Adolescenti: istruzioni per l'uso.
"Non vogli che m guardi"
Quando la vergogna diventa una corazza
“Non voglio che mi guardi.”
📘 La vergogna come corazza
1. Quando lo sguardo diventa insopportabile
“Non voglio che mi guardi.” È una frase che molti genitori si sentono dire, spesso accompagnata da gesti di chiusura: occhi bassi, spalle curve, il corpo che si ritrae.
In superficie sembra un rifiuto del legame, un muro eretto contro la vicinanza. Ma dietro questa richiesta c’è quasi sempre la vergogna.
🔎 Approfondimento psicologico
La vergogna è un’emozione sociale: nasce dal timore di essere giudicati. In adolescenza, quando l’identità è fragile e in costruzione, lo sguardo del genitore può diventare un “giudice interiore”. Il ragazzo teme che ogni sguardo riveli difetti, errori, fragilità. Per questo lo rifiuta.
📖 Storia di vita quotidiana
Marco, 15 anni, torna da scuola e si chiude in camera. La madre lo chiama per cena, ma lui risponde: “Non voglio che mi guardi.” In realtà, quel giorno ha preso un brutto voto e si vergogna. Non vuole che la madre lo veda “fallito”. Non è un rifiuto del legame, ma un tentativo di proteggersi dal giudizio.
2. La vergogna come corazza
La vergogna funziona come una corazza. L’adolescente la indossa per proteggersi dal dolore del giudizio.
Rifiutare lo sguardo diventa un modo per difendersi: “Se non mi guardi, non puoi scoprire che non sono come vorresti.”
🔎 Approfondimento psicologico
La vergogna si distingue dalla colpa: la colpa riguarda ciò che facciamo (“Ho sbagliato”), la vergogna riguarda ciò che siamo (“Io sono sbagliato”). Per questo è così dolorosa: mette in discussione l’identità stessa.
📖 Storia di vita quotidiana
Sara, 13 anni, evita di cambiarsi davanti alla madre. Dice: “Non voglio che mi guardi.” Sta vivendo i cambiamenti del corpo e teme di essere giudicata. La madre, se insiste, rischia di aumentare la vergogna. Se invece accoglie con calma, trasmette sicurezza.
📝 Esercizio pratico per genitori
- Scrivi tre frasi che usi abitualmente quando tuo figlio si chiude.
- Chiediti: queste frasi aprono o chiudono il dialogo?
- Prova a trasformarle in frasi accoglienti, ad esempio:
- Da “Non fare così” → a “Capisco che ti senti a disagio.”
- Da “Non c’è motivo di vergognarsi” → a “Ti vedo, e ti accetto.”
3. Il genitore che trasforma lo sguardo
Il compito del genitore non è forzare lo sguardo, ma trasformarlo.
Non uno sguardo che pesa, che giudica, che mette pressione.
Ma uno sguardo che sostiene, che accoglie, che dice: “Ti vedo, e ti accetto.”
🔎 Approfondimento psicologico
Lo sguardo ha un potere enorme: è il primo strumento di comunicazione tra genitore e figlio fin dalla nascita. In adolescenza, però, lo sguardo può diventare invasivo. Il genitore deve imparare a modulare: non fissare, ma o