Adolescenti: istruzioni per l'uso.
Autolesionismo adolescenziale
Quando tagliarsi e farsi del male fa star meglio
Non ne vorremmo parlare. Eppure tacere sull'autolesionismo è il primo errore. Sempre più ragazzine, ragazzi e giovani donne si tagliano braccia e gambe. O si provocano piccole ustioni o bruciature di nascosto. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa che da anni studia e affronta i disagi che portano all'autolesionismo
Non è un disturbo marginale. In Europa, pratica lāautolesionismo circa il 17,2% degli adolescenti, il 13,4% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 13,5% degli adulti. Sono dati inquietanti, frutto di una meta analisi basata su molti studi sullāargomento che hanno coinvolto la popolazione in generale. In Italia, però, la situazione non è migliore, anzi. «Prima della pandemia da Covid-19 la fotografia italiana riguardo allāautolesionismo rispecchiava questi dati europei, in particolare per gli adolescenti i casi interessavano circa il 17% dei giovani».
«Dopo il lockdown e le varie restrizioni, però la situazione è fortemente peggiorata. Dal 2020 al 2021 si è assistito a una crescita del +10%, in particolare tra gli adolescenti. Adesso si stima che lāautolesionismo interessi circa il 27% dei ragazzini»
Perché sono così tanti quelli che si tagliano
Forse dovremo scrivere perché sono così tante quelle che praticano lāautolesionismo. Anche per questo problema, infatti, le donne hanno āvintoā il primo premio. «Sicuramente il sesso femminile è un fattore di rischio, ma anche tra i ragazzi lāautolesionismo non suicidario è molto diffuso. In parole più semplici, ci si fa male non con lo scopo o lāintento di arrivare a togliersi la vita (meno male! ndr).
Ma perché provocarsi del dolore aiuta a stare meglio» chiarisce la professoressa Borroni. Lāautolesionismo, in pratica, aiuta a gestire un disagio. A tenerlo sotto controllo. «Nel DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, lāautolesionismo non suicidario compare come disturbo mentale autonomo, che necessita di ulteriori studi» spiega la professoressa Serena Borroni. «È anche vero, però, che il provocarsi dolore o ferite è un sintomo trasversale, comune ad altri problemi psicologici».
Lāautolesionismo come valvola di sfogo
Tagli, punture, bruciature di sigarette. Ma anche sbattere la testa contro il muro. O sfregarsi la pelle fino a farla sanguinare. Sono queste le strade più comuni percorse da chi sceglie di darsi dolore, fino ad arrivare al sanguinamento o a serie echimosi. «Provocarsi una lesione permette di provare una sensazione di sollievo. Soprattutto in chi vive un profondo disagio, come la rabbia, la tristezza, una forte ansia, una tensione interiore. O comunque un disagio cognitivo emotivo» chiarisce la psicologa clinica e psicoterapeuta. Si prova sollievo dalla sofferenza interiore, grazie al sanguinamento o al dolore che ci si è inflitti. Ma come è possibile? «Si sposta il disagio dal piano emotivo e psicologico a quello fisico e lo si fa in modo consapevole. Quindi è come se in qualche modo si riuscisse a gestire quel malessere, che porta a compiere azioni di autolesionismo» .
Può nascere una dipendenza
Il fatto che lāautolesionismo provochi sollievo è uno stimolo a ripetere lāazione, anche se poi le braccia si ripieno di taglie e ferite. Nel momento in cui si vive un forte disagio interiore, ciò che fa stare meglio viene subito praticato. Pure se āil meglioā è finire al Pronto Soccorso. «La tendenza a ripetere i gesti di autolesionismo, alla lunga, può provocare una vera e propria dipendenza, perché certi comportamenti diventano lāunico modo che la persona ha nellāalleviare la propria sofferenza psichica»
A volte si comincia per curiosità
A volte, si comincia a farsi del male per imitazione. Soprattutto tra i giovanissimi capita che unāamica lo faccia e, magari, ci si taglia solo per provare la stessa sensazione che prova lei. Oppure perché si è visto qualche video sul web. O ancora peggio perché si è deciso di partecipare a qualche āchallengeā online. «Se lāepisodio di autolesionismo è unico, e magari il ragazzo o la ragazzina lo raccontano spontaneamente ai genitori, si può considerare non patologico. Se, però, si ha la sensazione che non sia il primo o lāultimo, allora è bene fare molta attenzione e rivolgersi a uno psicologo, in grado di affrontare questo problema» conclude la psicologa sociale.
Attenzione a questi campanelli dāallarme
Maglie e pantaloni lunghi, sempre. Anche in estate. Braccia e gambe costantemente coperte. Lividi che compaiono senza un motivo. Rifiuto di frequentare piscine, palestre o altre situazioni dove si deve esporre il proprio corpo. Possono essere questi i primi segnali da non trascurare se si teme che il proprio figlio o la propria figlia pratichi lāautolesionismo. «I ragazzi tendono a nascondere il problema, perché mettono in atto una strategia disfunzionale che però a loro risulta utile per sentirsi subito meglio» .
«Se oltre ai segnali precedenti, lāadolescente ha un cambiamento nello stile di vita, è molto più introverso sta, ancora più del solito, chiuso in bagno o in camera, allora è importante valutare la necessità di un intervento specialistico»
Lāautolesionismo non passa da solo
Sicuramente lāadolescenza è uno dei periodi più critici nella vita di una persona. Ma non si può confinare lāautolesionismo a uno dei tanti cambiamenti che avvengono nel passaggio dallāetà puberale a quella adulta.
Lāapproccio cambia in base a vari fattori, primo fra tutti la gravità delle lesioni che ci si provoca. Perché, se è vero che lāintento di chi pratica autolesionismo non è quello suicidario, è anche vero che, spesso, si arriva a farsi molto male.
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