Alessia Lenoci

Founder Junior

La storia di Shubhendu: «Così creo foreste, in soli tre anni, ovunque e al costo di uno smartphone»

2020-10-27 11:51:37

Shubhendu Sharma ha abbandonato il suo lavoro alla Toyota per migliorare il mondo. Così ha deciso di sviluppare Afforestt, un progetto innovativo e open source per sviluppare foreste in soli tre anni. Anche nel giardino di casa. E tutto è nato grazie a un incontro speciale.

«The damage done to the Earth is repairable». Ovvero, non è mai troppo tardi per rimediare ai nostri errori. Questa è la visione che guida Afforestt, il progetto portato avanti da Shubhendu Sharma, indiano, poco più che trentenne, ex ingegnere industriale alla Toyota e oggi CEO di un’azienda che vuole, letteralmente, riforestare la Terra. Il tutto servendosi di un metodo facile e che può essere applicato praticamente ovunque, anche nel proprio giardino. 

Prima le macchine, oggi le foreste

«Lo scopo della mia vita è sempre stato creare sempre più prodotti in meno tempo possibile e con minime risorse. Quando lavoravo alla Toyota, tutto quello che sapevo fare, era realizzare automobili». Ma Shubhendu, in realtà, non era un ingegnere come gli altri. Fu assunto nel 2008 insieme ad altri 6 neolaureati tra oltre 750 richieste arrivate all’azienda giapponese. 

Ma, come spesso capita, è bastato un incontro per cambiargli la vita. Nel 2010, nello stabilimento dove lavorava, venne invitato Akira Miyawaki, professore alla Yokohama National University, un vero e proprio luminare della biologia e della botanica. Classe 1928, Akyra ha girato il mondo piantando oltre 40 milioni di alberi in 15 paesi diversi. «Venne da noi per rendere lo stabilimento a impatto zero e creare, all’interno, una piccola foresta. Ero così affascinato che decisi di apprendere quel metodo in maniera concreta entrando a far parte del suo team come volontario».   

Ecco come si crea una foresta in 6 passi

Il metodo di Akyra, che Shubhendu migliora, si articola in diverse fasi. Si inizia studiando il suolo del terreno scelto; poi si identificano le tipologie di alberi più adatti a quel determinato suolo e clima; a quel punto si cercano quelle biomasse che, oltre ad essere facilmente disponibili, possono arricchire e nutrire il terreno: «Può trattarsi di semplice concime di un allevamento o di scarti della produzione di zucchero, l’unica regola che seguiamo è che deve trovarsi ad un massimo di 50 km dal campo».

Dopo aver concimato è sufficiente piantare piccoli alberi dell’altezza massima di 80 centimetri: «È necessario che siano molto vicini tra loro, da 3 a 5 per mq e in uno spazio non inferiore ai 100 mq»

In 8 mesi crescerà un bosco talmente fitto che la luce non arriverà a terra.

Il segreto sta proprio in questa estrema concentrazione vegetale: «A questo punto la pioggia che cade dal cielo viene conservata mentre ogni foglia diventa humus. La foresta riesce così a nutrirsi da sola, mentre la competizione tra i vegetali, per raggiungere più luce, ne accelera la crescita». E l’uomo? Deve limitarsi a occuparsi del suo piccolo regno per i primi tre anni. Come? Aggiungendo acqua quando serve ed eliminando erbe infestanti e altre minacce.

Dal giardino di casa al mondo

Shubhendu ha deciso di piantare una foresta nel giardino di casa, con risultati invidiabili: «Queste foreste, paragonate a una piantagione convenzionale crescono 10 volte più velocemente, sono 30 volte più fitte, e la loro biodiversità è 100 volte superiore. Dopo due anni che la foresta cresceva, nel mio giardino, ho potuto notare che la falda freatica non si seccava in estate e il numero di uccelli era raddoppiato. Anche l‘aria era migliore, ma la soddisfazione più grande è stata quando abbiamo iniziato a raccogliere frutta di stagione che cresceva naturalmente». 

Una grande voglia di riscatto

Ogni minuto, nel mondo, sparisce una quantità di foreste pari a 36 campi da calcio e contemporaneamente vengono prodotte 114 macchine: «Volevo piantare foreste con gli stessi risultati con cui realizzavo le automobili, scrivevo software o facevo qualsiasi altra attività».

Così, nel 2010, Shubhendu decide di fondare un’azienda in grado di fornire un servizio completo per creare questo tipo di foreste naturali autoctone: «Per riuscirci dovevo standardizzare tutto il processo di imboschimento. E per farlo avevo una grande possibilità: prendere spunto dal sistema produttivo della Toyota che avevo contribuito, nel mio piccolo, a sviluppare». 

Nel settore automobilistico, la Toyota è riconosciuta come una delle aziende più all’avanguardia nell’ideazione e produzione di nuovi veicoli. Questo grazie anche allo sviluppo di quello che viene chiamato Heijunka, ovvero il sistema che prevede la realizzazione di vari modelli differenti su una singola catena di montaggio: «Siamo partiti da lì. Abbiamo semplicemente sostituito le automobili con gli alberi. In questo modo siamo in grado di realizzare foreste stratificate e diversificate». 

Grazie ad Afforest si può dar vita ad una foresta di 300 alberi in uno spazio occupato da sei macchine. Tutto al costo di uno smartphone.

Una tecnologia con licenza open

Sono moltissime le realtà che si sono servite delle competenze del team guidato da Shubhendu. Un primo passo che, però, apre a scenari diversi, più grandi: «Oggi, realizziamo foreste nelle case, nelle scuole, persino nelle fabbriche con dipendenti. Ma non basta. C’è un gran numero di persone che vuole fare di più, rimboccarsi le mani e prendere l’iniziativa. Per loro stiamo lavorando su una piattaforma online dove condivideremo il nostro metodo con licenza open source. Una licenza darà la possibilità a tutti di creare la propria foresta senza la nostra presenza fisica ma imparando a usare il nostro metodo». 

Basterà un semplice click, seguire le istruzioni e contribuire alla riforestazione del mondo: «Faremo conoscere loro ogni specie della regione in cui vivono. Installando un piccolo hardware sul posto, possiamo testare il terreno a distanza e accompagnare, passo per passo, la realizzazione di una foresta a distanza». Una vera rivoluzione green che ha un unico, meraviglioso, obiettivo: riparare i danni che l’uomo ha fatto lavorando insieme e condividendo saperi e tecnologie.

fonte: thenexttech.eu