
Non definirmi: sto cambiando
Solo chi l’ha vissuto può capire
Paziente oncologica, con diagnosi nel 2014, frequento ogni tanto le chat dei pazienti.
Una affermazione mi colpisce, sempre, ma per rispetto evito di reagire, di rispondere. Lo faccio oggi, a modo mio, fuori da ogni contesto: non voglio offendere nessuno, ma sento il bisogno di metterci un filo di ironia.

Solo chi l’ha vissuto può capire.
Lo vedo scritto spesso, lo sento dire spesso.
La vita regala, sì, regala, momenti durissimi quasi a tutti, e chi non si trova ostacoli reali, difficoltà oggettive, spesso se le crea.
Molti hanno dimostrato che quando si tratta di imparare storia, fisica, o altre materie “scolastiche” si impara di più e meglio divertendosi. Le hard skills richiedono leggerezza per essere apprese.
Le soft skills spesso no: si impara di più, e meglio, attraverso le difficoltà.
Paradossale! Certo, ma abbastanza vero, anche se molto spannometrico.
Non impariamo a leggere se il genitore, o la maestra, ci stanno sul fiato sul collo, insistendo o sgridando. Ma impariamo ad ascoltare perché la sofferenza, la solitudine, ci inducono a prestare attenzione all’altro.
La vita insegna, spesso attraverso le difficoltà. Parafrasando Julio Velasco (non esistono cose facili e cose difficili: esiste quello che so fare e quello che non so fare) mi avventuro ad affermare che non esistono esperienze difficili e esperienze più difficili, ma esistono momenti duri che sono pronta ad affrontare e altri in cui faccio più fatica.
Ma quanto è possibile comprendere delle difficoltà di altre persone?
Domanda cosmica, a cui è impossibile rispondere, ma solo fare alcune considerazioni.
Un esempio
Prendiamo una roba dolorosa, evitando però malattie e lutti: la rottura di una relazione.
Di solito è dolorosa, a molti è successo più volte. Cerchiamo di essere onesti: è difficile che si passi tutta la vita con il primo amore, solitamente adolescenziale, ed è anche abbastanza difficili che si sia sempre quello che lascia senza soffrire. Bene. Le due volte che vi hanno lasciato sono state esperienze identiche nei minimi particolari?
Difficile, per non dire impossibile. Ci saranno state differenze di età, di esperienze vissute, di momenti della vita.
Non esistono due esperienze identiche per una sola persona, figuriamoci se possono esistere esperienze identiche per persone diverse.
Dove fissiamo quindi il punto che permette di dire “puoi capirmi perché l’hai vissuto”?
Nella diagnosi? Quanto deve essere uguale la diagnosi? Basta tumore o guardiamo il tipo di tumore? Basta dire tumore al seno o dobbiamo avere il referto istologico?
Abbiamo bisogno dei cicli di chemioterapia, il numero delle sedute di radioterapia?
È chiaro che stiamo aprendo la strada per una gara, che infatti è frequente: il mio tumore era più brutto e cattivo del tuo, io ho sofferto di più.
Cerchiamo di farci del male? Stiamo sfidando gli altri?
No. La grande assurdità è che tutte queste elucubrazioni sono inconsciamente finalizzate ad ottenere compassione. Badate bene: compassione, non pietà. Compassione è l’emozione che ha sede nel cuore, che abbraccia l’altro e desidera confortare l’altro.
Però… sì, c’è un però. La compassione, quella vera che, anche se in misura piccolissima, lenisce le ferite dell’altro nasce solo se c’è una profonda empatia.
Ed ecco il circolo vizioso, folle.
Solo chi l’ha vissuto può capire significa negare a chiunque non abbia vissuto la stessa esperienza la possibilità di comprenderla attraverso l’empatia. In fondo siamo gattini spaventati che soffiano all’umano che si avvicina per darci una carezza.