Giuseppe Andò

Founder Starter

La corretta mediazione tra intelligenza emozionale e razionale per C-level ed Executive

2019-06-11 09:03:45

Il dibattito sull'efficacia, anzi, sulla stessa esistenza dell'intelligenza emozionale, coinvolge fior di studiosi ed è dirimente su come impostare un corretto percorso di coaching, in particolare per manager C-level ed Executive.

Edwin A. Locke

Oggi voglio proporvi il pensiero del professor Edwin A. Locke (Dean’s Professor Emeritus of Leadership and Motivation at the R.H. Smith School of Business at the University of Maryland, College Park). Per i pochi che non lo conoscessero, il professor Locke è il papà della teoria del gol setting. Questo studioso ha evidenziato che la presunta intelligenza emozionale, tanto per cominciare, non garantisce nessun comportamento migliore verso gli altri, che non possa essere adottato da una persona dotata di “semplice” intelligenza. Inoltre, il professor Locke mette in evidenza che alla base dell’intelligenza emozionale c’è un grossolano equivoco tra intelligenza e attenzione. Il processo di focalizzazione sui propri comportamenti è solo un tema relativo a dove stiamo canalizzando la nostra osservazione, che può essere parimenti indirizzata verso il mondo esterno come quello interiore (io percipiente). Quindi, per leggere e comprendere le altrui emozioni è sufficiente prestare attenzione agli altri. È tutto drammaticamente molto semplice. C’è poi il tema della sottile distinzione delle emozioni. Una persona intelligente sa distinguere, per esempio, tra gelosia e invidia, in quanto ha elaborato un sistema sofisticato di identificazione semantica e concettuale tra termini utilizzati dalla massa in modo indistinto. Per qualcun altro i valori potrebbero essere invertiti. Questo aprirebbe il grande tema dell’uniformazione concettuale dei termini di cui e con cui si nutre l’intelligenza emozionale. Se provassimo a trasportare il tema in ambito numerico, significherebbe essere in disaccordo sul valore numerico delle singole cifre, non so se mi spiego.

Sentirsi in sintonia con gli altri può, al massimo, essere una sensazione

Una delle condizioni cardine perché un sistema formale (qualsiasi tipo di linguaggio) funzioni è che sia logicamente univoco e universalmente riconosciuto. Il professor Locke si è spinto oltre nella sua critica all'idea di diverse intelligenze. Ha intravisto, per esempio nell'operazione di Howard Gardner, un obiettivo socio-politico. In effetti, l’idea che esistano diverse intelligenze distruggerebbe l’idea stessa d’intelligenza, a favore di chi, non ritrovandosi nei canoni tradizionali del concetto d’intelligenza, potrebbe sempre appellarsi ad un’altra intelligenza a lui più congeniale. Insomma, dice Locke, è il tentativo di screditare l’intelligenza “tradizionale” a favore di una distribuzione di diverse intelligenze più “democratiche”. L’idea è che siamo tutti intelligenti, ognuno con una sua specifica intelligenza, tra le otto identificate da Gardner. Un’altra questione è quella relativa alle nostre reazioni istintive ed emotive che sono l’espressione del nostro subconscio e, pertanto, sfuggono ad ogni controllo intelligente. Soprattutto, non possono essere elevate a strumenti di valutazione e giudizio della realtà esterna. Si torna al tema dell’equivoco concettuale dei termini. Le emozioni si possono assomigliare, ma di fatto appartengono alla nostra più profonda, personale, unica e irripetibile natura psicologica e sono il frutto di stratificazioni successive che non ci consentono di dipanare “intelligentemente” il nostro “sentire” interiore e, tanto meno, quello degli altri. Sentirsi in sintonia con gli altri può, al massimo, essere una sensazione, ma mai uno stato logicamente dimostrabile. Noi non possiamo ragionare con le emozioni, ma riguardo alle emozioni. Nel 2002 Goleman, insieme a Boyatzis e McKee, pubblica Primal Leadership: Realizing the Power of Emotional Intelligence (Leading with Emotional Intelligence), con l’obiettivo di estendere la zona d’influenza della teoria dell’intelligenza emozionale alla leadership. Il libro gira attorno alla solita idea che l’intelligenza emozionale sia la base di tutto, anche della leadership. La leadership primaria dipenderebbe da quanto i leader siano capaci di creare resonance, ossia un impatto emotivo nella loro squadra che costituisca un serbatoio di positività (reservoir of positivity).

 Caratteristiche dell’intelligenza emozionale

Quindi, la squadra non si unisce attorno ad argomenti e logiche, ma prende forma solo in base al clima emotivo che il leader ha saputo creare. Il libro cita una serie di studi neurologici e di ricerca sull'origine psicologica della leadership, tutti piegati alle esigenze dell’intelligenza emozionale. Secondo Goleman e gli altri il “vero” leader ha le “tipiche”(?) caratteristiche dell’intelligenza emozionale e ne sa gestire le specifiche competenze, che sono:

  • Un’autovalutazione obiettiva di sé stesso
  • Sicurezza e autostima
  • Caratura morale (integrità, ecc.)
  • Adattabilità e flessibilità
  • Motivazione
  • Iniziativa e autoefficacia
  • Capacità e consapevolezza organizzativa
  • Customer service
  • Uso delle tattiche di persuasione
  • Sviluppo delle capacità dei propri collaboratori
  • Avvio del cambiamento
  • Gestione dei conflitti
  • Team building
  • Uso dell’humor

A queste “poche” caratteristiche (esclusive dell’intelligenza emozionale?) si aggiungono gli stili di leadership “tipici” (secondo Goleman) sempre dell'intelligenza emozionale:

  • Essere visionari
  • Avere la capacità di coaching
  • Essere aggregatori (affiliative)
  • Essere democratici
  • Essere pionieri e precursori (pacesetting)
  • Comandare

Nella lista onnicomprensiva di Goleman manca un’attività fondamentale: capire!

Come giustamente fa osservare il professor Locke, non si capisce cosa non sia parte dell’intelligenza emozionale. Qualsiasi attività minimamente di buon senso sembrerebbe appartenere al dominio dell'intelligenza emozionale. Ovviamente, non esiste nessuna argomentazione razionale a sostegno di questa teoria (per forza, altrimenti che intelligenza emozionale sarebbe!). Eppure, dalla lista onnicomprensiva di Goleman manca un’attività fondamentale: capire! Goleman salta a piè pari tutti gli aspetti che riguardano le caratteristiche intellettuali della leadership. Sembrerebbe ignorare che i leader di società volte al profitto devono rivolgere la loro attenzione non solo al loro interno, ma anche all'ambiente esterno, quello nel quale competono. Il lavoro di squadra, cui i leader sono tenuti, deve concretizzarsi in attività che concernano il successo dell’organizzazione e non la realizzazione di autoreferenziali obiettivi di “stile”. C’è una chiara confusione tra gli obiettivi autentici e le modalità di ottenimento degli stessi, trasformando le modalità in obiettivi. In questo modo, gli interrogativi “emozionali” attorno al miglior modello di leadership escludono temi e interrogativi quali:

  • In che direzione deve andare l’azienda?
  • Che ruolo devono giocare le diverse funzioni aziendali?
  • È preferibile un’organizzazione divisionale o funzionale?
  • Come s’inserisce la strategia aziendale nel quadro più ampio della visione aziendale?
  • Come si possono integrare al meglio i diversi processi aziendali?
  • Come si concilia la strategia di crescita con l’integrazione dei progressi tecnologici in azienda?
  • Come definire o ridefinire il proprio vantaggio competitivo?
  • Come migliorare il proprio cash flow?
  • Come ridurre le inefficienze produttive?
  • Come aumentare i profitti?
  • Come ricondurre l’analisi dei profitti alle linee di prodotto e/o alle linee di distribuzione?
  • Come pianificare gli investimenti strategici in ricerca e sviluppo?
  • Come razionalizzare al massimo la logistica?
  • Come stabilire le priorità aziendali?
  • Come conciliare le priorità di breve termine con quelle di medio-lungo?
  • Che modello si deve adottare per giudicare i migliori talenti in fase di assunzione?
  • Come valorizzare le migliore risorse aziendali?
  • Come fidelizzarle?
  • Come definire e diffondere i core values dell’azienda?

La nostra guida è e rimane la ragione.

Nessuno di questi argomenti, peraltro non esaustivi, ha cittadinanza esplicita nel “mondo emozionale”, eppure si tratta di tematiche che garantiscono al leader e ai membri della sua squadra l’accesso ai grandi temi di gestione, per i quali è essenziale l’intelligenza. Ognuno dei punti precedenti può essere esploso in una serie di sotto-temi che racchiudono livelli crescenti di complicazione e difficoltà. Ha senso immaginarsi un leader totalmente concentrato sulla sua crescita empatica e non sull'analisi delle sue capacità intellettive? Ma, soprattutto, perché le due cose devono essere vissute come diverse e appartenenti a due intelligenze diverse (magari tra le otto proposte da Gardner)? La nostra guida è e rimane la ragione. Possiamo essere perfettamente analitici e, al contempo, preoccuparci di ottenere il consenso degli altri nel pieno rispetto delle loro sensibilità. Possiamo concentrarci sulle priorità che la missione aziendale ci impone senza rinunciare a promuovere un ambiente creativo e stimolante. Nessuno vuole come leader un automa freddo e asetticamente razionale, anche perché sarebbe un pessimo leader. È dalla misurata alchimia emergente tra razionalità ed emotività che un leader realizza il proprio ruolo. La leadership si esprime come capacità di controllare e indirizzare le proprie energie, attraverso un consapevole uso della propria ragione, relazionandosi con la spinta propositiva dei componenti della propria squadra.

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