Alessia Lenoci

Founder Junior

“Xolo”, che bella sorpresa quel western nella Puglia desolata

2020-04-16 12:30:35

Condivido con voi, con grande gioia e orgoglio, la bellissima recensione pubblicata su l'Espresso di Xolo, il film di cui sono produttrice e aiuto regia.


In fondo a quel pozzo di San Patrizio che sono le piattaforme streaming ogni tanto luccica qualche gemma inattesa. E inedita. È il caso di questo esordio “maledetto” scovato rovistando nel catalogo Amazon Prime senza arrendersi alle proposte più ovvie. Si intitola “Xolo”, come il cane da combattimento che accompagna nella loro fuga i protagonisti, pretesto e insieme pilastro metaforico del film. Lo ha diretto un quarantenne che dopo aver vissuto a Zurigo, Città del Capo e in Messico girando video musicali e documentari, è tornato nella sua Puglia per fare questo “on the road” feroce e sensuale. Lontano anni luce da logiche e estetiche dominanti nel cinema italiano, ma nutrito da una consapevolezza, visiva e narrativa, rara.

Tolto il cane i personaggi sono solo quattro, tutti interpretati da attori che vengono dal teatro, dal circo o dal teatro di strada, dunque dotati di facce vere e corpi vibranti, felicemente lontani dagli standard a cui siamo abituati. Una ragazza selvatica tenuta quasi in schiavitù dal suo amante-padrone (Angela Neiman e Raimondo Brandi); un giovane bracciante francese («ma dei paesi baschi») che se ne innamora e la rapisce insieme al cane (Baptiste Eliçagaray); un ghignante killer-filosofo che pensa e parla ma non uccide (Marco Tizianel).

Prima dei personaggi però viene il paesaggio, fotografato con maestria da Raffaello Di Leo. Una Puglia desolata e desertica fatta di pompe di benzina, come quella in cui lavora Rosa, campi di pomodori, strade sbrecciate, casolari abbandonati. Non fosse un noir, percorso dagli echi più vari (da “Ossessione” di Visconti a “I giorni del cielo” di Malick), sarebbe un western. Un western contemporaneo che canta l’impossibilità dell’amore e il trionfo della sopraffazione, con la complicità delle vittime, in un mondo dominato dai rapporti economici e di potere. Dietro la sceneggiatura c’è una storia vera, liberamente rielaborata dal regista. Ma a rendere lo sguardo di Valentino così affilato e poco “italiano” (è un complimento) è anche l’insolita miscela tra quei dialoghi scarni ma densi e l’impianto visivo secco e potente.

Girato in totale indipendenza con un budget di appena 30.000 euro, selezionato da diversi festival (in Italia si è visto a Bari), è una piccola rivelazione. Che per vederlo si debba ringraziare Amazon invece è un piccolo mistero.


Fabio Ferzetti su l'Espresso