In Esergo

I giorni del futuro dei Moody Blues

2020-07-06 15:12:45

Mettetevi comodi, spegnete le luci. Tirate le tende. Il giorno sta per cominciare e questo è un viaggio. Il viaggio di un giorno, di un uomo qualunque. Come nell’Ulisse di Joyce ma chiudendo gli occhi, seguendo le note della London Festival Orchestra diretta e arrangiata da Peter Knight.

I giorni del futuro dei Moody Blues

L'epopea del giorno qualunque di un uomo qualunque divenuta leggenda 


Comincia il giorno


Sfera dal cuore freddo, che governi la notte

Che rimuovi i colori dal nostro scenario

Il rosso è grigio e giallo, bianco

Decidiamo ciò che è giusto

E ciò che è un’illusione


Mettetevi comodi, spegnete le luci. Tirate le tende. Il giorno sta per cominciare e questo è un viaggio. Il viaggio di un giorno, di un uomo qualunque. Come nell’Ulisse di Joyce ma chiudendo gli occhi, seguendo le note della London Festival Orchestra diretta e arrangiata da Peter Knight. I temi, le melodie dell’opera, sono già tutte qui, in questa introduzione maestosa e spiazzante che le riassume, che le amalgama, lasciando alla grande tavolozza timbrica dell’orchestra il compito di far sgorgare dal nulla la magia, condurci nel regno fatato, alle porte di Tannhäuser. Archi, ottoni, legni, arpa, idiofoni. E poi la voce di Mike Pinder mentre recita il monologo scritto dal batterista Graeme Edge. Sullo sfondo il fluire del tempo, come simbolicamente tratteggiato dal metafisico acquerello di David Anstey che funge da copertina. Loro sono i The Moody Blues e questo viaggio si chiama Days of Future Passed, anno domini 1967. La storia passa da qui. Benvenuti.  


L’alba


L’alba è una sensazione

Uno splendido soffitto

Il profumo dell’erba

Conduce in un sogno

Ora sei qui

Nessuna paura del futuro

Questo giorno durerà un migliaio di anni

Se lo desideri


Un monile luccicante, emozionale, introdotto e concluso dalla magnificenza dell’orchestra. Nel mezzo il Mark II, tra i primissimi modelli di mellotron utilizzati in musica. Tutto inizia da qua, uno strumento a nastri magnetici preregistrati, un sonnolento e immaginifico risveglio. Luci e ombre diafane, quasi eteree. Il pop, le reminiscenze beat, la psichedelia, si fondono con i suoni, il respiro e le ambientazioni della grande musica classica. È qualcosa che non si era mai ascoltato prima, grazie anche al nuovo Deramic Sound ideato dall’etichetta discografica Decca: due mixer a quattro piste invece di uno solo, una spazialità del suono ad ampio spettro, del tutto nuova. Alba come percezione olistica, come armonia panteistica del tutto. La pace e l’incanto interiore di un uomo nuovo che si affaccia sulla storia, figlio della Summer of Love e delle controculture giovanili dell’epoca.   


Il mattino


I sogni di ieri

Sono i sospiri di domani

Osserva giocare i bambini

Sembrano così saggi


Il mattino è l’apoteosi della magia bianca infantile, dell’energia straripante che sembra arrestare il tempo. Il flauto dell’indimenticato Ray Thomas guida il piccolo popolo, distribuisce allegria, scandisce una marcetta che sa di Walt Disney dei tempi d’oro ma con una consapevolezza non solo giocosa, quasi salvifica. Ci pensa l’orchestra a riprendere il filo, a intingerci nel lavacro di un pop mai così maturo e ardito, finalmente e convintamente adulto. Le prime ardite armonie vocali si fanno largo sullo sfondo. Il tema ripassa alle trombe sordinate, quasi a evocare un salto di coscienza. I bambini sospirano, gli aquiloni dissimulano le loro traiettorie in cielo. Il tempo sembra fermarsi: nel mondo dei piccoli trasmuta in eternità. 


Pausa pranzo


Ora di punta

Ora di punta

Mi viene voglia di uscire e dire loro

Avete tempo!

Fate un passo indietro

E guardatevi dentro

Io l’ho fatto 

E ho scoperto di averne, di tempo


L’ora di punta, l’ora della frenesia. Ce lo ricorda l’orchestra, che ancora una volta sopravanza e raccorda il gruppo. Finalmente arriva il tempo del beat, di un rock antico e per sempre contemporaneo. Gli impasti vocali sono ora più arditi, parte di una matrice stilistica che risente sì dei Beatles ma anche di quanto stava giungendo da oltreoceano. La calma, quel senso di comunione interiore col Creato, è messa a dura prova dalla frenesia della contemporaneità. Quel tempo presente che si lascia fuggire con scuse condizionali, per dirla alla Battiato. La critica alla società dei consumi e del produrre, sebbene faccia quasi tenerezza pensando a ciò in cui si sarebbe trasformato il mondo negli anni a venire, è pienamente sottesa. È una critica culturale e generazionale, alle menti sottomesse dalle cose da fare, alle folle di persone tutte impegnate a volare. Peak hour! E la chitarra di Justin Hayward trova anche il tempo di sfogare le istanze solistiche, fino a quel momento represse. 


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