L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

L'UOMO DELLA TAVOLA

mangiare bene, bere meglio

A NOI CHE PIACCIONO I VINI BUONI

2021-03-29 16:31:10

CINQUANT'ANNI DI VINO

E’ anche passato il 2020, e con questo traguardo sono 50 anni che seguo il mondo del vino. Per chi come me è piemontese, e oltretutto di origine“ roerina”, si avverte che il vino gli “scorre” nelle vene fin da bambino. Il 2020 è stato anche l’anno in cui compivano i 50 anni le Denominazioni di Origine del Barbera e del Nebbiolo, il mio prediletto, anche se per i blasonati Barolo e Barbaresco questo traguardo è già trascorso nel 2016.
Volevo ricordare questo mezzo secolo “di vino” con una ricordo dei miei anni migliori con qui ho condiviso con questa bevanda lavoro e passione, vino che è cambiato molto in questi lungo periodo, e cercherò di ricordarle in questo mio racconto.
Negli anni ’60 ero ancora troppo piccolino per bere, ma in questo decennio si muovevano i primi passi verso la qualità. Anche se il vino in bottiglia era ancora consumato da pochi “eletti”, parecchi produttori avevano da anni intrapreso la strada del miglioramento sia in Piemonte che in altre regioni: Oddero, Cordero di Montezemolo, Renato Ratti (1966), Luigi Einaudi, Bruno Giacosa (1967), Pio Cesare, Giuseppe Mascarello, I Sella, per nominarne alcuni in Piemonte. E nelle “Venezie” Gradimiro Gradnik a Buttrio, Tenuta Villanova, Enofriulia, Luigi Valle, Mario Schiopetto in Friuli, il Castello Rametz, Hoftatter e alcune Cantine Sociali Storiche come Novacella, Caldaro, Terlano, Gries in AltoAdige. In toscana i marchi Storici come Antinori, Frescobaldi, Biondi Santi e Ruffino  erano presenti da anni, citandone alcuni. Le case presenti in Italia nel ‘900 erano quasi sempre portati avanti da famiglie Nobili o da “Case” nate nel ‘800 o prima ancora.
E’ proprio in questi anni, e anche prima, che la vite, coltivata in promiscuità assieme ad altre colture, subisce un duro colpo, con lo spopolamento delle campagne, la migrazione delle masse contadine verso le città industriali e il miraggio di un benessere-ricchezza, apparso il più delle volte omerico.
Il vino era un alimento di poca importanza, non ci si faceva caso alla “bontà”, bastava che fosse genuino: ma non bastava pigiare l’uva per fare il vino, aveva bisogno di cure e di accorgimenti per diventare buono, in genere, tra i contadini, era grezzo e astringente. Ne abbiamo una “prova lampante” qui in Piemonte, “con la barbera” ottenuta con produzioni smisurate, (400 q.li per ettaro e anche di più) che è vitigno che produce molto “se si lascia germogliare completamente”; se ne ottiene una bevanda acidissima (il vino del carrettiere) e mediamente alcoolica. Infatti questo è stato il fenomeno del secolo scorso , l’espiantatamento di tutti i vitigni o quasi che erano avari di produzione o facili alle malattie, per lasciare il posto alla Barbera che offriva raccolti abbondanti e non aveva bisogno di molte cure. Il Nebbiolo per esempio che, per fortuna, rimase intatto nella zona intorno ad Alba, dove era tradizionale per Barolo e Barbaresco,, ma che ne fece le spese in tutte le zone del dell’Astigiano, dell'alto e basso Monferrato e dell'Otrepo Pavese.
Un epoca che comunicativamente mi affascina moltissimo poiché da alimento nel vero senso della parola, “sano e igienico” (e rude) come era visto negli anni ’60, alimento prettamente contadino, carico di colore, sapore e moltissimi difetti, nonché di gradazione alcolica importante e bevuto con sapori molto forti, per lo più prodotto dai contadini stessi che coltivavano l’uva con tante tipologie e varietà di uve assieme; il vino inizia a dover abbandonare la campagna.
- Divagando, un giorno Gualtiero Marchesi mi donò delle fotocopie, che ancora conservo gelosamente, della sua prima carta dei vini, autografata 1962, dell’ Albergo del Mercato di Milano. Emozionante, a quell’epoca aveva già il meglio dei vini italiani e una “miriade” di francesi, tra cui un “Lafite” del ’59 a 14.550 lire e un Romanée del ’57 a 14.000 lire. Il più caro degli “italiani” un Barolo Borgogno del ’31 a 4.500 lire. E qui Convento di Novacella, Rametz, Conte d’Attimis, Bertani, Negri, Ballabio, Frescobaldi, Fiorano bianco, Duca di Salaparuta alcuni dei vini bianchi. Pio Cesare, Serafino, Borgogno, Sella, Negri, Bertani, Baron de Pauli, Lun, Biondi Santi, Antinori, Frescobaldi e Duca di Salaparuta per alcuni rossi. Tra le bolle: Ferrari, La Versa e tantissimi Champagne.
Nel 1968 nasce il Vigorello di San Felice; rompendo con il dettame della proibizione del taglio bordolese, nel cuore della regione del Chianti Classico, San Felice creò un modello: il primo super Tuscan. Sulla scia del Vigorello sono seguiti i celebri Sassicaia (fatto con uve Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc impiantate nei terreni di Bolgheri dal Marchese Incisa Rocchetta) e nel 1971 il Tignanello, fatto con un mix di Sangiovese chiantiano, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, e tantissimi altri Super Tuscan, oggi sono una "miriade".
- L’inizio degli anni ‘70 sono un po’ il confine della rinascita dei vini italiani, e io ho cominciato ad assaggiare e apprezzare la degustazione, d’altronde sono cresciuto nella “piola” di famiglia (osteria) e qui ho iniziato a interessarmi alle bottiglie di vino, non nel senso di “berle” ma nel appassionarmi per le etichette, le nomenclature, le denominazioni le storie dei produttori. E qui che mi sono innamorato di questo settore.
Per me sono stati anni di scoperta, soprattutto verso il ‘78, di conoscenza di vini eccelsi, il meglio che si poteva trovare allora come vini bianchi: Gravner, Radikon, Doro Princic, Zeni, Jermann, Giorgio Grai (Bellendorf e Bellermont), Pojer&Sandri, Srednik, Pecorari (LisNeris), Borgo Conventi, Fanti e tantissime altre. Vini, soprattutto friulani, fruttati e gradevoli: “stili” che adesso forse non piacciono più a tanti.
Iniziai a “girovagare” per la Langa per conoscere il fior fiore dei produttori di allora: Aldo e Giovanni Conterno, Bruno Giacosa, Renato Ratti, i Ceretto (erano ancora in corso Langhe), un giovane Valentino Migliorini, Pio Boffa (Pio Cesare) e Alfredo Roagna (miei coscritti), Beppe e Tino Colla (Prunotto) e tantissimi altri dei giovani che diventeranno i famosi “Langa Inn” che sono sicuramente stati l’inizio del grande cambiamento commerciale e comunicativo del vino. Sarebbero diventati i “Top” di fine secolo: Elio Altare, Roberto Voerzio, Luciano Sandrone, Enrico Scavino, Domenico Clerico, Guido Fantino, Roberto Damonte, Giorgio Rivetti, Chiara Boschis e tanti altri.
In questi anni le persone iniziano a spostarsi in città, la produzione deve seguire un cambio nei sapori che da rustici diventano più delicati. Si iniziano quindi a produrre vini meno carichi di alcol e di colore, si iniziano a studiare meglio le varietà legate a particolari territori in grado di generare vini con queste caratteristiche. Inizia a salire l’esigenza di imbottigliare un vino rispetto allo sfuso, in città evidentemente è più difficile trasportare una damigiana e imbottigliarlo in cantina. Ci sono nuove esigenze nel consumatore. Il consumo pro capite è intorno ai 94 lt./persona e l’export è ancora molto basso ma inizia a dire la sua nel grande mercato enoico degli anni ’70.
Sono gli anni di Mario Soldati, di Gino Veronelli, e grazie a loro la qualità del vino migliora molto. Si comincia a parlarne anche in televisione e il vino comincia ad essere più importante di prima. Vengono pubblicate le prime guide e soprattutto per gli appassionati nasce un nuovo mondo. Ancora oggi conservo con gelosia tutte le Guide “Bolaffi” dei vini, un caposaldo per gli appassionati di allora.
- Gli anni ’80 è l’affermazione del vino italiano, la trasformazione dei consumi iniziata nel decennio precedente, matura in un nuovo mercato.
Sono gli anni del mio “affinamento” con i corsi dell’Onav, dell’Ais e di qualsiasi forma di insegnamento del mondo del vino che mi capitava. Sono gli anni della mia “gavetta” come Sommelier in ristoranti, prima con servizi saltuari e poi definitivamente occupato a tempo pieno.
Le nuove generazioni, nate e cresciute in città, hanno tradizioni e costumi che iniziano a cambiare allontanandosi sempre di più dal quel vino ruspante degli anni ’60. Crescono le DOC, crescono le varietà coltivate solo in determinate zone.
Non più viticoltura promiscua ma specializzata; sesti d’impianto fitti; uso della tecnologia in cantina (scuola tedesca) soprattutto per i bianchi con presse (Willmes a spremitura soffice) sempre più tecnologiche e l’uso del freddo.
Inizia nelle cantine Italiane l’uso del legno e soprattutto delle “barrique”(nella maggior parte dei casi in maniera smodata) per imitare e scimmiottare i più blasonati cugini d’oltralpe: è il periodo del “vino dei falegnami”.
Sono gli anni del Bricco dell’Uccellone (1982) e dei tantissimi “barbera” arrivati negli anni seguenti, chi valido chi meno.
Il nettare di bacco conosce un successo precedenti: chi conosce o parla di vino è destinato a salire nella gerarchia sociale. E’ un fiorire di studi, di libri. Assistiamo ad un exploit dei corsi per sommelier. Anche la persona non dotata, trova nella cultura del vino un momento di riscatto, un modo per emanciparsi.
Ed è alla fine degli anni 80, inizi anni 90 che il vino italiano si trasforma da semplice “vinello” a prodotto di classe.
- Qui in Piemonte abbiamo un esempio notissimo, praticamente una “rivoluzione”, i Barolo Boys:
La storia ha inizio a metà degli anni ‘80, quando il Barolo realizzato dai contadini delle Langhe era ritenuto più un vino da pasto che da commercializzare e per questo poco considerato nel resto del Piemonte. Molti di questi contadini erano così poveri che non avevano nemmeno le attrezzature per fare il vino, ma conferivano le proprie uve alle ditte in grado di farlo in cambio di poche lire. Naturalmente per cercare di guadagnare il più possibile non scartavano alcun grappolo d’uva, per una produzione che mirava molto alla quantità. L’altro caposaldo nella vinificazione del Barolo era l’utilizzo esclusivo ed imprescindibile della botte grande, mediante la quale, con lunghi periodi di affinamento, si cercava di smorzare l’irruenza del Nebbiolo. Avvenne che alcuni loro figli, tra cui Elio Altare, Chiara Boschis e Gianni Voerzio solo per citare qualche nome, stanchi di quelle condizioni di povertà e animati dalla voglia di realizzare un grande vino che fosse apprezzato da tutti e quindi maggiormente vendibile, decisero di unirsi in gruppo per cambiare quello stato di cose. Tra questi, ce n’era uno in particolare, Elio Altare, che, affascinato dal successo dei vini della Borgogna, decise di visitare quei luoghi, nonostante non avesse soldi, circostanza che in occasione del viaggio lo costrinse a dormire anche in auto, per cercare di capire i segreti di quel successo. E li individuò nel sistema di potatura capace di ridurre le rese tramite il diradamento dei grappoli e nell’utilizzo di un contenitore più piccolo per l’invecchiamento, cioè la barrique. Osteggiato dal padre che giudicava il cambio di contenitore una vera e propria eresia, visione generalizzata nelle Langhe di allora, decise di fare un gesto eclatante, distruggere le vecchie botti con una sega elettrica, circostanza che indusse il padre addirittura a diseredarlo, perché riteneva che fosse impazzito. Ma la miccia ormai era stata accesa e lo scoppio dello scandalo del vino al metanolo nel 1986 contribuì ad accorciarla, spingendo quelle persone a ricercare con maggior convinzione una migliore qualità del vino da produrre. E il farlo in gruppo permise loro di ridurre sensibilmente i tempi di riuscita. Nacque così un vino più pulito, più concentrato, più colorato, molto fruttato, ottenuto con tempi meno lunghi di invecchiamento da fare rigorosamente in barrique, che fin da subito incontrò il favore del pubblico.
Nel frattempo arrivò nelle Langhe un certo Marc di Grazia, che si propose di commercializzare quel vino negli Stati Uniti, sua terra natale. Ma, nonostante non fosse del settore (infatti era laureato in lettere comparate con specializzazione in greco classico!), decisero lo stesso di accettare. E fu subito un grande successo
Tutto questo però non li tenne al riparo dalle polemiche che infuriarono con i cosiddetti “tradizionalisti”, i quali li incolpavano di aver creato un vino completamente diverso, troppo avulso dalla tradizione.
Inoltre il sorgere di gelosie all’interno del gruppo, dovute a riconoscimenti maggiori che alcuni vini ebbero piuttosto di altri, ne minarono la solidità tanto che a fine anni ‘90 si disgregò irrimediabilmente, decretando la fine di un’era.
Le discussioni tra “modernisti” e “tradizionalisti” proseguono ancora oggi, con la critica che sembra propendere più verso questi ultimi, perché in fondo esistono bottiglie di Barolo degli anni ‘70 che aperte dopo mezzo secolo mostrano di essere ancora ad un livello eccezionale. Anche alcuni di quei protagonisti sembra che abbiano cambiato opinione, ritenendo che sia stato un errore l’aver cancellato con un colpo di spugna l’intera tradizione.
E lo capiscono maggiormente oggi che si trovano a discutere con i propri figli, i quali sono animati dallo stesso desiderio di cambiare le cose, per rendere il Barolo più attuale.
- In quelli anni si afferma anche il “fenomeno” dei cosiddetti Vins de Garages. Si tratta, essenzialmente, di vini prodotti in lotti di dimensioni così ridotte da potere essere stoccate in uno spazio angusto come, per l’appunto, un garage.
il Brand dei produttori diventa importante e inizia a farsi più presente, crescono così anche le linee commerciali con diverse fasce di prezzo e diverse proposte. Ormai, la cantina sociale, nata per la prima volta in Italia nel 1891, inizia ad essere un lontano ricordo in certe regioni. Il consumo pro capite inizia a scendere e si deve fare fronte alla maggior produzione del decennio precedente ma anche se la domanda interna cala attestandosi intorno a 70lt./persona, l’export diventa una parte importantissima dell’enologia italiana, registrando un 14Mln.Hl. esportati con un incremento del 20% rispetto agli anni ’70. Un mercato, l’export, che dopo la frammentazione delle DOC ed una più attenta coltivazione e posizionamento dei prodotti è diventato una voce fortissima nel campo del vino.
- In questi anni ci fu anche lo scandalo del Metanolo. Pseudo produttori per stare dietro al business producono vini falsi, con proprietà tossiche e i casi di morte registrate in quegli anni e dovute al consumo di vino, sono state per l’Italia una seconda Fillossera, questa volta di marketing-killer e commerciale. Ed è per questo che i grandi anni ’80 finiscono nel peggiore dei modi.
Negli anni 80 in pieno edonismo reaganiano (emergere della competizione senza esclusione di colpi) il cui simbolo è rappresentato dal film “Wall Street” di Oliver Stone, il vino assurge a status-symbol.
Se bevi vino sei IN; se bevi altro sei OUT, è uno slogan di quei tempi.
- Gli anni ’90, sono quelli che mi hanno consacrato alla mia professione, sono riuscito ad arrivare al titolo di Campione Italiano dei Sommelier a Grado e di conseguenza a operare nei migliori Ristoranti d’Italia tra cui Gualtiero Marchesi. La scalata all’Associazione Italiana Sommelier mi ha portato alla carica di Presidente Regionale Piemonte.
Per quanto riguarda il mercato del vino, lo scandalo del metanolo del 1986, ha fatto perdere credibilità ai nostri prodotti sui mercati esteri e, senza dubbio, al nostro consumo interno che è qui intorno ai 56lt./persona. È tutto da rifare, si lavora alla nuova immagine del vino italiano. Si consolidano gli studi su territorio e varietà da coltivare, si amplificano i decreti di denominazione, si comincia ad intravedere un vino legato non solo all’aroma o al prodotto in sé ma parte integrante di uno specifico territorio, più naturale, più vero. Anni di rovina e di rinascita poiché nonostante i bassi consumi interni ed un -1% segnato per la prima volta nell’export, si inizia a pensare a una immagine diversa del nostro vino.
- Sono gli anni dei rossi concentrati e di Robert Parker, famoso giornalista è critico enologico statunitense, lui prediligeva i vini rosso intensi, concentrati e con alto contenuto alcolico. Molti produttori per cercare di ottenere un buon punteggio da questo critico hanno nel tempo modificato la loro produzione per renderla più concentrata ed alcolica ed ottenere un punteggio più elevato da Parker e quindi un prezzo più alto per i loro vini. Questo fenomeno è conosciuto come “effetto Parker”. Ecco nella cantine spuntare i concentratori, macchine identificate come un facile mezzo per costruire grandi vini a poco prezzo. Il che, a ben guardare, ha prodotto un effetto positivo, aumentando la salvaguardia delle produzioni di territorio, troppo spesso “inquinate” da mosti da taglio.
In questi anni è molto seguita la Guida dei Vini d'Italia del Gambero Rosso, i vini "tre bicchieri" votati in questa classifica vanno letteramente a ruba.
Sono gli anni dove si producevano vini bianchi banali, color carta o paglierino scarico con tenui sfumature tendenti al verdolino, acidi e poveri di struttura, in genere vini da bere subito.
- In questi anni, in Italia e all’estero, qualche produttore inizia a pensare che le proprie vigne e i propri vini hanno cambiato fisionomia a tal punto di diventare irriconoscibili. Tra i primi senza dubbio, ad iniziare questa filosofia in Italia, è Josko Gravner il quale capisce, dopo un viaggio negli Stati Uniti, cosa non deve più fare e dopo qualche anno in un viaggio in Georgia, dove invece il mondo del vino è rimasto ai tempi più antichi, capisce quel che deve fare in avvenire.
In questo viaggio tra presente e futuro nasce l’idea di ritornare ad un mondo di vino più credibile ed autentico tenendo fede però a quanto di buono la conoscenza ha portato fino in questo momento. Una sfida enorme. A questo punto ha avuto inizio un cambio di rotta epocale per il vino. A seguire Josko Gravner su quella linea di confine tra Italia e Slovenia, è Stanko Radikon, Nico Bensa, successivamente Dario Princic e Walter Mlecnick e, dalle colline di Gambellara, un giovane Angiolino Maule.
Certamente, negli anni successivi, si estende a macchia di leopardo in Italia e d’dappertutto nel mondo del vino. D’altronde avevano avuto, prima di loro, figure illuminate che combattevano contro i mulini a vento. Persone che nel loro territorio facevano molto ma non riuscivano ad emergere e a far un gruppo critico solido. Giusto per citarne alcuni: Lino Maga, famoso per le sue lotte per rivendicare l’unicità della collina del Barbacarlo, oppure il Cav. Lorenzo Accomasso a La Morra, il Jazzista Pino Ratto ed il suo Dolcetto di Ovada, fino ad approdare al biodinamico Stefano Bellotti.
Sono anche gli anni dei primi produttori biodinamici. L’agricoltura biodinamica è un insieme di pratiche pseudoscientifiche basate sulla visione spirituale antroposofica del mondo elaborata dal teosofo ed esoterista Rudolf Steiner, all’inizio del secolo scorso, attuate durante la produzione agricola, in particolare di prodotti alimentari. Lo scopo di chi abbraccia queste credenze vorrebbe essere il raggiungimento di una agricoltura in maggiore equilibrio con l'ecosistema terrestre. La cosiddetta agricoltura biodinamica incorpora anche alcuni dettami dell'omeopatia e alcune tecniche dell'agricoltura biologica e, con un approccio definito olistico, considera come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso.
- Gli anni 2000, anni fantastici di rinascita e riaffermazione. La trasformazione dei ’90 è riuscita. Il vino diventa per la prima volta l’immagine di un territorio, di una parte integrante dell’uomo in una ruralità che ormai, tra le grandi metropoli, è diventata anche nuova ed interessante. Nella GDO si inizia a curare (mi permetto di dire “a volte a dismisura”) il reparto Vino, iniziando a suddividere per regioni le varie bottiglie, legando sempre di più il territorio al prodotto. Qui, forse, si vendeva il territorio. Per la prima volta le cantine e i campi, aprono le porte al pubblico. Nascono in questi anni le meravigliose iniziative e progetti quali le “Strade dei Vini e dei Sapori”, le “cantine aperte” e il concetto di enoturismo inizia a diffondersi tra la popolazione europea. Enoturismo, una parte che non deve mancare in ogni cantina e che, ad oggi, porta un surplus di fatturato intorno ai 2,5 Miliardi di Euro ogni anno. Oltretutto, lo vedo come un inizio di un vino più social in cui Brand e consumatore entrano per la prima volta in diretto contatto. La gente vuole vedere, conoscere, crescere e imparare. I consumi pro capite continuano tuttavia a contrarsi in questi anni arrivando a 45lt./persona ma l’export ci fa sempre crescere con un +20% e 17 milioni di ettolitri esportati.
- Sono gli anni dei vini biologici, in Italia è una storia di successo: 1 italiano su 4 nel 2016 ha avuto almeno una possibilità di consumare - a casa o fuori casa - vino biologico e la percentuale è in continua crescita (nel 2015 era pari al 21% e, solo nel 2013, il 2%). Ma a crescere non è solo la quota di consumatori: nel 2016 le vendite di vino biologico hanno raggiunto complessivamente 275 milioni di euro, registrando un +34% rispetto al 2015
Oggi, sempre più aziende vinicole iniziano a capire l’importanza di diventare biologiche. Abbandonando così l’uso di prodotti chimici e additivi nel vigneto e nel processo di vinificazione. In cantina è autorizzato l’uso di una serie di additivi come enzimi animali, colla di pesce, gelatina, resine, lievito, ecc. Per essere certificato come vino vegano, è necessario eliminare tutti gli additivi di origine animale. Nell’agricoltura biologica, il rame e lo zolfo sono utilizzati per proteggere le viti da malattie fungine. Come ad esempio diversi tipi di muffa. L’agricoltura biologica in Europa e l’uso regolamentato di rame e zolfo sono chiaramente definiti nelle norme generali dell’UE. Precisamente nel Regolamento (UE) 834/2007 e nel Regolamento (UE) n. 203/2012 (quest’ultimo relativo ai limiti di solfiti aggiunti).
C’è una sostanziale differenza tra il vino biologico in Europa e in Canada rispetto agli Stati Uniti. In Europa e in Canada, il vino biologico può contenere solfiti aggiunti. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non è consentito nei vini biologici.
- Sono anche gli anni dove nascono i vini macerati, gli orange-wine, sono semplicemente vini diversi. Nascono da uve bianche, ma sono fatti come i rossi, mantenendo le bucce a contatto con il mosto per un periodo che va da poche ore a mesi interi. È una strada audace, poco battuta, percorsa da un numero ristretto di viticoltori che tutti insieme non fanno la produzione di una cantina di medie dimensioni. Ma è anche una scelta chiara e precisa: quella di fare un vino bianco capace di uscire dagli schemi e raccogliere sensazioni del tutto differenti, inconsuete, per certi versi estreme. Tutti i vini macerati sono fatti seguendo gli stessi procedimenti principali, pur con sensibili differenze fra i diversi produttori
2010 – I Brand sono presenti, aprono porte e immagini, internet raggiunge il consumatore e chi è capace crea un legame indissolubile con lui. Il passaparola diventa veloce, agile, fatto di immagini, video, dati, scambi di opinioni in tempo reale a distanza di migliaia di Km. Sinceramente sto aspettando i numeri di questi 10 anni per vedere cosa abbiamo ottenuto con questa nuova possibilità di comunicare il territorio ed il prodotto. Sono stati grandissimi anni, nonostante la crisi e nonostante tutto. Abbiamo scalato classifiche nei mercati mondiali e spostato milioni di Hl. in tutte le parti del mondo. Sono arrivati nuovi paesi emergenti e tanti ancora da scoprire; prodotti nuovi, naturali, biologici, vegani, conservatori o anarchici o semplicemente vino, quello del contadino….c’è stata a mio avviso una importante riscoperta delle cantine sociali, tuttavia mai dimenticate, i produttori oltre alla cantina aperta hanno iniziato a fornire al pubblico un Brand con cui cenare in vigna, correre tra i Vigneti e altre attività non prettamente legate al vino svolte qui.
L’Europa ha ammesso da tempo l’impiego di trucioli di quercia nella produzione del vino. Per accontentare i cantinieri d’Oltralpe, e più in generale per consentire ai viticoltori europei di competere con quelli di altri continenti. In Cile come in Argentina, Sudafrica e California si abbattono così i costi delle pratiche enologiche tese ad attribuire quella ‘memoria di legno’ che un tempo si associava alla ben più onerosa permanenza in botte, o in barrique.
Sono gli anni che in tante cantine spariscono le barrique sostituiti da contenitori più capienti, o addirittura da anfore in terracotta o contenitori di cemento, già usati decenni addietro. In genere il vino si scrolla di dosso quella presenza di legno prevalente che per alcuni lustri ci eravamo abituati ad assaggiare. 
il 2020 e il nuovo Wine-Decennio, sarà improntato sulla riscoperta delle origini, del vero, si ritornerà un po’ indietro nel tempo con la consapevolezza del futuro. Saranno gli anni del viaggio nel tempo, di un breve ritorno alla campagna, anche solo per un week end in uno dei meravigliosi agriturismi sempre più presenti accanto ai vigneti…un’altra offerta dei produttori per essere ancora più vicini al consumatore e farci vivere questa bellissima esperienza di ritorno alla campagna.
Oltre il 70% dei consumatori che fa uso dei social utilizza quei canali come possibili “suggeritori” di consigli per gli acquisti. I millennials in particolare (in Italia circa 13 milioni) vi si affidano per decidere le proprie intenzioni di acquisto, che tendono poi a condividere nelle stesse piattaforme. E ancora, circa un terzo dei giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni tende a fidarsi maggiormente di un brand se questo è promosso da un influencer, una tendenza con la quale il mercanto si confronta oramai da anni.
La pandemia ha solo accelerato un processo in atto da tempo. Sebbene ancora minoritaria nel complesso, si conferma in crescita la tendenza all’acquisto di vino online, dal circa 4% del totale di mercato attuale a percentuali più importanti, che vanno valutate nel medio e lungo periodo.
- Oggi la tendenza è quella di valorizzare l’ambiente e di favorire metodi di coltivazione sostenibili. Sempre più aziende vinicole si stanno muovendo in questa direzione. L’obiettivo è quello di ottenere la certificazione biologica. Evitando l’uso di erbicidi o pesticidi nei vigneti. L’attenzione all’ambiente e alla salute delle persone è oggi fondamentale. Tuttavia, il vino convenzionale e le diverse versioni di agricoltura e vinificazione convenzionale rappresentano ancora una parte importante della produzione vinicola in Italia e nel mondo. Molti all’interno della categoria convenzionale si stanno orientando verso un ridotto utilizzo di prodotti chimici. Alcuni stanno diventando sostenibili. Eliminando l’uso di pesticidi, ma evitando di passare attraverso la burocrazia necessaria per diventare biologici certificati.
Alla fine, è tutta una questione di gusto e di quanto l’ambiente e la sostenibilità siano importanti per i consumatori, l’importante che il vino sia buono e senza difetti,
Sia come sia, io sono per la qualità. Punto e basta. La ricerca della qualità è il mio obiettivo e se qualcuno un giorno mi proporrà la massima qualità e in più pure senza solfiti, gli assegneremo senza dubbio il nostro Oscar. Perché sarà allora una grande scoperta, da applaudire come abitanti di questa Terra. Però, dopo l’applauso, torneremo in silenzio a occuparci di vino.
antonio.dacomo 29/3/21