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La formalizzazione del pensiero e gli effetti sulla comunicazione ad uso dei leader
Grazie a Daniel Kanheman sappiamo che è pura illusione considerarci esseri esclusivamente razionali e privi di condizionamenti quali, per esempio, i nostri pregiudizi. Eppure, la nostra razionalità rimane la condizione per il progresso e lo sviluppo della nostra specie.
Il gap temporale tra pensiero e linguaggio sfugge alla nostra coscienza
Quindi, è possibile mediare tra il nostro intuito e la nostra razionalità a (parziale) vantaggio di quest’ultima, altrimenti non potremmo spiegarci nulla di tutto ciò che utilizziamo quotidianamente e che rappresenta la base tecnologia della nostra vita. Poco conta se non saremo mai al 100% razionali, sappiamo che questo è impossibile e quindi sarebbe irrazionale porselo come obiettivo. Inoltre, il nostro intuito è un alleato insostituibile nelle decisioni veloci e con scarse informazioni. Se la premessa è vera, un leader non può che essere un soggetto che lavora per esprimere al meglio la propria natura razionale. A tal proposito, vorrei parlare della comunicazione linguistica (quindi escludendo tutta la comunicazione non verbale), mettendo in relazione la velocità del nostro pensiero logico con il mezzo espressivo che lo veicola, ossia il linguaggio. Il campo è molto interessante, perché mette in crisi apparente i criteri di pensiero veloce e di pensiero lento di Kanheman, in un contesto nel quale la razionalità e l’intuito, sempre intesi nell'accezione “pensiero lento” vs “pensiero veloce”, arrivano quasi a sovrapporsi. Ma andiamo ad esplorare il tema. Vi siete mai chiesti come sia possibile che riusciate in un tempo minimo, ben al di sotto del minuto secondo, a pensare una frase di senso compiuto e a pronunciarla? Vi siete mai chiesti come sia possibile che linguaggio e pensiero viaggino (apparentemente) alla stessa velocità, quasi come se pensare una frase e pronunciarla fosse un’unica operazione? Formuliamo prima un pensiero e poi lo traduciamo in linguaggio o il pensiero non è completamente formulato e si completa mentre chiudiamo la stringa di parole che stiamo pronunciando? Se applicassimo alla lettera la famosa raccomandazione “pensa prima di parlare”, vivremmo in un mondo in cui la comunicazione tra esseri umani andrebbe ad una velocità ridicola e moriremmo tutti di noia prima di riuscire a chiedere “scusi, che ora è?”. Il gap temporale tra pensiero e linguaggio sfugge alla nostra coscienza. Sappiamo cosa stiamo per dire, ma, al contempo, è come se lo sentissimo per la prima volta. Siamo “posseduti” dai nostri pensieri che sembrano uscire sotto forma di linguaggio, al di fuori del nostro controllo.
I processi logici attraverso l’fMRI (functional magnetic resonance imaging)
Sino a qualche decennio fa si era certi che linguaggio e pensiero fossero due cose distinte e che temporalmente venisse prima il pensiero. In altre parole, si riteneva che fosse possibile pensare, anche senza linguaggio. Poi si è rivista questa teoria e si è giunti alla conclusione inversa, ossia che pensiero e linguaggio fossero indistinguibili, anzi che il pensiero dipendesse dal linguaggio. Oggi esistono metodologie avanzate che stanno esplorando quali zone del cervello umano si azionano durante l’utilizzo del linguaggio e/o durante i processi logici attraverso l’fMRI (functional magnetic resonance imaging), vedremo che se ne trarrà. Intanto, nell'attività quotidiana, per un/a leader è fondamentale capire come tenere sotto controllo ciò che dice, per esprimersi dicendo esattamente ciò che intende dire. Cominciamo col porci questa domanda: “io parlo per pensare o penso per parlare?” Se siete particolarmente reattivi durante una conversazione e, mentre parlate, componete il vostro pensiero, appartenete alla prima categoria. Se, invece, siete meno impulsivi e costruite il pensiero che andrete ad esporre prima nella vostra mente e poi lo trasformate in una frase, allora appartenete alla seconda categoria. Il gap temporale con il quale separate il pensiero dal linguaggio determina il vostro stile di comunicazione e quindi di leadership. Non è detto che più si è pronti nel parlare e più si è “intellettualmente veloci”, così come non è detto che chi si prende più tempo per formulare una frase è più riflessivo e razionale. La relazione pensiero-linguaggio è determinata anche dalla qualità dell’interazione con il nostro interlocutore. Ci sono persone che in una situazione di dialogo serrato rallentano il ritmo del loro rapporto pensiero – linguaggio, ma se sono chiamati a tenere un discorso davanti ad una platea, che non può interagire, diventano molto più spigliati e veloci. Al contrario, esistono persone che mantengono un livello di conversazione molto serrato e spedito nel dialogo, ma che davanti ad una platea rallentano e scandiscono molto bene ciò che dicono. Il linguaggio è la forma sensibile della nostra razionalità. È il modo con il quale formalizziamo il nostro pensiero. “Formalizzare” significa, appunto, dare forma, ossia rendere intellegibile a tutti i contenuti che intendiamo comunicare. La lingua che parliamo, così come la matematica, sono linguaggi, quindi modalità di formalizzazione.
C’è chi parla per pensare e chi pensa per parlare
Attenzione, la formalizzazione verbale non è una modalità certa di trasferimento di contenuti univoci ed inequivocabili, è “solo” lo strumento con il quale diamo forma ai nostri pensieri. Quindi, una cattiva formalizzazione compromette il valore e il significato del contenuto formalizzato. Ecco perché un leader deve metodicamente lavorare sulle proprie capacità di formalizzazione del pensiero, per rendere la sua comunicazione verbale razionale e comprensibile. Come abbiamo già detto, esistono due modalità di gestione spontanea del rapporto pensiero – linguaggio: c’è chi parla per pensare e chi pensa per parlare. Se parlate per pensare, probabilmente avete l’abitudine di pensare a voce alta e mentre vi ascoltate mettete a punto le vostre idee. Siete persone fatte per lavorare in team e amate avere un interlocutore per spiegargli quel che, in realtà, state spiegando a voi stessi. Mentre interagite, create e mettete in ordine i vostri pensieri. Qual è il limite di questa impostazione? Quella che la vostra interazione con gli altri è solo strumentale. Vi piace ascoltarvi perché è fondamentale per formulare le vostre idee. In realtà, non siete particolarmente interessati a cosa dicono i vostri interlocutori, basta che interagiscano con la modalità di “stimolatori” dei vostri pensieri e della vostra creatività. Non siete particolarmente propensi a farvi interrompere mentre parlate, e non per una questione di bon ton, ma perché temete che s’interrompa la corrente positiva che genera le vostre idee. Chi parla per pensare non riesce ad ordinare le idee da solo, convoca riunioni per poter esercitare le proprie funzioni cerebrali. Formalizza il pensiero mentre lo genera, quindi è spesso costretto a revisioni e ripensamenti. Pensate per parlare? Allora, è probabile che siate una persona che, tendenzialmente, preferisce prendere le decisioni da solo e propone sempre soluzioni già confezionate. Per voi l’interazione con la vostra squadra è un momento d’ufficializzazione delle vostre decisioni. Non essendo portati per un confronto creativo in tempo reale, se qualcuno solleva un argomento a vostro parere valido, questo causa un aggiornamento della riunione. Avete bisogno di ragionarci e ri-formalizzare il vostro pensiero. Anche per voi l’interruzione è tendenzialmente negativa. La vivete come un’inutile perdita di tempo, tanto la decisione definitiva l’avete già elaborata, quindi, cedere la parola a qualcuno significa correre il rischio di dover ri-formalizzare il vostro pensiero. Chi pensa per parlare, raramente rivede le proprie decisioni. Esistono una serie di tecniche per razionalizzare la modalità comunicativa dei leader e renderla più equilibrata, con l’obiettivo di rendere la squadra parte integrante del processo decisionale. Un leader, per definizione, non è un solista ed è bene ricordarselo tutte le volte che si inizia a comunicare con i propri collaboratori.