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Storia & Antichità

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Buje monede false - (Buja moneta falsa)

2019-04-15 22:09:42

Grande Guerra, nel Friuli rimasto senza una lira proliferarono i buoni di cassa.

Dal 1917, per fronteggiare i piccoli pagamenti quotidiani furono emessi titoli convertibili in lire italiane.

Nella mitologia popolare friulana è rimasta “la monede false di Buje”, citata persino nei proverbi ( “al è fals come la monede di Buje”), ma pochi sanno se era davvero falsa e quando e perché fu posta in circolazione.

Per riandare a tempi e luoghi bisogna ricordare che l’invasione del 1917 aveva trasformato il Friuli e il Veneto orientale in una “terra di nessuno” sotto il profilo monetario: sembrava che con i profughi fossero fuggite anche le lire e difficoltosi o impossibili divennero i piccoli pagamenti quotidiani.

In grave difficoltà vennero a trovarsi i Comuni, e due fra essi, Buja e Udine, decisero di ricorrere all’emissione dei “buoni di cassa”.

Il Comune di Buja, che per il 1918 prevedeva un grave deficit, il 15 dicembre 1917 decise l’emissione di un prestito di lire 50 mila, in buoni convertibili in lire italiane entro sei mesi dall’armistizio e con l’impegno del Comune di garantirne la conversione. I titoli di Buja, emessi su autorizzazione del Comando germanico, furono stampati a San Daniele dalla Tipografia Tabacco in tagli da centesimi 20 e 50, e di lire 1 e 5. Numerati progressivamente, erano validi soltanto se sul verso recavano le firme del Commissario Luigi Canciani, del cassiere Gio Batta Piemonte e il timbro del Comune.

Entrarono in circolazione buoni per 18 mila 400 lire, che furono gradualmente ritirati e rimborsati. Stando alla relazione stilata dal sindaco, il 21 novembre 1918 rimanevano vive carte per un valore facciale di lire 7 mila 340,50.

Il Comune di Udine decise di emettere buoni di cassa per le ragioni chiaramente esposte nella Relazione di Giuseppe Orgnani Martina, sindaco di Udine dal 10 maggio all’8 novembre 1918, stampata dopo la guerra: “Il Comitato cittadino aveva provveduto alle spese incontrate dal 5 novembre 1917 al 30 aprile 1918, ammontanti a lire 148 mila 426, e si era apparecchiato a far fronte alle spese avvenire nel seguente modo: con un debito, senza interessi, di lire 77 mila 638, 81 verso il Governo Austriaco, con un altro debito di lire 30 mila al 4% verso il Proprio Presidente A.

Nimis; infine con un prestito interno (…) di lire 400 mila in “buoni di cassa” del Comune. Di quest’ultimo lire 260 mila erano state emesse dal Comitato, le altre attendevano di essere ultimate secondo le norme stabilite; delle prime 260 mila soltanto lire 60 mila circa erano state messe in circolazione».”

Non era la prima volta, nella storia friulana, che si ricorreva a una moneta convenzionale o di necessità. Basterebbe ricordare la “moneta ossidionale” emessa nel 1848 a Palmanova, a esempio, e forse qualcuno ricorderà i miniassegni che, negli anni Settanta del Novecento, venivano emessi dalle nostre banche per far fronte alla scarsità di spiccioli.

Anche le forze di occupazione avevano problemi monetari, e ai primi di gennaio del 1918 decisero di istituire la Cassa Veneta dei Prestiti, che aprì una sede a Udine nel Palazzo della Banca d’Italia. Emise buoni di cassa da centesimi 5, 10, 50, e da Lire 1, 2, 10, 100, 1. 000.

L’emissione è datata 3 gennaio 1918, ma i buoni entrarono in circolazione qualche mese più tardi, quando fu risolto il problema delle garanzie, che si rivelarono poi fittizie per il crollo dell’Impero.

Non si conosce l’ammontare esatto dell’emissione, che probabilmente superò i 200 milioni di lire.

Per avere un’idea del cambio, inizialmente fissato in 95 corone per 100 lire, possiamo ricordare che il 4 giugno 1918 il capitano Henizig versò al Comune di Udine 100 mila corone, frutto della vendita di beni mobili abbandonati, e a saldo consegnò in contanti buoni della Cassa Veneta per un totale di lire 158 mila 730, 15.

I buoni della Cassa Veneta venivano preferiti alle “monete” comunali, ma il tempo diede ragione ai Comuni, che rimborsarono al 100% i titoli emessi. I buoni della Cassa Veneta furono rimborsati dal Governo italiano al 40% del valore nominale, al quale si aggiunse un ulteriore 20%. La moneta di Buja, in conclusione, non era sola, non era falsa, non era una moneta: era un titolo di credito garantito dal Comune!