Avv. Giovanni Bonomo

Amicus Plato, magis amica Veritas.

Avv. Giovanni Bonomo

Amicus Plato, magis amica Veritas.

La nozione di “consumatore“ alla luce della giurisprudenza comunitaria

2019-03-27 18:35:02

Una sentenza della Corte di Giustizia UE precisa la nozione di “consumatore“, con riferimento alla competenza giurisdizionale in materia di contratti da questo conclusi, con due massime in diritto sull'art. 15 e sull'art. 16 del Reg. del Cons. CE n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

Corte di Giustizia dell“Unione europea, Sez. III, Sentenza 25 gennaio 2018, n. 598/16

 

Sulla nozione di “consumatore“ il nostro codice del consumo fornisce una definizione unitaria e restrittiva, identificandolo con la persona fisica che agisce per scopi estranei alla attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (1) . Viceversa, viene qualificato come ‘professionista“ sia la persona fisica, sia la persona giuridica, che agisce nell“esercizio dell“attività professionale o imprenditoriale svolta. Ma la questione è stata affrontata dalla Suprema Corte anni prima dell“emanazione del Codice del Consumo, in una sentenza dell“anno 2001 in vigenza della disciplina codicistica delle clausole vessatorie (artt. 1469 bis cod. civ. ss.), e anche a livello sovranazionale la Corte di Giustizia dell“Unione Europea ritenne essenziale il requisito della natura ‘fisica“ del consumatore (2). Questo perché l“orientamento dottrinale contrario, seguito da talune sentenze di merito, volto a porre l“accento sulle condizioni di debolezza nei confronti del professionista e a estendere la nozione di “consumatore“ anche a enti e persone giuridiche contrasta – come è stato chiarito dalla Coste costituzionale nel 2002 che dichiarò manifestamente infondata la questione condividendo la scelta del legislatore di ancorare la qualità di ‘consumatore“ all“indefettibile requisito della natura fisica del soggetto contraente - oltre che con la lettera della legge (comunitaria e interna), anche con la ratio della politica comunitaria di tutela del consumatore (3). Tuttavia il dubbio restava per quanto concerne la disciplina applicabile ai cd. ‘contratti a finalità promiscua, privata e professionale“, che è l“oggetto della sentenza in commento. Sul punto la Corte di Giustizia dell“Unione Europea venne già chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla corretta interpretazione da attribuire all“art. 13 della Convenzione di Bruxelles del 1968 e, con una sentenza del 2005, chiarì che la controparte di un contratto stipulato per finalità mista, personale e professionale, non abbia il diritto di avvalersi del beneficio delle regole derogatorie di competenza del foro del consumatore, previste dagli artt. 13-15, se non nell“eccezionale ipotesi in cui fra il contratto stipulato e l“attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta intercorra un legame talmente modesto da divenire assolutamente marginale (4) . Ad analoghe considerazioni perviene la sentenza in commento sulla questione, appunto, dei contratti a finalità promiscua, prendendo come riferimenti normativi gli articoli 15 e 16 del regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l“esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (che assorbe la precedente Convenzione di Bruxelles del 1968 avente lo stesso oggetto). La Corte precisa, anzitutto, che soltanto i contratti conclusi al di fuori e indipendentemente da qualsiasi attività o finalità di natura professionale, all“unico scopo di soddisfare le proprie necessità di consumo privato di un individuo, rientrano nel particolare regime previsto dal suddetto regolamento in materia di tutela del consumatore, in quanto parte ritenuta debole, protezione che non è giustificata nel caso di contratti che hanno come scopo un“attività professionale.  

Ne consegue che le regole specifiche di competenza di cui agli articoli da 15 a 17 del regolamento n. 44/2001 si applicano, in linea di principio, solo nell“ipotesi in cui la finalità del contratto concluso tra le parti abbia ad oggetto un uso non professionale del bene o del servizio.

Per quanto riguarda, più in particolare, una persona che conclude un contratto per un uso che si riferisca in parte alla sua attività professionale e che sia quindi solo in parte estraneo a quest“ultima, la Corte ha dichiarato, citando proprio la sentenza del 2005 che abbiamo sopra richiamato, che tale persona potrebbe avvalersi di tali disposizioni solo nell“ipotesi in cui il collegamento di siffatto contratto con l“attività professionale dell“interessato sia talmente tenue da divenire marginale e abbia, pertanto, solo un ruolo trascurabile nel contesto dell“operazione per la quale il contratto è stato stipulato, considerata nel suo complesso. È alla luce di tali principi che occorre esaminare se un utente di un account Facebook non perda la qualità di «consumatore», ai sensi dell“articolo 15 del regolamento n. 44/2001, in circostanze come quelle di cui al procedimento iniziato sulla questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE e decisa con la sentenza che qui si commenta. La questione proviene da una controversia che vedeva opposti il sig. M.S., domiciliato in Austria, e Facebook Ireland Limited, che ha la propria sede in Irlanda, in merito a domande di accertamento, di inibitoria, di rilascio di informazioni, di rendicontazione, relativamente agli account Facebook privati tanto del sig. S. stesso quanto di altre sette persone che hanno ceduto a quest“ultimo i loro diritti relativi a tali account. Ebbene, la conclusione che si legge in sentenza è che la nozione di «consumatore», in opposizione a quella di operatore economico, prescinde dalle conoscenze o dalle informazioni di cui una persona realmente dispone: ne consegue che né le competenze che l“interessato possa acquisire nel settore nel cui ambito rientrano tali servizi, né il suo impegno ai fini della rappresentanza dei diritti e degli interessi degli utilizzatori di tali servizi lo privano della qualità di «consumatore» ai sensi dell“articolo 15 del regolamento n. 44/2001. Ecco quindi la prima massima che si trova nel dispositivo della sentenza: 1. L“articolo 15 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l“esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un utilizzatore di un account Facebook privato non perde la qualità di «consumatore», ai sensi di tale articolo, allorché pubblica libri, tiene conferenze, gestisce siti Internet, raccoglie donazioni e si fa cedere i diritti da numerosi consumatori al fine di far valere in giudizio tali diritti. Alla Corte veniva sottoposta pure la questione, con riferimento sempre alla vicenda particolare del sig. S., se l“articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001 debba essere interpretato nel senso che esso non si applica all“azione di un consumatore diretta a far valere, dinanzi al giudice del luogo in cui è domiciliato, non soltanto diritti propri ma anche diritti ceduti da altri consumatori domiciliati nello stesso Stato membro, in altri Stati membri oppure in Stati terzi. A tale proposito la Corte richiama due proprie precedenti decisioni (sentenza del 19 gennaio 1993, Shearson Lehman Hutton, C 89/91, EU:C:1993:15, punti 18, 23 e 24) in cui considerava in diritto che, poiché la disciplina particolare istituita dagli articoli 15 e seguenti del regolamento n. 44/2001 è ispirata dalla preoccupazione di proteggere il consumatore come parte contraente considerata economicamente più debole e meno esperta, sul piano giuridico, della sua controparte, il consumatore è tutelato solo allorché egli sia personalmente coinvolto come attore o convenuto in un giudizio. Pertanto, l“attore che non sia esso stesso parte del contratto di consumo di cui trattasi non può beneficiare del foro del consumatore. In sostanza, le regole di competenza dettate, in materia di contratti conclusi dai consumatori, all“articolo 16, paragrafo 1 del regolamento si applicano, in conformità del tenore letterale di tale disposizione, soltanto all“azione esperita dal consumatore contro l“altra parte del contratto, il che presuppone necessariamente la conclusione di un contratto, da parte del consumatore, con il professionista in questione.

Ed ecco, quindi, la seconda massima che si trova nel dispositivo della sentenza: 2. L“articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che esso non si applica all“azione di un consumatore diretta a far valere, dinanzi al giudice del luogo in cui questi è domiciliato, non soltanto diritti propri ma anche diritti ceduti da altri consumatori domiciliati nello stesso Stato membro, in altri Stati membri oppure in Stati terzi.

Certamente tale sentenza contribuirà al riaccendersi del dibattito sulla nozione di consumatore inteso come soggetto titolare di posizioni giuridiche riconosciute a tutela del soggetto che contratta con l“imprenditore per scopi estranei alla attività professionale eventualmente svolta. Soprattutto se pensiamo al fatto che le nuove tecnologie della società dell“informazione ripropongono la necessità di tutelare soggetti (avvocati, commercialisti, promotori finanziari, medici, etc.) che stipulano contratti per beni e servizi strumentali alla professione con soggetti imprenditoriali che fanno valere contratti tipo e standardizzati (providers, rivenditori di prodotti informatici, società telefoniche,). Deve veramente ritenersi esclusa l“applicabilità delle norme a tutela del consumatore per il solo fatto che tali contratti vengono sottoscritti da professionisti? Mi sembra condivisibile l“orientamento comunitario, espresso nella sentenza in commento, che risponde di no. Avv. Giovanni Bonomo - Diritto 24

 

 

________________________________ (1) Art. 3 comma 1 D. Lgs. 6. 9.2005 n. 206. La definizione di consumatore viene inserita per la prima volta nel nostro ordinamento con il recepimento della direttiva comunitaria 93/13/CE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, attuata con la legge 6 febbraio 1996 n. 52, la quale, aggiungendo il Capo XIV-bis al Titolo II del Libro IV del Codice civile, ha introdotto la disciplina (art. 1469bis cod. civ ) sulle clausole vessatorie nei contratti tra professionista e consumatore.

(2) Corte di Giustizia UE, sent. del 22.11.2001 (cause C-541/99 e 542/99).

(3) Corte Costituzionale, ordinanza 22/11/2002 n.469.

(4) Sentenza del 20 gennaio 2005, Gruber, C 464/01, EU:C:2005:32, punto 39.

 

 

 

 

 

 

Fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/2018-03-16/la-nozione-consumatore-luce-giurisprudenza-comunitaria-113403.php