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Leadership e pregiudizi
La caratteristica della nostra funzione intuitiva è quella di “mettere in ordine” la realtà sulla base di modelli che nel tempo ci siamo formati. Leggiamo il mondo esterno non "per com'è", ma per come lo interpretiamo.
A tutti è capitato di difendere una posizione nella quale non si credeva fino in fondo.
Teoricamente dovrebbe essere il contrario, o almeno questa è la nostra convinzione.
Prima si conosce una cosa “per quel che è” e poi se ne traggono una serie di valutazioni e interpretazioni. E invece no. Non solo, ma la nostra sensazione è quella di esprimere giudizi perfettamente razionali e distaccati, ossia tutt'altro che precostituiti. E, per ingannarci meglio, costruiamo una serie di spiegazioni “a posteriori” che sostengano la nostra logica argomentativa su un determinato tema. L’attività intuitiva si basa su scampoli d’informazioni che provvediamo ad integrare con le informazioni che già possediamo e da questo mix cerchiamo di trarre, in poco tempo, una conclusione verosimile. Il tema è che quando pensiamo e giudichiamo intuitivamente, e ne siamo coscienti, siamo consapevoli dell’approssimazione della nostra valutazione. La cosa si complica quando crediamo di pensare razionalmente e così non è. Ma cos'è che ci inganna? Cosa ci portiamo dentro che ci illude di pensare razionalmente, quando in realtà così non è? Sono i nostri pregiudizi, in inglese biases. Il concetto di pregiudizio è molto più complesso di quanto non sembri. Non si tratta solo dei pregiudizi che tutti noi inevitabilmente abbiamo su persone, luoghi, squadre di calcio, colori, numeri e chi più ne ha…peggio per lui o per lei. Questi sono pregiudizi che, tutto sommato, sappiamo perfettamente di avere e, a torto o a ragione, decidiamo di assecondare. A tutti è capitato di difendere una posizione nella quale non si credeva fino in fondo. In questi casi, si sa benissimo che stiamo sostenendo un nostro pregiudizio, cercando di corredare il nostro discorso con qualche espediente pseudo-razionale da sofistelli più o meno capaci. La cosa si complica, e di molto, quando i nostri pregiudizi inquinano pensieri e giudizi che riteniamo assolutamente immuni da condizionamenti. I pregiudizi cui qui si fa riferimento, agiscono a livello inconscio e lavorano sulla nostra capacità di razionalizzare. Si tratta di resti del nostro percorso evolutivo, quando la rapidità di lettura di una situazione era più importante di un’approfondita comprensione della stessa. Capite bene che, per chi cerca di fare della razionalità lo strumento principale del leader, questi sono nemici terribili, da conoscere e sconfiggere o, per lo meno, controllare al meglio. Un buon metodo per controllare i nostri pregiudizi è sapere dove ci attaccano più spesso e preparare un’adeguata difesa.
Di seguito, provo ad elencare 3 dei più dannosi pregiudizi, cui la maggior parte dei leader (in quanto persone) sono soggetti:
1. Io sono il numero uno!
Molti leader pensano di essere assai meglio di quanto non siano effettivamente. Il loro giudizio è sempre più completo e preciso di quello degli altri. Il loro ragionamento è più profondo e coglie meglio il senso della situazione. Gli altri sono più approssimativi e superficiali e non sanno vedere quella specifica cosa, che a loro appare chiarissima e indiscutibile. Si sentono superiori alla media. Perché? Perché è fondamentale avere un rapporto di fiducia in se stessi. È una condizione imprescindibile per il soggetto, che la usa per differenziarsi dal resto mondo e attribuirsi un’importanza esclusiva e superiore. È una declinazione dell’istinto di sopravvivenza, attraverso il quale ci “vogliamo bene” ed evitiamo istintivamente pericoli e dolori, andando alla ricerca di piacere e benessere. Come può un/a leader arginare questo pesante pregiudizio? Coltivando un sentimento complesso come l’umiltà. La nostra corteccia cerebrale ci fornisce gli strumenti più adeguati per razionalizzare i nostri comportamenti e bloccare le intemperanze ancestrali. L’umiltà non è solo un comportamento, è un pensiero complesso che un/a leader deve coltivare per se stesso/a. Gli/le consentirà di collocarsi fuori dalla perenne gara con gli altri, per incorporare tutto quanto gli/le proviene dall'esterno e incrementare il livello delle sue performance.
2. Se mi dà ragione mi piace ed è intelligente!
Sin da bambini abbiamo bisogno di conferme, e da adulti non è diverso. Non risparmiamo il nostro risentimento, se non addirittura l’odio, verso le persone che ci contraddicono. Ecco perché essere contraddetti, per alcuni leader, è un’esperienza terribile e destabilizzante. “Ma come fa a non capire che ha torto e che io ho ragione?” Il loro pregiudizio, in questo caso, non solo lavora “contro” qualcuno, come nel punto precedente, ma a favore di qualcun’altro. E di chi? Ma di chi gli/le dà ragione, ovviamente. I leader affetti da questo pregiudizio maturano una naturale simpatia e stima per coloro che la pensano come loro. Tendono a circondarsi di persone che vedono il mondo da una prospettiva simile alla loro. Di contro, isolano ed emarginiamo le persone che la pensano diversamente. È un pregiudizio molto penalizzante, perché non favorisce nessuna crescita, in quanto esclude qualsiasi confronto produttivo e costruttivo. Come può un/a leader razionalizzare il desiderio di conferma? Mettendo, sistematicamente, in crisi chi conferma le sue idee. Un/a leader deve abituarsi a chiedere sempre una spiegazione del perché qualcuno gli/le esprime il proprio consenso, non accettandolo auto-compiaciuto/a. Un/a leader che chieda a chi la pensa come lui/lei di spiegare perché la pensa in quel modo, potrebbe scoprire di essere in errore. Sentire qualcuno, diverso da se stessi, sostenere le proprie argomentazioni, pone il/la leader nella situazione di dover ascoltare e capire, quindi, di cogliere le eventuali debolezze del ragionamento. È un po’ come per le parolacce. Quando le diciamo ci sentiamo legittimati dalla situazione, ma quando le sentiamo ne cogliamo tutta volgarità.
3. È tutto negativo!
C’è poco da fare, tendiamo sempre a ricordare più spesso le esperienze negative e spiacevoli, che quelle serene e gioiose. E se ricordiamo quest’ultime, spesso lo facciamo con malinconia per il tempo passato, così, giusto per non regalarsi mai una gioia. Tra una buona notizia ed una cattiva, l'attenzione del/la leader sarà certamente catalizzata dalla cattiva notizia. Le sue energie si moltiplicano, insieme all'ansia e al timore, in presenza di un problema o di una negatività. Il “negativo” lo/la spaventa, ma ne è anche un po’ affascinato/a. Un/a leader con questo approccio stende sempre un velo cupo negli ambienti nei quali si presenta. Anche perché è terribilmente contagioso. Spesso è sufficiente un contrattempo per modificare l’umore e influire negativamente sul proprio operato. Un/a leader razionale distingue i fatti negativi dalla negatività tout court. Non si sente immerso/a in un acquario di negatività, dal quale ogni bolla non può che esplodere e tirar fuori problemi. Gli accadimenti spiacevoli sono una delle evenienze della giornata e della vita in generale, ma non hanno il monopolio. Un/a leader razionale isola gli eventi e ragiona sulle cose che ci sono da fare, non sulle priorità dettate dai problemi. Scrollarsi la negatività non è cosa semplice, ma può aiutare la condivisione e il coinvolgimento. Quando ad affrontare una questione spinosa si è insieme e l’approccio è volto a trovare una soluzione, il problema non svanisce, ovviamente, ma il clima è di focalizzazione e concentrazione, non di inutile negatività.
Il tema della presa di coscienza dei propri pregiudizi è spinoso e complesso e merita molta attenzione e autoanalisi. Chiaramente, i pregiudizi inconsci sfuggono a qualsiasi controllo, ma una razionale auto-consapevolezza aiuta il/la leader a non accettare passivamente i propri automatismi psicologici, che si presentino "travestiti" da motivazioni razionali.