Dr.ssa Napolitano

Adolescenti: istruzioni per l'uso.

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Adolescenti: istruzioni per l'uso.

Autolesionismo adolescenziale

2023-02-01 18:38:42

Quando tagliarsi e farsi del male fa star meglio

Non ne vorremmo parlare. Eppure tacere sull'autolesionismo è il primo errore. Sempre più ragazzine, ragazzi e giovani donne si tagliano braccia e gambe. O si provocano piccole ustioni o bruciature di nascosto. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa che da anni studia e affronta i disagi che portano all'autolesionismo


Non è un disturbo marginale. In Europa, pratica lā€™autolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti. Sono dati inquietanti, frutto di una meta analisi basata su molti studi sullā€™argomento che hanno coinvolto la popolazione in generale. In Italia, però, la situazione non è migliore, anzi. «Prima della pandemia da Covid-19 la fotografia italiana riguardo allā€™autolesionismo rispecchiava questi dati europei, in particolare per gli adolescenti i casi interessavano circa il 17% dei giovani».

«Dopo il lockdown e le varie restrizioni, però la situazione è fortemente peggiorata. Dal 2020 al 2021 si è assistito a una crescita del +10%, in particolare tra gli adolescenti. Adesso si stima che lā€™autolesionismo interessi circa il 27% dei ragazzini»


Perché sono così tanti quelli che si tagliano

Forse dovremo scrivere perché sono così tante quelle che praticano lā€™autolesionismo. Anche per questo problema, infatti, le donne hanno ā€œvintoā€ il primo premio. «Sicuramente il sesso femminile è un fattore di rischio, ma anche tra i ragazzi lā€™autolesionismo non suicidario è molto diffuso. In parole più semplici, ci si fa male non con lo scopo o lā€™intento di arrivare a togliersi la vita (meno male! ndr).

Ma perché provocarsi del dolore aiuta a stare meglio» chiarisce la professoressa Borroni. Lā€™autolesionismo, in pratica, aiuta a gestire un disagio. A tenerlo sotto controllo. «Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, lā€™autolesionismo non suicidario compare come disturbo mentale autonomo, che necessita di ulteriori studi» spiega la professoressa Serena Borroni. «È anche vero, però, che il provocarsi dolore o ferite è un sintomo trasversale, comune ad altri problemi psicologici».

Lā€™autolesionismo come valvola di sfogo

Tagli, punture, bruciature di sigarette. Ma anche sbattere la testa contro il muro. O sfregarsi la pelle fino a farla sanguinare. Sono queste le strade più comuni percorse da chi sceglie di darsi dolore, fino ad arrivare al sanguinamento o a serie echimosi. «Provocarsi una lesione permette di provare una sensazione di sollievo. Soprattutto in chi vive un profondo disagio, come la rabbia, la tristezza, una forte ansia, una tensione interiore. O comunque un disagio cognitivo emotivo» chiarisce la psicologa clinica e psicoterapeuta. Si prova sollievo dalla sofferenza interiore, grazie al sanguinamento o al dolore che ci si è inflitti. Ma come è possibile? «Si sposta il disagio dal piano emotivo e psicologico a quello fisico e lo si fa in modo consapevole. Quindi è come se in qualche modo si riuscisse a gestire quel malessere, che porta a compiere azioni di autolesionismo» .

Può nascere una dipendenza

Il fatto che lā€™autolesionismo provochi sollievo è uno stimolo a ripetere lā€™azione, anche se poi le braccia si ripieno di taglie e ferite. Nel momento in cui si vive un forte disagio interiore, ciò che fa stare meglio viene subito praticato. Pure se ā€œil meglioā€ è finire al Pronto Soccorso. «La tendenza a ripetere i gesti di autolesionismo, alla lunga, può provocare una vera e propria dipendenza, perché certi comportamenti diventano lā€™unico modo che la persona ha nellā€™alleviare la propria sofferenza psichica»


A volte si comincia per curiosità

A volte, si comincia a farsi del male per imitazione. Soprattutto tra i giovanissimi capita che unā€™amica lo faccia e, magari, ci si taglia solo per provare la stessa sensazione che prova lei. Oppure perché si è visto qualche video sul web. O ancora peggio perché si è deciso di partecipare a qualche ā€œchallengeā€ online. «Se lā€™episodio di autolesionismo è unico, e magari il ragazzo o la ragazzina lo raccontano spontaneamente ai genitori, si può considerare non patologico.  Se, però, si ha la sensazione che non sia il primo o lā€™ultimo, allora è bene fare molta attenzione e rivolgersi a uno psicologo, in grado di affrontare questo problema» conclude la psicologa sociale.

Attenzione a questi campanelli dā€™allarme

Maglie e pantaloni lunghi, sempre. Anche in estate. Braccia e gambe costantemente coperte. Lividi che compaiono senza un motivo. Rifiuto di frequentare piscine, palestre o altre situazioni dove si deve esporre il proprio corpo. Possono essere questi i primi segnali da non trascurare se si teme che il proprio figlio o la propria figlia pratichi lā€™autolesionismo. «I ragazzi tendono a nascondere il problema, perché mettono in atto una strategia disfunzionale che però a loro risulta utile per sentirsi subito meglio» .

«Se oltre ai segnali precedenti, lā€™adolescente ha un cambiamento nello stile di vita, è molto più introverso sta, ancora più del solito, chiuso in bagno o in camera, allora è importante valutare la necessità di un intervento specialistico»

Lā€™autolesionismo non passa da solo

Sicuramente lā€™adolescenza è uno dei periodi più critici nella vita di una persona. Ma non si può confinare lā€™autolesionismo a uno dei tanti cambiamenti che avvengono nel passaggio dallā€™età puberale a quella adulta.

Lā€™approccio cambia in base a vari fattori, primo fra tutti la gravità delle lesioni che ci si provoca. Perché, se è vero che lā€™intento di chi pratica autolesionismo non è quello suicidario, è anche vero che, spesso, si arriva a farsi molto male.

Vi ricordo che se avete bisogno del mio aiuto potete conattarmi tramite form


by dr.ssa Maria Teresa Napolitano
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