Laura Del Torre

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Il fascino di Trieste

2019-12-01 15:57:50

(...) Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; (...) La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. - "Trieste" di Umberto Saba.

Dedicato a Trieste

C'è una città che non è la mia, ma mi ha accolto a braccia aperte e mi ha permesso di conoscerla ed apprezzarla in tutta la sua bellezza. 

Il suo ricordo è sempre vivo e vorrei condividerlo con voi.

Amo ricordare e rivivere le emozioni...

Il viaggio

È arrivato il regionale che ogni mattina parte da Monfalcone alle 7.04 ed arriva a Trieste verso le 7.30: aspettiamo il nostro turno e saliamo cercando un posto lato Golfo per ammirare un po’ più da vicino lo spettacolo che ci aspetta.

Il treno parte per un tragitto che ormai è routine; eppure non pesa, non stanca, anzi, è come se quei 30 chilometri fossero un rito doveroso per rigenerare lo spirito.

Lasciamo la stazione e l’odore di olio esausto che la caratterizza per immergerci in un quadro dove i primi due protagonisti sono il nostro amato Carso e il nostro Golfo.

Per un paio di chilometri la separazione tra i due non è affatto netta e il Carso la fa da padrone. È sempre bello, ha sempre il suo fascino. D’inverno è freddo e spoglio, d’estate si tinge di tante tonalità di verde e le alterna alla roccia nuda e rovente per la calura. La stagione in cui lo preferisco, però, è l’autunno, quando le foglie del sommaco regalano sfumature di rosso che lasciano a bocca aperta, mentre gli alberi perdono le foglie gialle e mostrano i loro rami nudi protesi verso il cielo blu.

Poi all’improvviso, usciti da quella galleria buia e assordante scavata nella roccia, un bagliore cattura i nostri sguardi e il campo visivo si espande senza più restrizioni: il treno continua la sua corsa verso Trieste, ma noi guardiamo fissi uno specchio di acqua salata e dimentichiamo completamente la nostra destinazione.

Siamo qualche metro sopra il livello del mare, come appesi al costone roccioso, e dai finestrini i mercantili e i pescherecci sembrano le riproduzioni in miniatura di un plastico. Disegnano sull’acqua delle linee morbide, che via via si allungano e si perdono per tornare a confondersi con la superficie del mare. Difficilmente c’è calma piatta, perchè la bora soffia spesso e forma delle increspature che il sole trasforma in un luccichio infinito. Ecco, il terzo protagonista è entrato in scena, ma lo ha fatto in modo indiretto: non lo guardiamo alzando gli occhi al cielo, non lo vediamo riflesso nitidamente nello specchio di mare, ma ne siamo acciecati dallo sperluccichio. È lui! Lo capiamo dopo. In realtà è sempre stato presente in questo viaggio, fin da quando a Monfalcone aspettavamo il treno sul binario 2, ma era lì, fermo, in quell’angolo di cielo blu ad aspettare con compostezza il momento giusto per regalare un’emozione forte a noi pendolari.

Il treno continua la sua corsa a perdifiato per arrivare in orario, mentre noi seguiamo con gli occhi quel panorama incantevole di cui andiamo fieri e di cui non vogliamo perderne nemmeno un fotogramma.

Ecco, stiamo entrando in stazione, vediamo nitidamente il magazzino 26 e improvvisamente siamo circondati da una moltitudine di binari che si intrecciano tra loro: è lo scalo ferroviario. Quello scalo ferroviario che in passato, assieme al porto attiguo, ha rivestito un ruolo importantissimo negli scambi commericali tra l’Est e l’Ovest.



La città

Il treno si arresta e c’è un fuggi fuggi generale verso piazza della Libertà, dove la statua di Sissi sembra fare gli onori di casa.

Appena fuori dalla stazione i ritmi frenetici e i nervosismi riportano alla quotidianità, ma noi lasciamo che siano il cuore e la mente a prevalere e quindi raggiungiamo via dell’Università a piedi, godendoci il paesaggio e ignorando i rumori molesti. Non abbiamo così tanta fretta, avremmo potuto dormire mezz’oretta di più e prendere il treno successivo, ma abbiamo preferito alzarci di buon’ora per gustarci tutto con più calma.

Lasciamo alla nostra destra la Sala Tripcovich e il porto vecchio, proseguiamo verso la nuova Capitaneria di porto e ci dirigiamo verso P.zza Unità. Mentre passeggiamo ci rendiamo conto che Trieste è piena di gioielli architettonici che ne testimoniano la sua unicità e la sua particolarità: l’essere stata e il continuare ad essere una città mitteleuropea. La maggior parte dei suoi edifici  sono stati costruiti proprio quando essa viveva il suo momento di gloria sotto l’Impero austro-ungarico, tra il Settecento e l’Ottocento, e lo stile Eclettico è ben visibile.

Questa posizione strategica nell'alto Adriatico tra il mare e il Carso e l’esser stata per secoli crocevia di culture e traffici commerciali le hanno permesso di avere una cucina caratteristica molto diversa dal resto d’Italia. Una cucina che è riuscita a far parlare di sè e ad influenzare anche la letteratura.

Profumo di caffè

Proseguendo per le vie  interne della città, i profumi delle caffetterie accarezzano le nostre narici e ci invitano ad entrare. Come dire di no!? Non sarebbe educato!   Bastano solo pochi minuti, quindi non perdiamo altro tempo: ci caliamo in un’atmosfera calda ed avvolgente, elegante e pregna di cultura. Mentre attendiamo il cameriere, ascoltiamo con attenzione la sinfonia del caffè: dalla macinatura dei chicchi, alla pressatura, all’erogazione, fino al rumore della tazzina che viene posata sul piattino. L’oro nero è pronto per la degustazione.

Manca qualcosa, qualcosa che esalti la bontà del caffè e che baci la nostra anima: non possiamo rinunciare a un pasticcino. Apriti cielo! I dolci di Trieste li avete mai assaggiati? Credetemi, la bontà della sua pasticceria lascerà per sempre un segno nella vostra esistenza.

Adesso è proprio ora di ripartire: piazza Hortis, una salita e siamo giunti a destinazione.