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Il rito di passaggio del leader razionale
Una delle attività superiori, cui è deputata la corteccia cerebrale, è l’autocoscienza, ossia il livello più alto di consapevolezza.
A secondo del palcoscenico sul quale ci troviamo, recitiamo una parte o un ruolo
La nostra specie non solo ha sviluppato la capacità di percepire il mondo esterno e di relativizzarlo a se stessa, ma è in grado di oggettivare il proprio sé e di cogliersi nell'atto del pensare e del pensarlo. In altre parole, l’essere umano conosce la realtà attraverso un confronto logico con “l’alterità”, ossia tutto ciò che è altro rispetto al sé. Questo lo porta ad una sorta di alienazione, dalla quale ritorna in sé per ritrovarsi e cogliersi in una sintesi superiore. Ad un livello di minore complessità, possiamo dire che tutti noi ci auto-osserviamo e cerchiamo di rendere coerente l’idea che maturiamo su noi stessi con i comportamenti che abbiamo nel quotidiano. Il problema è che la nostra coerenza crolla di fronte al variegato mondo delle nostre personalità. Sì, perché ognuno di noi si esprime attraverso una serie di comportamenti, ordinati secondo i criteri di più di una personalità. Non c’è da stupirsi, né da temere di essere affetti da disturbo da personalità multipla. La cosa è in parte spiegata dalle diverse situazioni ambientali con le quali interagiamo. Si può dire che, a secondo del palcoscenico sul quale ci troviamo, recitiamo una parte o un ruolo. Se siamo in famiglia, agiamo e ci comportiamo coerentemente con la parte che ci sembra meglio interpretare il nostro ruolo di padre, di madre, di figlio/a, di nonno/a, ecc. Mentre, se siamo con gli amici, o le amiche, “entriamo” in un’altra parte e interpretiamo un altro ruolo.
I riti di passaggio da uno stato socio-culturale ad un altro
La premessa è importante, perché ci introduce al tema della corretta interpretazione del ruolo del leader. Quando si dice “entrare nella parte”, si intende mettere in atto tutti quei meccanismi consci attraverso i quali pensiamo e ci comportiamo coerentemente con il ruolo che andiamo ad interpretare. Quando un chirurgo entra in sala operatoria e indossa il camice per operare, non si sta limitando ad ottemperare ad una doverosa procedura igienico–sanitaria, sta effettuando un vero e proprio rito di conscia interpretazione di un ruolo. Nel profondo del semplice gesto di indossare una divisa, c’è la ritualità di un passaggio da uno stato ad un altro. In antropologia la cosa è ormai nota da più di un secolo grazie ad Arnold Van Gennep e si riferisce ai riti di passaggio da uno stato socio-culturale ad un altro. Per esempio, pensate al battesimo, alla circoncisione, al conferimento di un diploma o di una laurea. Un rito di passaggio è una formalità (stricto sensu), non “con la quale”, ma “attraverso la quale” si passa da uno stato precedente ad uno successivo. Tutto il processo di immedesimazione avviene con riferimento a noi stessi, ma, anche e soprattutto, con riferimento agli altri. È un messaggio visibile, con il quale dichiariamo al mondo che stiamo uscendo dal nostro ruolo disimpegnato di semplici persone, per entrare in quello specifico per il quale e con il quale ci caratterizziamo professionalmente. Basta anche strisciare il badge per l’ingresso al lavoro. Tutto questo, per un leader, è di straordinaria importanza. Non si tratta di assumere una sciocca espressione da persona “importante”, si tratta di far scattare nella propria mente una modalità di pensiero e di interazione con gli altri che condizioni e caratterizzi il proprio ruolo. Un leader non è facilitato da un rito esteriore, come quello del camice per un chirurgo o della toga per un giudice, tutta la ritualità si esprime a livello interiore e si rivela nei comportamenti con i propri collaboratori e la propria squadra.
Entrare nella parte del leader
L’abito mentale del leader deve essere indossato con una presa di coscienza dettata dalla volontà e la determinazione. Con il tempo, da auto – condizionamento dettato dalla sola forza di volontà, diventerà un rito che si attiverà spontaneamente. Quando arriverà sul posto di lavoro, il leader si abituerà a ricoprire quel ruolo con tutto ciò che lo stesso comporta per sé e per gli altri. Non è casuale che l’etimologia del termine “abitudine” sia “abito”. Si tratta, infatti, di “indossare” ripetutamente un comportamento, che, come un vestito, nel tempo prenderà sempre meglio la forma del leader, diventando naturalmente aderente alla sua natura. Se essere logici in ogni momento della nostra vita è impossibile (e seriamente sconsigliato), esserlo, il più delle volte, quando si è chiamati ad interpretare il proprio ruolo di leader, diventa fondamentale per tutto l’universo di attività che il leader svolgerà da solo e con gli altri. Nel tempo, avrà imparato a conoscere e riconoscere i moti psicologici che lo condizionano, avrà imparato a gestire le emotività degli altri e saprà giudicare con la giusta distanza razionale le situazioni. Si sarà abituato a prendere decisioni condivise, a fidarsi degli altri e a valorizzarli. In breve, avrà imparato ad “entrare nella parte del leader”.