Dr.ssa Napolitano

Adolescenti: istruzioni per l'uso.

Dr.ssa Napolitano

Adolescenti: istruzioni per l'uso.

adolescenza e figli adottivi

2022-05-30 17:29:12

PerchÊ per loro è piÚ difficile?

Se l'adolescenza è difficile per tutti, per i ragazzi adottati lo è di più: perché si scoprono diversi dai genitori, e devono imparare a convivere con due mondi. Facile che la tensione diventi conflitto. Ma uscirne, spiega un libro, è possibile.

Storia di Ludovico


Ludovico, adottato a tre mesi in Sudamerica, si era inserito bene in Italia.

Le prime difficoltà sono arrivate alle medie, con le aggressioni a sfondo razziale di qualche bullo.

Quando poi la famiglia si è trasferita, è andata peggio: nella nuova città Ludovico, adolescente, ha smesso di studiare, è diventato rissoso, ha iniziato a rubare in casa.

Disperati, il papà e la mamma hanno reagito con una raffica di inutili divieti. Più che la punizione, al ragazzo serviva recuperare un senso di appartenenza: rubava perché non voleva sottostare alle regole degli altri, che non sentiva sue, così come non sentiva suoi gli oggetti in casa. È finita bene, la crisi è stata superata.

L’adolescenza è il momento in cui ognuno costruisce la propria identità. In un ragazzo adottato è più complessa, perché c’è un puzzle con più tessere da inserire. 

Diventa difficile rispondere alla domanda: “Chi sono io?”, se mancano dei pezzi. Ma ancora più difficile è rispondere a un’altra domanda: “Cosa sarebbe stato di me se non…?”. Consapevole o no, alla base c’è l’idea che il destino sia dipeso da qualcun altro; dal genitore biologico che ha abbandonato.

Spesso negli adottati c’è mancanza di autostima: mi hanno lasciato perché non valevo abbastanza.

Un altro aspetto da non sottovalutare è il rapporto con il corpo che cambia. È vero che nessun teenager si piace, ma per l’adottato il percorso di accettazione è più impervio, perché implica un ulteriore passaggio: riconoscersi diversi dalla mamma e dal papà.

In questa fase di trasformazione, le tensioni crescono e non si tollerano le imposizioni.

Bisogna lavorarci, fare pace con i fantasmi del passato, legittimare definitivamente i genitori adottivi e trovare un equilibrio tra passato e presente, prima di emanciparsi e diventare autonomi.

Dobbiamo ricordare che l’adozione è una condizione con la quale fare i conti tutta la vita.

Nei momenti di snodo, come l’adolescenza, viene alla ribalta.

Ludovico voleva lavorare in un bar. Non era la strada prevista per lui, ma quando i suoi hanno capito, e hanno dato il permesso, la situazione si è tranquillizzata.

Le difficoltà però non sono solo dei ragazzi: davanti al figlio che cambia, mamme e papà si interrogano.

Hanno superato la difficoltà dell’adozione , poi dell’inserimento, sono riusciti a crescerlo nell’amore ma ecco che, quando tutto sembra andare per il meglio, si scatena la ribellione.

Si sentono inermi, sconfitti. La distanza aumenta, la crisi è dietro l’angolo. Ma spetta agli adulti gestirla, con pragmatismo. Nei rari casi di fallimento, il 3 per cento, vuol dire che ci sono stati degli errori nel percorso.

Errori


Uno, tipico, è quello della “profezia che si autoavvera”.

Siccome il figlio è brasiliano sarà sempre in strada, o se è russo berrà. Non è solo uno stereotipo. Il rischio è proiettare ansie, e sviluppare quei comportamenti che si vogliono evitare.

Ma c’è un momento, inevitabile, che spaventa chiunque. È quando un teenager urla: “Tu non sei mia madre”. «Non bisogna perdere la testa. L’unica risposta da dare è: â€œTu sei e sarai sempre mio figlio, sono il genitore giusto per te”

L’importante è che i ragazzi non siano lasciati soli a gestire emozioni così grandi. Vanno accompagnati.

Meglio, con la prevenzione.

Genitori e figli devono imparare a ri-conoscersi e a ri-scegliersi. Se si procede insieme, la complessità può diventare ricchezza. E dal conflitto, come raccontano le tre testimonianze che seguono, può emergere una nuova famiglia, più forte.

Storia di Juliette e Stephanie

â€œÈ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta”

Carolina, mamma di Juliette e Stephanie, 23 e 24 anni, sorelle peruviane

«Juliette e Stephanie sono entrate nella nostra vita quando avevano 7 e 8 anni, dopo essere passate attraverso quattro affidi familiari.

All’apparenza erano bambine solari e allegre, anche se sotto sotto restava un’insicurezza di fondo e il terrore di un nuovo abbandono che hanno portato, in adolescenza, a crisi di rabbia difficili da gestire.

Tra i 14 e i 17 anni è stata una lite continua.

Io e mio marito pensavamo che non sarebbe mai finita, invece ne siamo usciti, superando i problemi uno per volta, stando sempre lì, senza mai perdere la calma.

Eravamo pronti, sapevamo che sarebbe arrivato il momento del: “in questa famiglia non ci voglio stare”.

Il problema non era il passato in Perù, anzi, avevamo mantenuto sempre vivo il ricordo.

Il punto è che sono arrivate a casa già grandicelle, da lì all’adolescenza è stato un attimo. Alla fine il tempo ci ha dato una mano.

Ora Juliette si è laureata, mentre l’altra studia. Ma neanche nei momenti più duri ci siamo mai pentiti di aver scelto due sorelle».

Storia di Giulia

“Non ha mai fatto domande sul suo passato”

Luisa, mamma di Giulia, 24 anni, italiana

Io e Giulia in passato abbiamo avuto scontri molto duri.

Eppure ha sempre voluto che passassimo una settimana d’estate insieme da sole, senza il papà. Anche quest’anno sarà così. In fondo è rimasta adolescente; alterna sfuriate e coccole, come le ragazzine.

Ha bisogno di attenzioni.

Quando è via non mi chiama, se invece io sono fuori e non le telefono, è gelosa.

Vuole mettermi costantemente alla prova, capire fino a che punto può tirare la corda. Può tirarla quanto vuole, resterà sempre mia figlia.

L’abbiamo adottata neonata, in ospedale. Lo sa, l’abbiamo anche portata nel nido, ma non ha mai fatto domande.

Dice che sta bene così. Non ho fatto pressioni. Ha bisogno dei suoi tempi. E soprattutto del nostro amore».

Spero che queste storie vi siano piaciute e che vi abbiano fatto riflettere.

Se vi trovate in situazioni simili, da genitori oda ragazzi, contattatemi tramite form





by dr.ssa Maria Teresa Napolitano
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