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L'importanza del leader teorico
Vorrei parlarvi della leadership alla luce della "Teoria Della Teoria". No, non vi sto prendendo in giro, anzi, vi sto parlando di una delle tesi più avanzate nell'ambito delle scienze cognitive.
I maggiori esponenti di questa teoria sono Gopnik e Meltzoff, i quali sostengono che i processi di sviluppo cognitivo nei bambini sono simili, forse addirittura identici, ai processi di sviluppo cognitivo degli scienziati. Non che questi autorevoli studiosi pensino che i bambini siano piccoli scienziati, ma, piuttosto, che gli scienziati siano dei bambini grandi. In pratica gli scienziati e i bambini sarebbero dotati dello stesso insieme di potenti e flessibili dispositivi cognitivi. Esattamente, cosa intendono sostenere? Che il bambino non si relaziona con la realtà secondo uno schema discontinuo, fatto della semplice associazione di cose a nomi (dimensione semantica), ma cerca d'inserire i "fatti" in un più ampio contesto teorico, che sia coerente e logico. Cerca, cioè, di inserire la singola esperienza in un quadro teorico più ampio, nel quale trovi "cittadinanza logica" l'intero accadere fenomenologico. Esistono test ed esperimenti straordinariamente illuminanti sul tema, che qui non cito, ma che potrete trovare agevolmente su internet.
Personalmente, ritengo che questa teoria sia estendibile a tutte le forme più sofisticate di "pensiero adulto" e non solo a quello scientifico. Se è vero che esiste un'analogia tra il comportamento degli infanti e quello degli scienziati, è altrettanto vero che tutti gli adulti cercano, in qualche modo, di dare un ordine alla realtà che li circonda, per ottenere un quadro di riferimento logico, che spieghi ciò che accade dentro un sistema coerente di leggi. Nella vita di tutti i giorni, il nostro quadro teorico può essere approssimativo e generico, ma quando siamo chiamati ad interpretare un ruolo specifico, del quale dovremo rendere conto, il quadro teorico cui ci ispiriamo deve avere una certa solidità.
Questo è il caso del leader.
E' alquanto inutile elencare le solite doti del leader (coerenza, integrità, ecc.), sperando che un manager aderisca ad un modello ideale, solo spinto da una sorta di convincimento emotivo. Un leader deve costruirsi un riferimento teorico che risulti solido e convincente, innanzitutto per lui/lei. Deve attivare una dinamica che è, in certa misura, scientifica. Deve formulare ipotesi e sottoporle a verifica, deve maturare un pensiero critico circa le sue capacità di relazione con la squadra e figurarsi scenari alternativi a quelli che sperimenta quotidianamente. E' un processo razionale che si dipana in una forma analoga a quella di un'indagine scientifica.
Chiaramente, il risultato finale non avrà nessun tenore scientifico, ma a noi interessa la metodologia, cioè lo sviluppo cognitivo. Una volta che il leader avrà costruito la sua teoria della leadership, cercherà di adeguare i suoi comportamenti alla teoria che lui/lei stesso/a avrà disegnato. La coerenza e l'integrità dipenderanno dalla volontà del leader di essere coerente con la sua stessa teoria. Si tratta di un processo impegnativo di rielaborazione della propria visione iniziale, a favore di una più sofisticata teoria. In questo senso, il lavoro di un coach è quello di un "partner di pensiero" che stimola una riflessione critica continua, a favore di una produzione teorica che sia sempre più confacente al raggiungimento degli obiettivi che il leader si sia posto.
La motivazione del leader scaturirà dall'urgenza di uniformare teoria e pratica, con il coinvolgimento anche della componente emotiva, che sarà la risultante del desiderio di verificare concretamente la bontà della propria teoria, nella stessa misura in cui uno scienziato, a fronte del suo metodo scientifico (quindi, logico-razionale), non rinuncia all'entusiasmo di veder concretizzato ciò che ha elaborato a livello intellettuale.