Delia Di Pasquale

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I dubbi dello scienziato

2019-10-11 10:55:39

Il problema di quale debba essere considerato un comportamento eticamente corretto degli scienziati, di cosa si debba ricercare e poi rendere noto è ancora un problema attualissimo.

I dubbi dello scienziato provengono appunto dall’uso che verrà fatto delle sue scoperte. Essi sono sorti subito dopo la vicenda di Hiroshima e Nagasaki. Ci si chiede ancora oggi: di chi fu la responsabilità della strage? Che cosa sarebbe avvenuto se Fermi avesse rinunciato a sperimentare la bomba all’idrogeno? O se Truman avesse rinunciato a usarla contro i giapponesi? Di chi fu la responsabilità? Dello scienziato o del politico? Rita Levi Montalcini ha detto a Montecitorio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche e che contro la ricerca non devono esserci limitazioni e chiavistelli. Einstein, dopo la sua esperienza di ricercatore, sostenne che la responsabilità degli scienziati è quella di non mettere le proprie scoperte al servizio dell’egoismo dei potenti e che “la non collaborazione con l’industria militare dovrebbe essere un principio morale per tutti gli scienziati che s’impegnano nella ricerca”. I fatti storici dimostrano, infatti, che una scoperta che sembra interessante può produrre effetti devastanti e terribili. L’evento che dimostrò l’enorme potere della scienza e la consacrò al potere fu appunto la costruzione della bomba atomica. Questa realizzazione richiese gli sforzi organizzativi di molti scienziati che misero le proprie competenze specifiche e il proprio ingegno al servizio dei militari, consapevoli di lavorare alla costruzione di un ordigno di immane potenza distruttiva. Anche se molti aderirono al Progetto Manhattan per impedire che la Germania nazista acquisisse da sola e per prima la bomba atomica, rimango sconvolta delle parole che Fermi usa per commentare il suo lavoro a Los Alamos poche settimane dopo la strage di Hiroshima e Nagasaki: “È stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l’aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione”. Condivido invece le scelte di uno scienziato italiano, Rasetti, che rifiutò di partecipare all’impresa, nella convinzione che lo scienziato non deve impegnarsi nella progettazione di armi, e che definì disgustoso lo spettacolo dei fisici che lavoravano in laboratori militari per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra. Il clima sociale e politico, comunque, era favorevole alla bomba atomica, anche se qualche scienziato, come Teller, esprimeva dubbi e tormenti confidandosi con qualche collega: “Le cose alle quali stiamo lavorando sono così orribili che nessuna protesta né maneggio con i politici salverà le nostre anime”. Così, nonostante solo ventitré scienziati su centocinquanta fossero favorevoli all’uso della bomba atomica contro il Giappone, e fossero contrari pure notevoli esponenti del governo e dell’esercito americano, la mattina del 6 agosto 1945 la bomba esplose nel cielo di Hiroshima e tre giorni dopo a Nagasaki, e diventò da quel momento la certezza su cui l’America impostò la politica del dopoguerra. Dieci anni dopo l’esplosione di Hiroshima, il filosofo B. Russell si fece promotore presso Einstein della sottoscrizione di un Manifesto, che firmò due giorni prima di morire, in cui undici firmatari, scienziati di diversi paesi si rivolgevano ai cittadini del mondo, per chiedere metodi pacifici per risolvere i temi di contrasto tra di loro, nella consapevolezza che la bomba all’idrogeno, migliaia di volte più potente di quella fatta esplodere a Hiroshima, era ormai entrata negli arsenali delle grandi potenze. Oggi, grazie anche alla scelta di Rosetti e di altri come lui, gli scienziati sono molto più consapevoli del ruolo sociale della scienza e contribuiscono a risolvere problemi che vanno dal controllo degli armamenti convenzionali, al clima, all’inquinamento, alla medicina. Si va affermando, per fortuna, il ruolo dello scienziato come costruttore di pace, che si difende non solo evitando di costruire armi di distruzione di massa, ma anche contribuendo a risolvere i problemi prima che diventino conflitti, sviluppando cioè una tecnologia buona, volta a un uso migliore delle risorse disponibili sulla terra. A ciò ha contribuito, secondo Sciascia, uno scienziato siciliano, Ettore Majorana, dopo aver lavorato a Roma allo studio delle reazioni atomiche con Enrico Fermi.

La sua scomparsa fu, secondo Sciascia, collegata al problema della responsabilità dello scienziato di fronte all’umanità, una responsabilità troppo grande da condividere di fronte ad un progresso scientifico che poteva trasformarsi in strumento di morte. La scomparsa di Majorana è una scelta consapevole e un segnale lanciato al mondo della scienza: di fronte a certe scoperte è indispensabile fermarsi e, se necessario, sparire. 


Delia Di Pasquale