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Separazione dei coniugi: bilanciare diritto alle informazioni e diritto alla riservatezza
Premessa indispensabile: la sentenza in commento, riguarda il diritto d'accesso ai dati di un coniuge conservati presso il suo datore di lavoro, nel caso di specie una Pubblica Amministrazione. Stiamo, pertanto, parlando di una tematica - quella dell'accesso ai dati e alle informazioni in possesso della Pubblica amministrazione - molto ampia perché trasversale a tante materie, anche al di fuori del diritto amministrativo. La sentenza in commento riguarda il diritto di accesso esercitato per acquisire informazioni utili a tutelare una posizione giuridica in altro procedimento giudiziario. La fattispecie, denominata "accesso difensivo" (ossia quello "…ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici", di cui al comma 7 dell'art. 24, L. n. 241/1990 e s.m.i.), si connota come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la "necessità" della conoscenza dell'atto o la sua "stretta indispensabilità"
Nei casi in cui l'accesso riguarda dati sensibili o giudiziari, i principi di riferimento sono:
a) la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra
l'accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi
giuridici (v. art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990);
b) la titolarità del diritto in capo a tutti i soggetti privati,
compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna
ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lett. d, con formula replicata dall'art. 2, comma 1, D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184);
c) la riconducibilità delle qualità dell'interesse legittimante a
quelle ipotesi che - sole - garantiscono la piena corrispondenza tra la
situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata e i fatti (principali e
secondari) di cui la stessa fattispecie si compone (raffronto tra la
fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e
l'astratto paradigma che ne costituisce la base legale). L'interesse
legittimante all'accesso difensivo è quello che corrisponde in modo
diretto, concreto e attuale alla cura o anche difesa in giudizio di tali
predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva. Per il
legislatore, l'oggetto della situazione legittimante l'accesso
difensivo, oltre a corrispondere al contenuto dell'astratto paradigma
legale, deve essere collegato al documento al quale è chiesto l'accesso,
in modo tale da evidenziare in maniera diretta e inequivoca il nesso di
strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento
di cui viene richiesta l'ostensione, e per l'ottenimento del quale
l'accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite.
Nel quadro tratteggiato, l'obbligo di motivazione dell'istanza di
accesso difensivo si pone quale elemento indispensabile per valutarne
l'ammissibilità, anche in chiave di prevalenza rispetto a interessi
contrapposti; è infatti necessario che le finalità dell'accesso siano
dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico
nell'istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad
es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa
già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti
oggetto di prova; ecc.), così da permettere alla P.A. detentrice del
documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la
documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la
situazione "finale" controversa.
Sintetizzando gli elementi costitutivi dell'accesso difensivo (Cons. Stato, Ad. plen., sent. 18 marzo 2021, n. 4):
a) si deve escludere che sia sufficiente nell'istanza di accesso un
generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e
difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora
instaurando, poiché l'ostensione del documento richiesto passa
attraverso un rigoroso, motivato, vaglio da parte della P.A. sul nesso
di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la
situazione finale che l'istante intende curare o tutelare;
b) la P.A. detentrice del documento e il giudice amministrativo adito
nel giudizio di accesso ai sensi dell'art. 116 c.p.a. non possono (e
perciò non devono) svolgere ex ante alcuna (ultronea) valutazione
sull'ammissibilità, sull'influenza o sulla decisività del documento
richiesto nell'eventuale giudizio instaurato, poiché un simile
apprezzamento compete, se del caso, solo all'autorità giudiziaria
investita della questione e non certo alla P.A. detentrice del documento
o al giudice amministrativo nel giudizio sull'accesso, salvo il caso di
una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le
esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o
temerario dell'accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei
presupposti legittimanti previsti dalla L. n. 241/1990.
Il diritto di accesso difensivo prevale, nella comparazione degli
opposti interessi, sulla tutela della posizione dei controinteressati
all'esibizione documentale (Cons. Stato, Sez. V, sent. 18 ottobre 2021,
n. 6964). Infatti, ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso
difensivo, preordinato all'esercizio del diritto alla tutela
giurisdizionale in senso lato, e la tutela della riservatezza, secondo
la previsione dell'art. 24, comma 7, della L. n. 241/1990, non trova
applicazione il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai
dati cc.dd. sensibili e giudiziari), né il criterio
dell'indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd.
supersensibili), ma il criterio generale della "necessità" ai fini della
"cura" e della "difesa" di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal
legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza,
a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali
dell'accesso documentale difensivo (Cons. Stato, sent. 28 maggio 2021,
n. 4114).
L'istanza di accesso, anche quando difensivo, deve avere a oggetto
documentazione specifica in possesso della P.A. e non può riguardare
dati ed informazioni che, per essere forniti, richiedono un'attività di
indagine e di elaborazione da parte della stessa (Cons. Stato, Sez. IV,
sent. 29 settembre 2021, n. 6546). Per evidenti ragioni di buon senso,
l'istanza non può riguardare documenti non più esistenti o mai formati
e, laddove infatti l'esistenza del documento sia incerta o solo
eventuale o ancora di là da venire, l'azione di accesso agli atti non
può essere ritenuta ammissibile (Cons. Stato, Sez. V, sent. 7 ottobre
2021, n. 6713).
Secondo la sentenza del TAR Toscana, in genere i dati inerenti la
presenza in servizio di un dipendente pubblico non sono sensibili né
riservati e comunque la P.A. datrice di lavoro, in relazione alla
funzione e servizio svolti dal dipendete interessato e alle esigenze di
bilanciamento degli interessi, può (e perciò deve) adottare
l'oscuramento di specifiche indicazioni di luoghi delle eventuali
riunioni, missioni ecc. e delle motivazioni sottese, dovendo documentare
le date richieste coincidenti con impegni di servizio, ferie, permessi,
dando così prevalenza all'accesso. I tabulati di presenza del
dipendente pubblico possono essere forniti al coniuge separato che li
chieda per esigenze difensive.
I dati inerenti eventuali istanze di congedo parentale o altro tipo
di congedo, oppure quelle di aspettativa (retribuita o non retribuita),
di permessi retribuiti ai sensi dell'art. 33 della L. 5 febbraio 1992,
n. 104 e s.m.i. o di part-time e gli eventuali provvedimenti di
accoglimento invece non possono essere forniti. Tali documenti infatti,
ove contengano dati sensibili e attinenti alla sfera della salute, non
possono essere considerati, in alcun modo, necessari o indispensabili
alla difesa del ricorrente nei contenziosi civili e con riferimento ai
quali la pretesa all'ostensione dei documenti risulta assolutamente
recessiva nel (necessario) giudizio di comparazione di cui all'art. 24,
comma 7 della L. n. 241/1990.
Per quanto attiene infine ai profili processuali, il giudizio in
materia di accesso è rivolto ad accertare la sussistenza o meno del
titolo all'accesso nella specifica situazione, alla luce dei parametri
normativi e indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle
ragioni addotte dalla P.A. per giustificare il diniego, configurandosi
dunque come giudizio sul rapporto (come si evince dal comma 4 dell'art.
116 c.p.a.). Ciò non toglie, tuttavia, che il giudizio è modellato sullo
schema impugnatorio classico, in quanto rivolto avverso il
provvedimento di diniego o avverso il silenzio - rigetto formatosi sulla
istanza di disclosure documentale. Dalla natura impugnatoria del
giudizio in materia di accesso conseguono:
a) il carattere decadenziale del termine previsto per l'impugnazione del diniego espresso dalla P.A.;
b) l'impossibilità di reiterare l'istanza di accesso, salvo che essa
non si fondi su fatti non rappresentati nell'originaria domanda,
sopravvenuti o meno, ovvero su una diversa prospettazione dell'interesse
giuridicamente rilevante;
c) l'onere di impugnazione di eventuali atti di diniego sopravvenuti,
ove non meramente confermativi del primo diniego. (Cons. Stato, Sez.
III, sent. 6 ottobre 2021, n. 6656)
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