Cristian Aliprandi

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Tumori: come metterli “a dieta” per distruggerli più facilmente

2020-04-11 16:54:33

Parliamo ancora del microambiente che circonda le cellule tumorali e di una delle strategie per combatterle.

abbiamo viso come le cellule tumorali assorbono in modo incontrollato glucosioglutammina ed altri nutrienti dal microambiente esterno, e come questo assicuri il fabbisogno energetico e strutturale necessario alla loro proliferazione incontrollata. Non stupisce quindi che nella lotta ai tumori la ricerca scientifica abbia puntato anche a disegnare farmaci che inibiscano l’assorbimento di questi nutrienti e il loro successivo metabolismo energetico all’interno della cellula. Questa idea, avanzata sin dalla prima metà del ‘900, non si è però ad oggi concretizzata in evidenti risultati nella pratica clinica. Ciò è dovuto principalmente alla difficoltà di disegnare farmaci che blocchino il metabolismo specificamente nelle cellule tumorali: molti processi metabolici, per quanto esacerbati nelle cellule tumorali, sono utilizzati, seppur in modo più controllato, anche dalle cellule sane. Per questo motivo, molti dei farmaci disegnati in passato risultavano tossici per diversi organi. Un esempio emblematico è il 2-deossiglucosio (2DG), una molecola simile al glucosio che lega ed inibisce l’enzima esochinasi, responsabile di una delle prime fasi di processamento energetico del glucosio all’interno della cellula. Sebbene il glucosio sia esageratamente utilizzato dalle cellule tumorali, esso rappresenta anche la principale fonte di energia per quasi tutti i nostri organi, come il cervello, il fegato, il cuore e il sistema muscolare in generale. Per questo motivo, la somministrazione di 2DG in pazienti oncologici è stata interrotta dopo le prime sperimentazioni per gli elevati livelli di tossicità. I successivi sforzi della ricerca scientifica si sono quindi rivolti verso interventi metabolici più mirati alle cellule tumorali.

JHU083: bloccare il metabolismo della glutammina specificamente nel microambiente tumorale

Nel cercare di tagliare i rifornimenti alla cellula tumorale, una strada promettente è sembrata quella di bloccare l’utilizzo della glutammina. Mentre infatti il glucosio è la principale fonte di energia per la maggior parte dei nostri organi, la glutammina è invece utilizzata quasi unicamente, ed in in misura minore rispetto al glucosio, da intestino, fegato, reni e sistema immunitario. Un farmaco molto efficace nel bloccare la maggior parte degli enzimi che processano la glutammina all’interno della cellula è il DON. Questa molecola è stato testata sin dagli anni ’50 da sola o in combinazione con altri farmaci in pazienti oncologici affetti da diversi tipi di tumori, mostrando, specialmente in pazienti pediatrici leucemici, una buona efficacia nel contrastare la proliferazione tumorale. Purtroppo però ciò era associato nella maggior parte dei pazienti a forme di tossicità gastrointestinale, in linea con il fatto che la glutammina rappresenta un’importante fonte di energia e di materiali non soltanto per le cellule tumorali, ma anche per le cellule dell’epitelio intestinale.

Per risolvere questo problema, negli ultimi anni il DON è stato modificato aggiungendovi una porzione auto-inibitoria che può esser tagliata via dalla catepsina-L, un enzima proteolitico che diversi tumori producono e rilasciano nel microambiente esterno in misura significativamente maggiore rispetto alle normali condizioni fisiologiche. In questo modo, il nuovo farmaco, chiamato JHU083, verrebbe attivato principalmente nel microambiente tumorale rimanendo per lo più inattivo, a causa della porzione auto-inibitoria, negli organi sani, come l’intestino, che pur potrebbe raggiungere. In effetti, secondo i primi studi effettuati nei topi il JHU083 viene attivato soltanto in minima parte nell’intestino, non causando la tossicità associata alla versione precedente del farmaco.

Secondo uno studio pubblicato recentemente su Science, si è inoltre potuta apprezzare una significativa attività anti-tumorale del farmaco: somministrandolo a topi che erano stati precedentemente sottoposti ad iniezione sottocutanea di cellule di tumore al colon, di linfoma o di melanoma, in tutti i casi si è osservata una forte riduzione della proliferazione tumorale e un aumento della sopravvivenza, con un’eradicazione stabile della massa tumorale nel 50% di topi con tumore al colon. Ciò potrebbe essere in parte spiegato dal fatto che la somministrazione del JHU083 bloccava come atteso l’utilizzo della glutammina nelle cellule tumorali, con un conseguente significativo abbattimento della fosforilazione ossidativa, necessaria a ricaricare l’ATP, la batteria energetica della cellula. Ma c’è di più: l’abbattimento della fosforilazione ossidativa causato dal JHU083 provocava l’attivazione di AMPK, una proteina che a sua volta inibiva l’utilizzo del glucosio da parte delle cellule tumorali. Il contemporaneo blocco diretto della glutammina e indiretto del glucosio non soltanto indeboliva pesantemente le cellule tumorali, ma rendeva anche più ricco di nutrienti e meno acido il microambiente a disposizione delle cellule sane presenti intorno alla massa tumorale.

Un’inaspettata azione rinvigorente sul sistema immunitario

 Uno dei punti ai quali questo studio doveva rispondere è se il JHU083una volta attivato dalla catepsina-L presente nel microambiente tumorale avrebbe poi danneggiato non soltanto le cellule tumorali, ma anche i linfociti T, cellule del sistema immunitario che potrebbero aver bisogno della glutammina per proliferare ed eliminare la massa tumorale. Sorprendentemente lo studio ha dimostrato che a differenza delle cellule tumorali, i linfociti T del topo, pur bloccati dal JHU083 nell’utilizzo della glutammina, reagiscono aumentando la produzione delle proteine ACSS1 ed ACSS2 che consentono alla cellula di utilizzare l’acetato al posto della glutammina come punto di partenza per la fosforilazione ossidativa, riuscendo quindi ad ottenere ugualmente l’energia a loro necessaria. Questo, probabilmente insieme alla maggior disponibilità di glucosio dovuta all’inibizione metabolica delle cellule tumorali mediata dal JHU083potenziava l’utilizzo del glucosio nei linfociti T. Ciò permetteva ai linfociti di produrre più ribosio, necessario per la sintesi di nuovo DNA, ed ossalacetato, necessario per la sintesi di amminoacidi, acidi grassi ed altre macromolecole essenziali per la proliferazione cellulare. I linfociti T quindi non soltanto non risultavano danneggiati dal JHU083ma per effetti diretti e indiretti ne venivano addirittura rinvigoriti, mostrando forti segnali di proliferazione ed attivazione immunologica contro il tumore.

Questo effetto immuno-stimolante potrebbe spiegare perché i topi che dopo trattamento con il JHU083 presentavano una completa regressione della massa tumorale, risultavano protetti da una successiva ri-iniezione di cellule tumorali, pur senza risomministrare il JHU083. Una protezione probabilmente dovuta allo sviluppo, in seguito all’iniziale trattamento con il JHU083, di linfociti T memoria che dopo aver eliminato la prima massa tumorale rimanevano in vita, pronti a riconoscere ed eliminare nuove cellule tumorali prima ancora che crescessero a costituire un tumore macroscopicamente rilevabile. Un’ultima incoraggiante osservazione è stata che la co-somministrazione di un anticorpo che bloccando la proteina PD-1 protegge l’attività dei linfociti T, potenziava ulteriormente in modo sinergico l’efficacia del JHU083: mentre somministrando separatamente l’anticorpo anti-PD-1 o il JHU083 si otteneva una completa remissione dal tumore rispettivamente nello 0% e nel 10% dei casi, la co-somministrazione garantiva una completa remissione nel 90% dei casi.

Prospettive future

 Il doppio effetto metabolico e immuno-stimolante mediato dal blocco dell’utilizzo della glutammina ad opera del JHU083, e la sua sinergia con l’azione immuno-protettiva mediata dall’anticorpo anti-PD-1 incoraggiano future sperimentazioni cliniche che associno blocco metabolico della glutammina e immunoterapia nel microambiente tumorale.

Tuttavia, bisognerà innanzitutto capire quante delle osservazioni qui riportate, ottenute nel topo, saranno poi traslabili all’uomo. E’ innanzitutto cruciale confermare che anche nell’uomo le cellule tumorali non reagiscano al blocco della glutammina mediato dal JHU083 mettendo in atto strategie alternative quale il ricorso all’acetato. Bisognerà poi vedere se anche nell’uomo i linfociti T non risultino indeboliti dal JHU083, ma anzi rinvigoriti per vie dirette ed indirette al trattamento.

Riguardo la tossicità del farmaco, sarebbe importante osservare quanto l’attivazione del JHU083 mediata da catepsina-L possa avvenire davvero specificamente nel microambiente tumorale, lasciando inalterati gli organi sani. Pur essendo la catepsina-L prodotta in modo significativamente superiore nei tumori, è comunque parzialmente espressa anche in contesti fisiologici. Bisognerebbe anche considerare in maniera dettagliata se altre proteasi, in aggiunta alla catepsina-L, riescano ad attivare questo farmaco in contesti fisiologici. Un’attivazione aspecifica, anche lieve, del JHU083 con relativa tossicità non può essere esclusa a priori. In tal caso, potrebbe essere interessante mettere a punto strategie alternative per bersagliare selettivamente il tumore, come la coniugazione di questo o altri farmaci ad anticorpi che leghino proteine mutate presenti esclusivamente sulla membrana esterna delle cellule tumorali. Infine, bisognerà capire quali tumori dipendono dall’utilizzo della glutammina e quali no. Studi precedenti indicano che tumori con un aumentato numero di copie del gene c-myc dipendono spesso dalla glutammina per la propria proliferazione. Un modo diretto per capire in quali pazienti la massa tumorale consuma la glutammina in quantità anomale potrebbe consistere nel somministrare al paziente un analogo della glutammina marcato radioattivamente, per poi misurarne l’assorbimento da parte della massa tumorale tramite PET. Un elevato assorbimento di glutammina suggerirebbe, ma non dimostrerebbe, che il suo blocco potrebbe essere dannoso per quel tumore, non escludendo però che esso possa mettere in atto delle contromisure per reagire. Per quei tumori che possono fare a meno della glutammina, e che probabilmente dipendono di più dal glucosio, un approccio terapeutico potrebbe essere rappresentato dal CPI-613, un farmaco messo a punto negli ultimi anni e che dai primi studi sembra bloccare il metabolismo del glucosio selettivamente nelle cellule tumorali.

In conclusione, abbiamo visto come nel topo “mettendo a dieta” alcuni tipi di tumore li si indebolisca e si favorisca la loro eliminazione da parte del sistema immunitario. Bisogna adesso capire se e in quali pazienti questa dieta farmacologica anti-glutammina risulterà efficace. La metafora della dieta, neanche troppo forzata, ci suggerisce che piuttosto che applicare a tutti la stessa ricetta, con risultati discordanti e poco entusiasmanti, la strada più virtuosa, ma anche la più difficile, è ricamare su ciascuno, con un fine lavoro sartoriale, la dieta che più gli si addice.