Giovanni Sivolella

Founder Junior

Nobel 2018: "Così abbiamo capito come battere il cancro"

2018-12-08 08:24:45

A Stoccolma, sul podio il texano James Allison e il giapponese Tasuku Honjo. Che hanno scoperto come attivare il nostro sistema immunitario contro i tumori. E cambiato la storia della guerra al cancro

STOCCOLMA. Quando il texano Jim Allison, sorriso aperto sulla faccia tonda e sorniona, i capelli lunghi come un vecchio cantante country, e quella parlata strascicata a cui ci hanno abituato i Bush - mentre dice che "accidenti" dovrà pagare le tasse sui soldi degli svedesi-, e Tasuko Honjo, sottile, immobile, elegante, la testa inclinata come in un perenne rispettoso omaggio sono saliti sul palco del Nobel Forum al Karolinska Institutet per spiegare al mondo perché il prossimo 10 dicembre riceveranno dalle mani del re di Svezia il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia, si è visto plasticamente che la scienza o è universale o non è.
"E' un premio molto opportuno", dice Allison senza falsa modestia, "basta vedere i successi nella terapia di un male come il melanoma che usa il nostro check point". "Il lavoro di entrambi è stato complementare, come quello degli altri studiosi al lavoro sui check point", annuisce Honjo un po' più ecumenico.

Due scienziati così diversi, frutto di tradizioni accademiche così diverse, che si erano incontrati un paio di volte per caso prima di arrivare qui, eppure giunti alle medesime conclusioni; ad aprire, ognuno per suo conto, una nuova potentissima strada per combattere il cancro. Hanno capito che ci sono dei meccanismi molecolari che impediscono al nostro sistema immunitario di fermare un tumore, e che se si rimuovono questi blocchi si può tentare di arginare la malattia. Concetto complesso che l'Accademia di Svezia riassume con questa motivazione: "I Premiati hanno mostrato come diverse strategie capaci di inibire i freni del sistema immunitario possano essere usate nelle cure contro il cancro”. E Honjo commenta: "Questa è la strada più potente ora. Ogni speranza è plausibile. Ora: in futuro vedremo".

Scomparirà il cancro dal pianeta? E' la domanda che sembra obbligatorio porre a che vince il premio Nobel. "Alcuni tumori sono ormai curabili. Ma il cancro sarà sempre con noi", taglia corto il texano. Quello che possiamo dire, ragiona Honjo è che da qui a trent'anni arriveremo a curare il tumore, e poi a curarlo ancora quando si ripresenta, e poi ancora".
Allison e Honjo snocciolano alchimie immunitarie, cascate di dati su cascate molecolari: con le questioni tecniche se la cavano meglio che non con le domande epocali. E' l'eleganza della scienza blasonata. Che ha una magia irresistibile, che scalda il cuore, portatrice com'è di una visione del mondo che oggi non piace: universalità, condivisione, rigore, trasparenza, ma anche eleganza e sobrietà. E i malati che stanno meglio, a dimostrare che questi valori hanno un'interfaccia più che concreta.

Oggi la conosciamo, è la immunoncologia, che è già realtà per molte patologie neoplastiche (il melanoma, il polmone, il rene e non solo), la quarta gamba della guerra al cancro, ma fino a qualche anno fa l'idea di usare il nostro sistema immunitario per fermare la malattia era un'utopia di pochi visionari in giro per il mondo che per decenni avevano lavorato intorno a questa idea, con diverse formule. Per primo ci aveva pensato il vecchio Steven Rosenberg nei suoi laboratori del National Cancer Institute a Bethesda, usava una strada del tutto diversa da quella percorsa oggi, ma il pioniere dei pionieri era stato lui che non ha mai avuto successo. Mentre camminava, invece, l'idea di Allison e Honjo e ci sono ormai migliaia di malati che vivono oltre il cancro grazie ai farmaci nati da lì. Anche se, racconta Allison: "Ci sono voluti anni per convincere un'industria a investire per portare in clinica la mia scoperta". Ma, scuotono entrambi la testa: "Mai pensato di lasciar perdere".

I successi dell'immunoncologia , e di certo gli entusiasmi che ha suscitato tra gli oncologi, sono tali che da qualche anno si aspettava che lo sguardo dell'Accademia si posasse sui cosiddetti checkpoint, gli ingranaggi molecolari che lasciano passare il cancro. Anche se, sorridevano gli addetti ai lavori, cercando di spegnere i nostri entusiasmi: l'Accademia ha tempi lunghi, è troppo presto perché premino i pionieri dell'immunoncologia. E invece quest'anno è accaduto.

Ma l'Accademia fa politica. E anche quest'anno non è venuta meno. Premiando le nuove armi contro il cancro, gli uomini e le donne del Karolinska hanno voluto dire due cose ai governi: innanzitutto che la ricerca e la scienza sono le uniche armi contro il grande male; e quindi che lasciare queste armi nelle mani della ricerca privata, come sta accadendo un po' ovunque coi tagli alla ricerca nelle pubbliche istituzioni, significa abdicare a un dovere fondamentale degli stati nei confronti dei cittadini.
Non è vero, sembrano dire gli accademici scandinavi, che la medicina è oggi appannaggio delle aziende e va avanti per i fatti suoi. Allison e Honjo sono due accademici che hanno pensato nei loro laboratori e avuto idee che poi, certamente, è toccato alle aziende sviluppare per far diventare farmaco; ma è nei liberi laboratori accademici che vengono le idee che cambiano il mondo: non c'è alternativa.

E poi, come corollario, il secondo messaggio ai governi: le terapie importanti e innovative ci sono, la guerra si può combattere e persino vincere, qualche volta: a nessuno venga in mente di negare i farmaci ai malati perché costano troppo o sono troppo complessi da maneggiare. I due player, governi e industrie, trovino una partnership virtuosa, è il monito del Nobel 2018: non c'è alternativa.

Fonte: Repubblica.it