Leandro Sgueglia

Napoli Nord: State of mind, parte 2

2020-05-08 14:13:16

La seconda parte di un racconto breve su un luogo della metropoli e dell'animo

[Continua dal post precedente]

(...)

In ogni caso non lesinano mai i macchinoni, sportelli aperti e stereo a palla. Tanto poi si vede, “a pagherò”. Oppure paga mo’ chi nel quartiere non mette la sua faccia e fa la spesa di ragazzini per armarli e venderseli dopo 3 mesi. Ogni acquirente è opportuno, questura o banda rivale. Il buono-uscita è solo un sapore, quello dell’illusione di aver contato qualcosa dove spesso i numeri sono arresti ed assassinati.

La stessa è pure la ricchezza, l’unica, cioè l’appartenenza. “Componente” è il riconoscimento più importante. L’orgoglio è essere un pezzo di quello skyline, corona di un panorama fumoso. Un tesoro che è solo di chi sa apprezzarlo. Ci vuole testa e stile. È periferia ma per chi la vive è il centro e il resto è contorno. Rotonde a forza centrifuga risucchiano tutto. Sui vialoni il giorno è sfumatura della notte. Roba esclusiva per quei compagni di rione. Loro la metropoli la capiscono davvero. È mentalità. La comprendi quando, salendo per Via Campano, poi arrivi a Chiaiano. Lì la Discarica evoca le immagini di quegli stessi giovani. Corpi lanciati a tarantella contro ruspe e caschi blu. È stato per evitare altro veleno. È stato per un altro fratello che non si alza. È stato perché è ingiusto e basta, perché “chi so’ io e chi sei tu”. È stato perché “le guardie le schifo”. È stato perché sanno di non essere randagi ma di poter diventare feroci se quelle sirene non se ne vanno da là. È stato perché non hanno uno stato e la nazione ha una lingua che non è la loro. Si parla e non ci si capisce. Ci ridono su ma non lo dimenticano. L’astio prima o poi glielo riportano perché non è il loro. Glielo mandano indietro dentro una canzone o a cazzotti e cobra confusi nel boato di uno stadio.

Ed è domenica.

Torni a girare a vuoto cercando un poco d’erba. Nel frattempo ti distrai ricordando la tossica del quadrivio e quanto gli anni novanta non siano mai finiti.

Secondigliano. Questa volta non è il Corso ma il carcere. Filo spinato e casermoni, ci passi davanti e ti confondi perché non capisci più se stai dentro o fuori.

Pensi in un attimo alle terre di Palestina e ti ritorna davanti agli occhi il nome insolito di quella Via… “Gerusalemme liberata, opera letteraria di Torquato Tasso”.


FINE


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