Io ce l'ho fatta

Moda & Bellezza

Vince il Premio David di Donatello 2020 con il documentario “Selfie”: lui è Agostino Ferrente

2020-05-09 09:41:18

Il cinema indipendente ha, da sempre, una marcia in più. Ci sono alcuni registi italiani (e Agostino Ferrente è tra questi) che hanno il coraggio di osare, sperimentare, provare a raccontare la realtà in maniera differente utilizzando stili di comunicazione meno scontati e più immediati.

“Selfie” parla del rione popolare di Traiano, a Napoli, attraverso il racconto di due adolescenti che hanno tanta voglia di “normalità”.

Quello di Ferrente è un documentario davvero particolare, che prova ad invertire i canoni filmici e cinematografici: la sfida (perfettamente riuscita, a quanto pare) è quella di dimostrare, controtendenza,   che anche la non violenza più avere “appeal” cinematografico,  suscitando nel pubblico interesse, emozione ed empatia.


R: La modalità di realizzazione del tuo film incuriosisce, ed è il risultato dei tempi moderni, in cui uno smartphone può fare tutto. Come ha cambiato la tecnologia il modo di osservare (e documentare) la realtà per voi registi?

AF: Oggi un buon cellulare è alla portata di tutti, e questo dà la possibilità di girare un film anche quelle persone che non hanno la possibilità economica di comprare attrezzature professionali. Un passo in questa direzione l’aveva già fatto il digitale, considerando che prima delle telecamere si girava in pellicola e questo comportava costi ancora più proibitivi. Per queste ragioni, in passato non tutti coloro che avevano talento avevano la possibilità di girare il proprio primo cortometraggio, chi ci riusciva aveva spesso una famiglia alle spalle in grado di contribuire alle spese. Questa sorta di “democraticizzazione” della tecnologia è senza dubbio positiva e sembra quasi far avverare il sogno di Zavattini, secondo cui il cinema doveva essere alla portata di tutti, per essere meno elitario.


La particolarità consiste soprattutto nell’inquadrarsi “allo specchio” mentre interagiscono con la realtà che li circonda, riprendendo così il contesto sociale in cui si trovano. In questo modo ho chiesto loro di filmarsi mentre vivono, raccontando la loro giornata, dal “loro punto di vista”, espressione che in questo caso non è solo figurativa ma anche materiale. E il selfie, per come è predisposto,  non dà la possibilità di “guardare avanti”, al futuro, ma solo indietro…  È questo il senso metaforico del film.

Questi ragazzi sono dei predestinati, sin dalla nascita non hanno le possibilità che gli sarebbero garantite anche dalla costituzione, sono cittadini di serie B, figli di un dio minore. Dunque raccontano il passato ma non sanno se e quale futuro avranno, e cosa c’è al di là del muro.


R: Il film “fotografa” la realtà di un quartiere popolare di Napoli. Che idea personale ti sei fatto di tali luoghi, e quanta speranza di cambiamento hai intravisto, anche attraverso il racconto dei protagonisti?

 

AF: Facendo il documentarista più che ottimista o pessimista io mi reputo realista. Il tessuto umano che ho raccontato ha problemi atavici comuni a tutti i quartieri popolari di Napoli, e alla fine mi sono reso conto che girare un film su Rione Traiano è come fare un film sui quartieri popolari di tutto il mondo. Quello che ho documentato in “Selfie” vale per tutte le periferie del mondo, dove purtroppo esiste  un “muro”, una barriera di tipo sociale molto forte che discrimina persone che invece dovrebbero avere gli stessi diritti sanciti dalla Costituzione. Ad esempio l’accesso all’istruzione. Per molte famiglie può essere un problema comprare uno zaino, per non parlare dei libri di testo. E se mantenere un figlio nelle scuola dell’obbligo è un “lusso”,  figuriamoci all’Università. Quando si danno tutti qui compiti da fare a casa o per le vacanze, non ci si rende conto che ciò incrementa il classismo, condannando i poveri ad essere sempre più poveri.  Se un ragazzo non ha genitori che hanno studiato e quindi possono aiutarlo, e se non hanno neanche la possibilità di pagargli le ripetizioni, alle prime difficoltà abbandonerà la scuola (nella Provincia di Napoli il tasso di abbandono è tra i più alti d’Italia). E se abbandoni giovanissimo la scuola in Emilia e cerchi lavoro come apprendista, magari  lo trovi, ma da Roma in giù è difficilissimo se non impossibile. E a Napoli, come in tanti altri posti del sud, il primo ammortizzatore sociale che offre immediatamente lavoro a chi non c’è l’ha è la criminalità. Questo dimostra che non è che chi viene da classi sociali meno abbienti è geneticamente predisposto alla criminalità. è che nasce socialmente predestinato.


“Selfie” ha conquistato la giuria del prestigioso Premio David di Donatello edizione 2020, ed è un riconoscimento meritatissimo. Ferrente è arrivato proprio dove deve un bravo regista, al cuore delle persone, suscitando emozioni spesso contrastanti e forti. Fare cinema è anche (e soprattutto) questo.

3