Corrado Ceschinelli

Founder Starter

Non più “Terapia” ma Empatia

2019-08-26 17:43:17

Quando Carla, una psicoterapeuta, mi cerca perché tormentata dalle sue angosce di relazione, in una delle prime conversazioni mi dice: “Pensa, che alcuni miei colleghi escono a bere il caffè con i loro pazienti: inaudito!”

Molte persone arrivano da me dopo anni di terapia da uno psicologo o da diversi psicologi. Spesso, nei loro racconti, c’è tutta la drammaticità di quella che chiamo: “psicologia morta”. Quella che si traduce in interminabili sedute passive, nel terrore del “transfert”, del coinvolgimento. Con il termine “morta”, intendo “senz’anima”, senza quella visione che contempla anche la dimensione spirituale. Senza questa visione non c’è psicologia, medicina, educazione e, più in generale, vita che tenga, o che risolva radicalmente le cose. Non si offenda nessuno! Senz’altro, ognuno fa del suo meglio e, quasi sempre, in totale buona fede. Ma siamo comunque nell’esercizio dell’identità, del ruolo, della professione, e non nell’esercizio della coscienza e della consapevolezza. Nessuno nega la competenza, la titolarità istituzionale, il metodo, ma non è di questo che stiamo parlando. In quella formalità, senza la visione del processo, senza viverlo in prima persona, è molto difficile fare esercizio di empatia, di umana comprensione e condivisione, e quindi, essere di vero aiuto.

Se oggi c’è chi comincia a parlare di medicina integrata, di cambiamento, di perdono, significa che qualcuno comincia a farsi interprete di questa realtà e di questa necessità.  La visione riduttiva della realtà, la rigidità delle proprie credenze e convinzioni, non contemplano, d’emblée, l’umiltà di riflettere e di ragionare su principi, idee e osservazioni, quando queste cercano di scardinare quelle stesse credenze e convinzioni. C’è un lavoro da fare, e chi è veramente un passo avanti avrà la pazienza, la calma, e l’empatia (appunto) necessarie. Ma saprà trovare anche il modo, i contenuti e la comunicazione idonea per creare le migliori condizioni di confronto e di persuasione con l’unico scopo, non di convincere, o imporre, o sedurre, ma di stimolare una debita apertura, affinché, nella persona stessa, si avvii un processo di consapevolezza e responsabilità.   

Ricordo, quando ho avuto la fortuna di frequentare i corsi di formazione su “Riconoscere e gestire le emozioni” tenuti dalla dottoressa Erica Francesca Poli – medico psichiatra, e psicoterapeuta –  e da Diego Ingrassia – portavoce autorizzato e accreditato da Paul Ekman (psicologo statunitense, massimo esperto sulle emozioni), la cosa che mi colpì maggiormente, che mi è stata di maggiore aiuto per la mia crescita personale e professionale, è stata proprio la loro disponibilità umana e comunicativa, prima ancora della parte tecnico/metodologica. Un mix perfetto per condividere, coinvolgere e stimolare la riflessione e la visione del processo. Ancora più significativo era lo “sgomento” (ma anche l’entusiasmo) di molti psicoterapeuti presenti, nell’ammettere e riconoscere: “Qui c’è tutto da rifare! La nostra formazione non c’entra il problema nella sua essenza”. Riporto volentieri un passaggio di Erica Poli, della quale mi onora la sua amicizia: La guarigione completa passa, infatti, per la cura delle ferite psichiche e il superamento dei blocchi emozionali, degli schemi e delle credenze limitanti. Ciò che in tutte le storie, seppure diverse, di guarigioni, cosiddette straordinarie, che ho avuto modo di studiare, era sempre presente, era il cambiamento, la trasformazione e l’accettazione della malattia come messaggero, portatore di una informazione da raccogliere.” Ciò che è auspicabile sul piano della cultura del vivere, per la qualità e la durata della vita stessa, passa dalla considerazione della natura dei processi e dei fenomeni su tutti i piani, quelli più fisici, quelli psichici, quelli spirituali e la loro inseparabile connessione e interferenza. Ogni tipo di cura, terapia, non dovrebbe arrogarsi il limite della separazione e della riduzione, così come ogni terapeuta dovrebbe sempre avere una visione d’insieme, e soprattutto esserne testimone e praticante in prima persona, con una propria coerenza, con una propria responsabilità. Solo attraverso la propria crescita si creano i presupposti per l’empatia necessaria e per poter aiutare a sua volta gli altri nel loro personale cambiamento, favorendo quella guarigione definitiva che, per manifestarsi, doveva attraversare anche l’esperienza della  malattia.

Corrado Ceschinelli - www.corradoceschinelli.com

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