Lorenza Franco

Founder Senior

PERGAMO (archeologia)

2020-01-04 17:43:00

Un dì lontano giunse/ in paese straniero/ un certo Filetero/ e l’ambizion lo punse./ Resosi indipendente,/ si servì del tesoro/ -una montagna d’oro!-/ in modo intelligente./ (...)

Un dì lontano giunse

in paese straniero

un certo Filetero

e l’ambizion lo punse.

Resosi indipendente,

si servì del tesoro

-una montagna d’oro!-

in modo intelligente.

Degni di lui gli eredi,

guerrieri e mecenati,

sconfissero i Galati,

ebber sfarzose sedi.

La civiltà di Atene

per loro fu modello,

amante sol del bello,

nel modo che conviene.

Rispetto del paesaggio

fu loro prima cura,

la saggia architettura

non fé, a Natura, oltraggio.

S’alzan colonne al cielo,

grandioso stile è il dorico,

non è da men lo ionico,

anche se meno austero.

Dall’alto Nike Atena

ammira il grande Altare.

Col padre suo a lottare,

la barbarie incatena.

Se Auge innamorata

mise al mondo un bambino

dal glorioso destino,

perché mai fu scacciata?

Telefo abbandonato

la madre ritrovava.

una città fondava

dal padre suo approvato.


IL GRANDE ALTARE

Fregio Est

Ecate con la face,

con scudo, lancia e cane,

affronta il mostro immane

e Clizio a terra giace.

Artemide implacabile

contro il gigante nudo,

armato d’elmo e scudo,

dimostra quanto è labile

la ribellion del barbaro

che chiedeva il tributo,

di certo non dovuto,

e lo spedisce al Tartaro.

Anguipodo e bestiale

chi aggredì Latona,

or sa che non perdona

il gesto suo fatale.

Efialte giace ai piedi

di Apollo guaritore,

dai mali protettore,

che trionfar tu vedi.

Apollo guaritore

che vede nel futuro,

con Marsia fu ben duro

e ciò non gli fa onore.

Quattro cavalli alati,

veloci come i Venti,

trasportano possenti

Era che li ha spronati.

Garante di Vittoria

indica un’iscrizione,

con zampa di leone,

chi faticò con gloria.

Le nuvole raccoglie

il padre degli dei.

Fulmini contro i rei,

Porfirio ha grandi doglie.

Con Alcioneo soccombe

il Galata morente.

La madre Gea è impotente

contro Atena che incombe.

Quel dio poco stimato

che presiede alla guerra,

or le redini afferra

d’un cavallo impennato.


Fregio Sud

Cibele nella mischia,

in groppa ad un leone,

non ha esitazione:

l’aquila, dietro, fischia.

Che dio sarà mai questo

che infilzò un gigante?

Le ipotesi son tante,

ma forse è proprio Efesto.

Aurora, pur gentile,

una fiaccola scaglia

che il bersaglio non sbaglia.

Contro un nemico vile,

travolto dalle ruote,

s’avventa il dio del Sole

che trionfare vuole

e le redini scuote.

Eros, Elio e Selene,

aurora, sole e luna,

la madre Tea raduna,

nella lotta interviene.

Chi mai volge le spalle

a me che guardo attenta?

D’un mulo s’accontenta

chi illuminò la valle?

Un gesto è poco etereo

strangolar un gigante,

come serpe strisciante

dal destino funereo.

Tutto controlla Urano

che vuole far Giustizia.

Febe, che gran notizia!,

prende Asteria per mano.


Risalita Nord-Ovest

Il dio del mar Tritone,

un poco scombinato,

da mamma accompagnato,

per babbo Posidone

nella lotta riesce,

con zoccoli per mani

e altri arti strani,

pur se puzza di pesce.

Or Doride e Nereo

si diano un po’ì da fare

la figlia a ricercare,

che fuggì con Peleo.

Risalita Sud-Ovest

Dioniso senza sirma

-faceva così caldo?-

un dio è un po’ ribaldo.

Teorreto si firma.

Combattono ubriachi

i satiri e il leone?

Che bella processione!

Sémele fa il sirtaki.


Fregio Nord

Ricupera Afrodite

un’arma non d’amore

dal gigante che muore,

non quello che ha più vite.

Eros con la sua nonna

non lo soccorre certo,

lavora di concerto

con l’altra gentildonna.

Che c’entra Polinice

con Castore e Polluce?

Al morso si riduce

chi divino si dice?

Invece di mitraglie,

si sradicavan piante.

Nel petto del gigante

trafiggon le frattaglie.

Ma l’altro ha la corazza,

bella complicazione!

Con un’altra invenzione

comunque lo si ammazza.

Le Erinni sono queste

che le coscienze appestano,

e la vita funestano?

Ne sa qualcosa Oreste!

Arbitre del destino,

lui che per gambe ha spire,

le Moire fan morire

e anche il suo vicino.

Non può esser ben disposta

chi fa dei figli orrendi,

ai suoi colpi tremendi

non mi vorrei esposta.

Che grande confusione!

S’alzano enormi flutti;

a sistemare tutti

arriva Posidone.


DONARIO

Il Galata suicida,

che ha trafitto la moglie,

le risparmia altre doglie,

dell’onor non la priva.

Vestito era il Persiano,

non combatteva nudo.

Caduto sul suo scudo,

anche a lui c’inchiniamo.

Il Galata morente

simbolo di vittoria,

non muore senza gloria:

il nemico è ossequiente.

L’Amazzone che giace,

bella pur nella morte,

sa che fu anche più forte

d’un bronzo di Riace.

Verrà l’Irrazionale

a spegner la Pietà

e Dio si crederà

il Potere Imperiale.

Soffrire sarà bene

per chi ha un dio minore,

si umilii nel dolore

il nemico in catene.

Ma i tramontati Numi,

che eran pur umani,

un lontano domani

diventeranno “I Lumi”.


Conclusione


Quest’arte pergamena

è poesia immortale

e già distende l’ale

la Vittoria suprema.

La Colonna Traiana

ne trarrà insegnamenti,

di Ghiberti i battenti

saran gloria italiana.

Ormai la ritrattistica

non sarà più simbolica,

strategica o bucolica,

bensì naturalistica.

Pure se cieco Omero

non tiene gli occhi chiusi

come in antichi usi.

Il suo ritratto è vero.

Le rughe sulla fronte

danno espressione intensa:

è Antioco che pensa,

d’idee son le impronte.

La nudità è potente

del grande Posidone,

con grande convinzione

brandisce il suo tridente.

L’arte antica è espressione

di civiltà più umana

che ancor oggi promana

equilibrio e ragione.

Lorenza Franco

Milano, 23 maggio 1995








Fonte: http://www.divinidiversi.it/poesie/epica-e-letteratura/pergamo-archeologia