A tavola con gli dei

La via del ben-essere

“La ricetta dello stare”

2021-10-05 20:28:03

𝑺𝒆 𝑫𝒊𝒐 𝒂𝒗𝒆𝒔𝒔𝒆 𝒗𝒐𝒍𝒖𝒕𝒐 𝒄𝒉𝒆 𝒔𝒆𝒈𝒖𝒊𝒔𝒔𝒊𝒎𝒐 𝒍𝒆 𝒓𝒊𝒄𝒆𝒕𝒕𝒆, 𝒏𝒐𝒏 𝒄𝒊 𝒂𝒗𝒓𝒆𝒃𝒃𝒆 𝒅𝒂𝒕𝒐 𝒍𝒆 𝒏𝒐𝒏𝒏𝒆.(𝑳𝒊𝒏𝒅𝒂 𝑯𝒆𝒏𝒍𝒆𝒚)...e talvolta "i nonni".

Ci sono momenti che segnano la nostra crescita, i nostri passaggi... alcuni di questi hanno a che fare con una ricetta, un pasto, un cibo speciale... e sono quelli che poi, a distanza di tempo, sono quelli che oltre ad averci emozionato ci hanno trasmesso un mondo, un insegnamento, un nuovo modo di vedere la vita.

“Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri”
(Lev Tolstoj)

Sarà che da poco abbiamo festeggiato la festa dei Nonni… ma sono certa che molto del mio rapporto con il Cibo e con la Cucina lo devo a loro.

Il 2 ottobre stavo per l’appunto pensando a questo, quando ho preso tra le mani una vecchia foto di mia nonna Elisa intenta a lavare i piatti.

Adoro quello scatto. Lo tengo sempre sul comodino. Credo glielo abbia fatto mamma per immortalare quel momento in cui si intravedeva tutta la carica energetica e la soddisfazione dopo il pranzo domenicale.

Nonna era una di quelle Donne di un tempo dalle braccia forti ed energiche. I suoi pranzi erano memorabili e facili da ricordare, non soltanto perché erano molto buoni, ma anche e soprattutto, perché si articolavano sempre con il susseguirsi delle solite portate: Brodo con le pallotte, Pasta al forno, Pollo con le patate, Peperoni arrosto con il baccalà, Insalata. Quando era la stagione giusta aggiungeva i Carciofi ripieni o le Melanzane ripiene.

Non era un Menù particolarmente lungo, ma ogni piatto della tradizione aveva la sua particolarità e richiedeva un tempo, piuttosto lungo, di elaborazione.  

Nonna non chiedeva aiuto in cucina. Ricordo che l’unica cosa che mi insegnò nella pratica fu lo “sminuzzamento” del prezzemolo: in un bicchiere di vetro mi metteva l’erba aromatica lavata e con delle forbici in acciaio mi chiedeva di renderlo a pezzetti piccolissimi. Per i Peperoni arrosto aggiungeva anche uno spicchio di aglio.

Era una sorta di rito per me aiutarla in quella procedura. Quando ero piccola ne andavo fiera. Da adolescente era l’occasione per poterla osservare da vicino.

Nonna Elisa non insegnava. Se glielo chiedevi ti dava gli ingredienti delle sue ricette con un “q.b.” di fianco a ciascun nome e tu alla fine ti ritrovavi che per fare i suoi biscotti, sapevi solamente che ci andavano: uova, olio q.b., zucchero q.b., sambuca q.b., farina q.b.

A cucinare devo dire che mi insegnò, anni dopo, mio nonno Giuseppe. Ero andata a vivere con lui dopo il primo anno di università. Nonna era morta da poco, io stavo cercando casa a Pescara e così decisi di trasferirmi con lui a Ripa Teatina. Non ci conoscevamo. In realtà Nonno Peppino non lo conosceva quasi nessuno. Era sempre stata Nonna a fare da tramite. Anche quando si litigava.

Ricordo nitidamente loro due a letto che parlavano fitto fitto nel cuore della notte. Nonna diceva che “gli faceva la spiega”, ossia gli faceva notare tutto quello che durante il giorno non era andato come lei avrebbe voluto. Tutte le circostanze in cui lui non si era comportato bene. Nonna Elisa era soprannominata la Carabiniera e quando venne a mancare lasciò un vuoto grande: nei nostri cuori e nella relazione con il marito.

Nonno era un contadino. Aveva lavorato la terra fin da giovanissimo e anche allora, ottantacinquenne, continuava a prendersi cura del suo orto. Diciamo che gli veniva meglio amare le piante di pomodoro piuttosto che i bambini o i ragazzi in genere. Con loro ci parlava e aveva trovato il giusto modo di comunicare. Ogni estate il raccolto dava la risposta a tutte le sue energie.

Trovarci insieme, sotto lo stesso tetto fu un trauma. Credo che lo fu per entrambi. Io ero una “cittadina”, un’adolescente che stava cercando di capire cosa fare da grande e lui un uomo burbero abituato a parlare per terza persona. Ci vollero anni prima che sentissi pronunciare il mio nome. Per diverso tempo io rimasi “quella”.

Il Cibo fu la via. Studiavo vicino Teramo, in un paesino dal nome Mosciano Sant’Angelo e ogni giorno, come pendolare, uscivo la mattina presto e rientravo per cena. Nonno mi aspettava di fronte al caminetto. In silenzio. Con la cena pronta. A volte la televisione accesa faceva da sottofondo…

“Non cucinava tanto per fare”. Nonno era stato cuoco sotto le armi. Cucinava per i caporali, i tenenti, i sottotenenti… gli uomini importanti della sua sezione. Li aveva conquistati cucinando una pasta con il sugo di agnello, mi raccontava… e da allora non era più tornato a combattere. O per lo meno, fin quando non fu mandato in guerra. Nonostante il racconto fosse un po’ confuso nei dettagli, nei fatti Nonno era bravo. Preparava per me l’Agnello cacio e ovo, la Trippa, lo Spezzatino con le patate, la Verza con i fagioli, la Bieda con le patate, i Cacigni… e poi, dulcis in fundo la Zuppa di verdure e ditalini. Quel piatto è rimasto epico per me. Lo definirei la Ricetta dello Stare. Non voleva grandi ingredienti, ma due erano fondamentali e preziosi: il tempo e la pazienza.

Quando voleva rendermi felice Nonno preparava per me quel piatto: un brodo concentrato di verdure e di affetto (direi oggi).

Ci ho provato tante volte a realizzarlo a mia volta, ma non mi è mai riuscito. Veramente credo che ciò che lo rendesse speciale fosse l’energia e l’intento con cui Nonno lo realizzava.

Una pentola d’acqua fredda, una costa di sedano, un pomodorino, una patata, una carota, una foglia di bieda, mezza cipolla. Fiamma bassissima. Il tempo era quello necessario ad ottenere 3 piatti di minestra dai 3 litri di acqua di partenza. La pazienza di saper stare. Aspettare.

Poco sale, una manciata di parmigiano grattugiato, olio a crudo e l’eccellenza era servita. Quando nelle sere d’inverno tornavo e trovavo quella coccola, ogni pensiero di dileguava. Ancora oggi, quando sento il bisogno di prendermi cura di me e di trasformare uno stato d’animo, seppur con un risultato diverso, riprovo quel piatto, richiamo quel momento, ricontatto quell’energia.

E tu, che ricetta proporresti a te stessa e a noi per trasformare i tuoi stati d’animo?

Se hai voglia di condividere la tua esperienza, entrare in contatto con me, inviarmi un feedback, scrivi pure una mail a [email protected]!

Giulia Di Sipio, laureata in Viticoltura ed Enologia, diplomata in Counseling Relazionale Mediacomunicativo, specializzata in Counseling Gastronomico concepisce il Cibo come una fonte di nutrimento olistica e uno strumento di lavoro su sé stessi: attraverso il processo alchemico che avviene in cucina, l’uomo sperimenta, trasforma, crea…e potenzia le sue abilità, la gestione delle risorse, la capacità di organizzazione, il problem solving.