttavia mai dimenticate, i produttori oltre alla cantina aperta hanno iniziato a fornire al pubblico un Brand con cui cenare in vigna, correre tra i Vigneti e altre attività non prettamente legate al vino svolte qui.
Sono gli anni che in tante cantine spariscono le barrique sostituiti da contenitori più capienti, o addirittura da anfore in terracotta o contenitori di cemento, già usati decenni addietro. In genere il vino si scrolla di dosso quella presenza di legno prevalente che per alcuni lustri ci eravamo abituati ad assaggiare.
Oltre il 70% dei consumatori che fa uso dei social utilizza quei canali come possibili “suggeritori” di consigli per gli acquisti. I millennials in particolare (in Italia circa 13 milioni) vi si affidano per decidere le proprie intenzioni di acquisto, che tendono poi a condividere nelle stesse piattaforme. E ancora, circa un terzo dei giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni tende a fidarsi maggiormente di un brand se questo è promosso da un influencer, una tendenza con la quale il mercanto si confronta oramai da anni.
La pandemia ha solo accelerato un processo in atto da tempo. Sebbene ancora minoritaria nel complesso, si conferma in crescita la tendenza all’acquisto di vino online, dal circa 4% del totale di mercato attuale a percentuali più importanti, che vanno valutate nel medio e lungo periodo.
Alla fine, è tutta una questione di gusto e di quanto l’ambiente e la sostenibilità siano importanti per i consumatori, l’importante che il vino sia buono e senza difetti,
Sia come sia, io sono per la qualità. Punto e basta. La ricerca della qualità è il mio obiettivo e se qualcuno un giorno mi proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar. Perché sarà allora una grande scoperta, da applaudire come abitanti di questa Terra. Però, dopo l’applauso, torneremo in silenzio a occuparci di vino.