Alessia Lenoci

Founder Junior

Parlando di Overshoot Day

2019-07-29 15:00:57

In tanti, quest'oggi, "viralmente" abbiamo condiviso articoli sull' Earth Overshoot day, un giorno che determina ogni anno la fine delle risorse disponibili della Terra e l'inizio dello sfruttamento di risorse non ancora rigenerate. Quest'anno ci siamo arrivati in anticipo. ,

Per calcolare quando cade l'Overshoot Day esiste il Global Footprint Network, un’ organizzazione di ricerca internazionale che si avvale di un indicatore noto come l’Ecological Footprint, ossia l’impronta ecologica, in questo caso mondiale.


Ovviamente esiste per ognuno di noi un'impronta ecologica, che determina il nostro impatto sull'ambiente attraverso le azioni quotidiane che svogliamo.


Io ricordo che a scuola, penso fossero le medie, ci fecero disegnare un grande piede, da dividere con tutte le attività che sfruttano le risorse della terra. 

Ricercando in rete adesso mi rendo conto che calcolare l'impronta ecologica, sia singola che di una popolazione, è cosa molto più elaborata e meno banale. 

Infatti, questo indicatore misura la “porzione di territorio” di cui una popolazione (o una famiglia, un individuo) necessita per produrre in maniera sostenibile tutte le risorse che consuma e per assorbirne i rifiuti. Per calcolare quest’impronta bisogna innanzitutto suddividere le categorie di consumo della comunità in indagine, in modo che sia più facile valutare la richiesta di terreno necessario per la produzione tipica di ogni singola categoria.

Le categorie di consumo utilizzate sono: alimenti, abitazioni, trasporti, beni di consumo e servizi. Ognuna di queste categorie sforna prodotti che comportano una precisa impronta ecologica. 


Insomma, un calcolo non di poco conto. Quello che forse però è più interessante per noi sapere è che dagli anni 60 ad oggi la'umanità ha raddoppiato la propria capacità di consumi e corre verso un'impennata senza precedenti. 


Nella condizione economico-sociale di iper-consumo in cui ci troviamo oggi, sembra proprio che l’unica soluzione possibile possa essere la “regressione”, un ritorno alle origini che preveda il ripristino delle condizioni di biodisponibilità degli scorsi decenni, ricreando l’equilibrio tra produzione, consumo e rigenerazione delle risorse naturali. Ma allora cosa possiamo fare per cambiare le cose? A questo proposito Serge Latouche, professore di Scienze Economiche all’Università di Paris-Sud, in Francia, ed esponente di riferimento del movimento altermondialista, ha elaborato una sua propria tesi che ha battezzato le “8 R della decrescita”, che partendo dalle storiche 3 R (Recupero, Riciclo, Riuso), evolvono verso una visione più completa del problema, per intravedere una soluzione possibile.

Le azioni indispensabili alla cosiddetta decrescita sono:

  • Rivalutare (i valori come l’altruismo, la cooperazione, il locale, ecc.),
  • Ricontestualizzare (attraverso la concezione della differenza tra ricchezza e povertà secondo le risorse, per non trasformare abbondanza in scarsità),
  • Ristrutturare (le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita),
  • Rilocalizzare (ovvero consumare i prodotti locali, per lo sviluppo sostenibile di una economia locale),
  • Ridistribuire (garantire a tutti l’accesso alle risorse naturali per un’equa distribuzione della ricchezza),
  • Ridurre (l’impatto sulla biosfera),
  • Riutilizzare (riparare ciò che è rotto, trovandone un nuovo uso e allontanando l’abitudine dell’usa-e-getta),
  • Riciclare (per ridurre lo spreco e i rifiuti).


La domanda è: siamo pronti a regredire e decrescere "felicemente"?