Lorenzo Piazza

DIABOLIK TUTTO NACQUE A TORINO

2019-04-30 12:02:37

LA VERA STORIA DI COME È NATO IL FUMETTO DIABOLIK

INCREDIBILE STORIA MA VERA! 


La vera storia di Diabolik

Compie cinquant' anni Diabolik. Quello vero. Non il ladro dei fumetti, ma l' assassino in carne ed ossa che, dopo aver ucciso un giovane a Torino, sfidò la polizia con una serie di lettere. Firmate «Diabolich». Le missive del killer - molte in un linguaggio criptico da enigmista alle prime armi - ispirarono anche un buon numero di tentativi di emulazione. La psicosi di Diabolich conquistò presto tutti i giornali italiani, scavalcando i confini e occupando le pagine dei quotidiani stranieri, soprattutto francesi e americani. E l' eco fu talmente vasta che secondo la leggenda ispirò il nome - diverso solo per quella «k», all' epoca così moderna, così d' impatto - di quello che sarebbe poi diventato il fumetto culto di una generazione. Tutto nacque da un delitto compiuto a Torino, in via Fontanesi 20, quartiere Vanchiglia. Era il 25 febbraio 1958, un martedì. Un operaio Fiat di 27 anni, Mario Giliberti, fu ritrovato morto dissanguato, avvolto in un lenzuolo, sul pavimento della sua camera da letto al pianterreno, nel retro di un calzolaio. Colpito da undici fendenti, l' arma del delitto non fu mai ritrovata. Sul pomello di un armadio un biglietto lasciato a metà: «Troverete l' assas...~». Qualcosa è cambiato da cinquant' anni fa, ma non l' atmosfera, le stradine del «borgo del fumo» per via delle ciminiere delle fabbrichette. La scena del delitto ora è occupata da un negozio di impianti di riscaldamento e dove i lampioni illuminavano poche auto e molte biciclette ora c' è un incrocio, quello tra corso Belgio e corso Tortona, tra i più trafficati della città. I ballatoi in cui ora abitano, oltre ai vecchi torinesi, anche stranieri e universitari in trasferta che nulla sanno di quel fattaccio. I più anziani invece sì, rammentano che se ne parlò parecchio, ma come è andata a finire non se lo ricordano. Giliberti era un meridionale, come i giornali dell' epoca non mancavano di sottolineare, originario di Lucera, nel Foggiano. Una vita riservata, una fidanzata a Lodi, dove era stato da militare, un bel gruzzolo di risparmi che fecero pensare a una rapina o a un giro di prestasoldi. Giliberti era morto da tempo, forse una decina di giorni. Vedendo che sui giornali non era ancora comparsa la notizia dell' omicidio, il responsabile aveva telefonato al quotidiano La Stampa, annunciando di aver ucciso un uomo sulla via di Po. Un indizio troppo vago per qualunque indagine, tenuto anche conto che l' avvento del telefono, senza gli scrupoli di privacy cui siamo sottoposti oggi, aveva abituato polizia e giornali alle telefonate anonime più assurde. Così il 24 febbraio, visto che nessuno pareva ancora essersi accorto del delitto, l' assassino inviò una lettera che con un gioco di parole rivelava l' indirizzo esatto in cui sarebbe stato trovato il cadavere. E spiegava anche il movente: «Un tempo eravamo molto amici e portavamo la divisa comune, poi lui mi tradì come un cane. Adesso sta bene così che la mia vendetta lo à raggiunto. Spero che scopriate il cadavere prima che diventi marcio». Il corpo di Giliberti fu invece rinvenuto dal portinaio e dallo zio prima dell' arrivo della lettera. Solo il giorno dopo, quando il postino recapitò in questura e ai giornali la busta dell' assassino, Torino e l' Italia si confrontarono per la prima volta con Diabolich. In realtà il killer non stava inventando nulla: il nome e il modo di agire nel tentativo di fare il delitto perfetto li aveva copiati da un romanzo giallo uscito quasi un anno prima, Uccidevano di notte, di Italo Fasan, uno di quelli da 100 lire che erano molto in voga in quel periodo. Nel libro «Diabolic», questa volta senza l' acca, era la firma che un attore malato con pochi mesi di vita aveva scelto di usare per compiere una serie di «omicidi perfetti». Dal libro l' assassino misterioso aveva preso l' idea di inviare lettere a giornali e inquirenti. Mai gli originali, solo copie fatte con la carta carbone, che avrebbe reso più difficoltosa una perizia grafologica. Quando le prime furono pubblicate, a decine ne arrivarono da tutta Italia, contraffazioni più o meno evidenti, buone per ingarbugliare le indagini. Gli uomini della squadra mobile di Torino interrogarono il giro di compaesani che la vittima frequentava, i colleghi, i vicini di casa, fino a individuare un giovane con cui aveva stretto rapporti nell' esercito. Aldo Cugini, bergamasco, fu arrestato come sospettato del delitto, ma gli indizi trovati contro di lui non furono tali da arrivare a una condanna. Così la morte dell' operaio restò senza un colpevole.