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Il mistero delle buone azioni secondo Arthur Schopenhauer

2020-12-17 07:38:34

Cosa sono le buone azioni? Perché spesso ci lasciano a bocca aperta? E ancora: perché spesso anziché generare processi di emulazione sono soggette ad accuse di buonismo se non di falsità vera e propria?

Forse qualche risposta può indirettamente venirci da alcune pagine di Arthur Schopenhauer che nel saggio Sull’etica, contenuto in Parerga e paralipomena (Adelphi, a cura di Mario Carpitella, traduzioni di Mazzino Montinari ed Eva Amendola Kuhn), spende qualche parola proprio sulle buone azioni, partendo dal centro nevralgico che si nasconde al loro interno e che forse contribuisce a destare scandalo:

«Ogni buona azione compiuta con pura intenzione rivela che colui che la compie, in diretta contraddizione con il mondo dell’apparenza nel quale l’individuo estraneo sussiste del tutto separato da lui, si riconosce identico a tale individuo. Perciò, ogni buona azione veramente disinteressata è un’azione misteriosa, un mistero tanto che, per renderne conto, si è dovuto ricorrere a ogni specie di finzioni.»

L’autore di Il mondo come volontà e rappresentazione prosegue poi concentrandosi su un caso particolare: quello in cui nonostante l’imminente morte una persona è spinta comunque a compiere una buona azione per la salvezza di qualcun altro:

«Nei casi in cui una persona ormai destinata a morire senza scampo pensa con ansiosa preoccupazione e attivo zelo al bene e alla salvezza altrui, abbiamo una manifestazione particolarmente bella ed evidente di quel riconoscere il proprio vero essere in un’altra persona oggettivamente manifesta, al quale si è prima accennato.»

Di qui alcuni esempi concreti del caso appena citato, come quello di una giovane domestica:

«Di questo tipo è la storia di una domestica che, morsa di notte in un cortile da una cane rabbioso, vedendosi ormai perduta pur tuttavia afferra il cane e lo rinchiude nella stalla, affinché altri non ne siano vittime.»

Schopenhauer si sofferma poi sul caso di un padre e di un figlio, immortalato in un famoso acquerello:

«Parimenti quel che è accaduto a Napoli, e che Tischbein ha eternato in uno dei suoi acquerelli: il figlio, sfuggendo alla lava che rapidamente incalza, porta sulle spalle il vecchio padre; ma, quando soltanto un esiguo pezzo di terra divide i due elementi distruttori, il padre ordina al figlio di deporlo perché si salvi correndo via, altrimenti sono ambedue perduti. Il figlio obbedisce e separandosi si congeda con uno sguardo dal padre. Ciò è rappresentato nel quadro.»

Il filosofo del velo di Maya cita poi Walter Scott riportando un evento storico descritto dallo scrittore inglese:

«Di questo genere è anche il fatto storico descritto da Walter Scott con la solita maestria nel secondo capitolo di Heart of Midlothian, nel quale, di due delinquenti condannati a morte, quello che per la sua incapacità ha cagionato l’arresto, libera l’altro in chiesa dopo la predica dei defunti assalendo vigorosamente la guardia, senza però fare per sé il minimo tentativo.»

Altrettanto esemplificativa, oltre che commovente, è la storia di un soldato che prova a salvare il suo cane:

«Anzi rientra in questo genere di azioni, sebbene possa ripugnare al lettore occidentale, la scena, ripetutamente rappresentata su incisioni in rame, nella quale il soldato già inginocchiato per essere fucilato si dà da fare a tenere lontano con il fazzoletto il suo cane, che vuol raggiungerlo.»

 

Tutti gli esempi citati sono, agli occhi del filosofo, un esempio di quel mistero alla base delle buone azioni dal momento che:

«In tutti i casi di questo tipo vediamo un individuo che con tutta certezza va incontro alla sua immediata fine personale, non pensare alla sua conservazione e rivolgere tutta la sua preoccupazione e i suoi sforzi alla conservazione di un altro.» 

Ecco infine il mistero alla base delle buone azioni come si esplicano nei casi appena narrati:

«Come potrebbe esprimersi più chiaramente la coscienza che questa fine è soltanto la fine di un’apparenza, e dunque è, essa stessa, apparenza; mentre invece il vero essere di chi perisce, rimanendo esente dalla fine, continua a sussistere nell’altro, nel quale, come la sua azione rivela, proprio ora egli lo riconosce così chiaramente? Infatti, se così non fosse, ma avessimo innanzi un essere veramente destinato all’annullamento, come potrebbe egli dimostrare ancora, nell’estrema tensione delle sue ultime forze, una così appassionata partecipazione al bene e all’esistenza di un altro?»



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